domenica 15 luglio 2018

Dunya Mikhail, “Le regine rubate del Sinjar” ed. 2018


                                                       Voci da mondi diversi. Medio Oriente
            Storia
           testimonianze


Dunya Mikhail, “Le regine rubate del Sinjar”
Ed. Nutrimenti, trad. Elena Chiti, pagg. 229, Euro 13,60

      Il Sinjar è una cittadina ai piedi di un monte con lo stesso nome al confine tra Iraq e Siria. Una montagna dà sempre l’idea di un’ascesa difficile, di un ostacolo, oppure del suo opposto, di un luogo dove si può trovare un nascondiglio e la salvezza dopo un’ardua ascesa. Fuggono verso il Sinjar gli yazidi perseguitati da Daesh. E precisiamo subito che gli yazidi sono una tribù di origine curda con lingua e religione propria- definiti infedeli dai militanti dell’Isis, questi si ritengono in diritto di perseguitarli, di rapire le loro donne considerate prostitute di Satana e quindi degne solo di diventare schiave sessuali. Quanto al termine Daesh, anche questo, come Isis, è un acronimo e significa “Stato Islamico dell’Iran e del Levante”, ma ha un’accezione dispregiativa perché somigliante ad un termine arabo che significa ‘portatore di discordia’.

      Il romanzo della poetessa irachena Dunya Mikhail è una sorta di reportage, un documento importante che raccoglie le testimonianze delle donne yazide rapite, violate, ridotte a merce di scambio eppure assurte alla dignità di regine a cui viene restituita l’importanza di essere donna al di là di tutto- come le api regine che sono le madri della maggior parte degli esemplari di un alveare, come le api da cui dipende l’intera vita umana (ricordo, a proposito, il bel libro di Maja Lunde, “Storia delle api”). E’ un apicoltore, Abdullah, che fa da intermediario tra Dunya Mikhail e le donne yazide. E’ lui che finora ha allevato api e venduto il miele da una parte all’altra del confine e che adesso ha fatto del salvataggio delle regine lo scopo della sua vita. Può farlo grazie ai suoi contatti e alla sua conoscenza capillare dei luoghi. D’altra parte le vicende della sua famiglia sono inestricabili da quelle delle altre famiglie yazide le cui porte sono state marchiate da Daesh con la lettera nun- e vengono i brividi a pensare ad altre porte, contrassegnate con altri segni, in epoca nazista, a come sia impossibile imparare dalla Storia e fermare il Male.

     “In futuro, quando la gente leggerà la nostra storia, penserà forse che siano racconti di fantasia. Invece è la nostra realtà di oggi, che sembra fantasia.” Sono una fantasia dell’orrore questi racconti, uno dopo l’altro, simili uno all’altro, raccontati da Nadia, dalla bambina Nazik, dalla donna che dà voce all’altra che è sordomuta, da un’altra e poi un’altra e un’altra ancora. Parlano di fughe, di uomini e vecchie e bambini separati dalle donne, da esecuzioni sul bordo delle fosse che diventeranno tombe di massa (spettri di altri ricordi), di donne vendute, donne che fingono di essere incinte, donne violentate, donne che riescono in qualche modo a scappare dalle grinfie di Daesh. C’è ancora gente buona che le aiuta e le nasconde, gente che presta loro il telefono per contattare qualcuno (è interessante il ruolo importantissimo dei cellulari in questo genocidio), c’è Abdullah, infine, che organizza, manda automobili, si presta in ogni modo possibile.

    Non è facile organizzare tanto materiale in un romanzo. Dunya Mikhail ci riesce mettendo al centro il personaggio di Abdullah, l’uomo giusto dei nostri tempi, l’eroe generoso che agisce senza attendere ricompensa, sullo sfondo quanto avviene a Mosul, dove sono proibite le sigarette, gli anticoncezionali e la musica (‘che inferno deve essere abitare a Mosul’), e intrecciando le storie delle ‘regine del Sinjar’ con la sua storia personale dell’esilio, con immagini colorate come quella dei narcisi che rifioriscono con il sole e “forse il Kurdistan è un narciso appassito per un po’, solo per un po’’,  con i versi che illuminano le scene drammatiche, come quella della ragazza che, ritornata finalmente a casa, ha trovato il suo amore sposato con un’altra: E’ scoppiato il vestito,/ sparge fiori al vento,/ scaglia colori in alto come i fuochi della festa,/ e invece non fa rumore/ non fa nessun rumore.

Leggere a Lume di Candela è anche una pagina Facebook



Nessun commento:

Posta un commento