mercoledì 13 giugno 2018

Atiq Rahimi, “Pietra di pazienza” ed. 2009


                                                       Voci da mondi diversi. Asia
          la Storia nel romanzo
           il libro ritrovato

Atiq Rahimi, “Pietra di pazienza”
Ed. Einaudi, trad. Yasmina Melaouah, pagg. 109, Euro 17,00


    Sang-e-sabur: Era stato il suocero a parlarle della sang-e-sabur, la pietra magica, la pietra nera davanti alla quale puoi snocciolare tutte le tue lamentele e la pietra le assorbe e tutti i tuoi dolori finiscono dentro di lei, finché un giorno tu sei finalmente libero dalle sofferenze e la pietra va in frantumi. Ecco: il marito che giace in coma è la ‘pietra di pazienza’ della donna che lo accudisce, la moglie che gli parla incessantemente, lo pulisce, gli cambia la flebo.
Il romanzo “Pietra di pazienza” dello scrittore afgano Atiq Rahimi (che attualmente vive a Parigi, dopo aver ottenuto l’asilo politico) è un lungo monologo, “da qualche parte in Afghanistan o altrove”, tra le quattro pareti di una stanza spoglia, con due finestre schermate da tende con un volo di uccelli.
Viene in mente l’Inferno di Sartre, in “Huis clos”, anche se in questa camera ci sono solo due persone. Perché soltanto all’inizio possiamo pensare che la donna si disperi per amore, perché soffre nel vedere il marito ridotto ad un corpo immobile e muto. In realtà, dopo le lamentazioni, dopo la monotona ripetizione di uno dei nomi di Allah nello sgranare del rosario, la donna ci parla di sé e di se stessa nei rapporti con il marito, con suo padre, con i suoceri. Ci racconta che cosa voglia dire essere donna in Afghanistan. E anche che cosa voglia dire essere uomo che sceglie di unirsi alla Jihad, di imbracciare il fucile – chi fa la guerra non è capace di fare l’amore.

    C’è una lenta progressione nelle rivelazioni della donna, è quasi come se il continuo silenzio del marito che è la pietra di pazienza che accoglie i suoi sfoghi la rendesse sempre più ardita in confessioni più audaci. E avvertiamo un astio e un leggero disprezzo nei confronti dell’uomo. Gli rinfaccia l’aver cercato il sangue la prima notte di nozze (e di non essersi neppure accorto che era sangue mestruale), la goffaggine dei suoi approcci, l’averla bandita dal loro letto nei giorni ‘impuri’, l’incapacità e la mancanza di volontà di soddisfarla sessualmente, l’ipocrisia. Quando poi inizia a parlare della zia, ripudiata perché sterile, si apre un altro penoso capitolo sulla miseria della condizione femminile in una società fortemente maschilista e ignorante dei meccanismi della procreazione, tanto da considerare la donna come unica responsabile per le mancate gravidanze.
il film tratto dal libro
Un rimedio c’è, basta saper tenere il segreto. E’ quello che ha fatto la donna, su consiglio della zia e con l’ignara connivenza della suocera. Che credeva di accompagnarla da un santone e si era esaltata per la grazia ricevuta: due bambine, una dopo l’altra. Mater sempre certa est…il padre…chissà.

    Avverrà ancora qualcosa d’altro tra quelle quattro mura, prima che la pietra si sgretoli. Qualcosa di penoso che mette in luce la falsità degli estremismi religiosi, qualcosa che potrebbe anche essere considerato come un toccante atto di generosità da parte della donna- concedersi ad un giovane armato abusato da un altro uomo barbuto- e che farà poi risvegliare il marito. E la sua furia. Mentre fuori, per le strade, si continuano a sentire esplosioni e spari.
    “Pietra di pazienza” è un romanzo. E’ una tragedia dei nostri tempi in forma di romanzo scarno ed essenziale. Che si chiude con l’inquadratura sugli uccelli migratori delle tende: fugga chi può.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net



Nessun commento:

Posta un commento