venerdì 11 ottobre 2024

PREMIO NOBEL

 


Il premio Nobel per la letteratura 2024 è stato conferito alla scrittrice coreana HAN KANG.

La mia recensione del suo romanzo “L’ora di greco” è stata pubblicata il 26 gennaio 2024.



giovedì 10 ottobre 2024

Etsu Inagaki Sugimoto, “La figlia del samurai” ed. 2024

                                         Voci da mondi diversi. Giappone

      romanzo autobiografico

Etsu Inagaki Sugimoto, “La figlia del samurai”

Ed. ObarraO, trad. Giulia Masperi, pagg. 352, Euro 18,50

 

     Nella provincia di Echigo, dove vivevo, l’inverno iniziava di solito con una fitta nevicata che scendeva rapida e costante finché restavano in vista solo le rotonde travi di colmo dei nostri tetti di paglia.

È un paesaggio del tutto diverso da quello del nostro immaginario con i ciliegi in fiore, questo che ci descrive Etsu Inagaki Sugimoto nel libro autobiografico “La figlia del samurai”. Echigo si trova sulla costa nord-occidentale del Giappone, dove gli inverni sono lunghi ed era necessario ricoprire di paglia le grandi sculture dei leoni davanti ai templi, le lanterne di pietra, gli alberi e i cespugli dei giardini, e pareti di assi verticali fiancheggiavano i marciapiedi sopra i quali si estendeva una sorta di tetto in modo da permettere agli abitanti di camminare protetti dal vento e dalla neve.

    Inizia con questi ricordi, il memoir di Etsu, la figlia del samurai che viveva nel castello di Nagaoka. Con lei c’erano un fratello e una sorella più grandi, ma, dopo che il fratello se n’era andato, alla vigilia del suo proprio matrimonio, era diventata lei la preferita del padre. La chiamavano Etsu-bo, dove il suffisso bo indica un nome maschile, perché era molto vivace e suo padre, un uomo dalla mentalità aperta, aveva voluto per lei degli studi come quelli che avrebbe fatto un ragazzo.


    “La figlia del samurai” è un libro costruito in tre movimenti, seguendo le tre tappe della vita di Etsu (nata nel 1875 e morta nel 1950)- l’infanzia e la prima adolescenza in Giappone, la pienezza della sua esistenza di donna in America, il ritorno in Giappone con due figlie. Il primo movimento è ricco di ricordi nostalgici, di descrizioni di vita quotidiana, di usanze, festività, riti religiosi. Tutto ha un significato, tutto contiene un insegnamento, dalla scrittura degli ideogrammi con il pennello al culto degli antenati. Quello che a noi occidentali può sembrare colore folkloristico ha invece un significato- è affascinante scoprirlo.


Poi Etsu deve raggiungere il promesso sposo, un amico del fratello, a Cincinnati. Sarà un cambiamento radicale e lei è solo una ragazzina. Deve imparare l’inglese, deve valutare che cosa portare via con sé. E l’abbigliamento? Il fratello la sconsiglia di vestirsi con i kimono in America. Se Etsu è spaventata all’idea di lasciare il suo mondo e le persone che ama dietro di sé, non lo dà a vedere, non lo dice. Il viaggio per nave è un assaggio della nuova realtà che la aspetta. Tutto la stupisce, ad iniziare dagli abiti delle signore, al loro comportamento, al cibo che viene servito. E tutto continuerà a stupirla, una volta arrivata.

   Etsu è giovane, ha una mente curiosa, e, anche se non può fare a meno di paragonare ogni nuova esperienza a come sarebbe stata in Giappone, riesce a vivere sulla linea di confine del ‘qui e ora’ e il ‘là e allora’, riesce ad apprezzare le novità, per quanto strane le possano apparire. Su una cosa indugia e ritorna spesso a parlarne- l’educazione formale che viene impartita in Giappone soffoca la spontaneità, impedisce la manifestazione dei sentimenti. La nostra convenzionalità è troppo estrema. Ci sta restringendo l’anima. Odio essere così felice qui, mentre tutte quelle donne pazienti e sottomesse stanno sedute in silenzio nelle loro case tranquille. È in America che Etsu ha visto per la prima volta un uomo e una donna baciarsi. In Giappone ci si inchinava e l’inchino era diverso secondo a chi era indirizzato. Esibire i sentimenti era maleducazione per un giapponese. Eppure…


   Ha già due figlie, Etsu, quando rimane vedova e torna in Giappone. La più grande delle bambine, Hanano, nome bellissimo che vuol dire ‘fiore in una terra straniera’, soffre molto per il distacco, sarà poi felice quando torneranno. La più piccola passerà da una stanza all’altra della casa in Giappone indicando alla madre gli spazi vuoti e minimali- le mancano i mobili, le poltrone, i quadri della casa che hanno lasciato.

     Leggerezza e profondità, poesia e cultura, Storia e miti, c’è tutto il Giappone in questo libro pubblicato per la prima volta nel 1925. È un libro essenziale per conoscere il Giappone. Un libro che ci spalanca le porte di un paese che ci ha sempre incantato. Anzi, ci piace pensare che ci aiuta a varcare la soglia di un torii, la porta tra il sacro e il profano. Ci aiuta a capire, a interpretare i segni di un’altra cultura.



martedì 8 ottobre 2024

Barbara Demick, “I mangiatori di Buddha. Vita e ribellione in una città del Tibet” ed. 2024

                           Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

                                               romanzo-saggio


Barbara Demick, “I mangiatori di Buddha. Vita e ribellione in una città del Tibet”

Ed. Iperborea, trad. Katia Bagnoli, pagg. 364, Euro 19,50

 

       Tibet. “Il tetto del mondo”, così chiamato per la sua altitudine media di 4900 metri sul livello del mare. Poco più di tre milioni gli abitanti. Una guida spirituale, il Dalai Lama in esilio in India dal 1959. Un vicino scomodo e, letteralmente, invadente- la Cina. Viene spontaneo chiedersi come può, un gigante come la Cina, reputare pericoloso un microbo come il Tibet, tanto da stroncarne non solo i desideri di indipendenza, ma anche da cercare di sradicare la sua cultura e la sua lingua?

    La scrittrice e giornalista americana Barbara Demick è riuscita a fare tre viaggi a Ngaba, la città che si trova dove l’altopiano tibetano si incontra con la Cina diventata nota dopo il numero di monaci che hanno scelto di darsi fuoco per protesta. Da questi viaggi, dai colloqui con gli abitanti sul posto e da quelli che ora vivono in città vicine o in Nepal, nasce il suo reportage che si legge come un romanzo corale. I personaggi che vi appaiono sono tutti veri anche se con altro nome su queste pagine. È un racconto appassionante della Storia del Tibet dal 1958 ai giorni nostri. In una canzone di Tashi Dhondup il 1958 si allinea con il 2008- il 1958 è ricordato come ‘l’anno più buio per il Tibet’, “l’anno in cui l’acerrimo nemico arrivò in Tibet”, e il 2008 come ‘l’anno in cui i tibetani innocenti sono stati torturati’. Nella memoria tibetana permane il terrore del 1958. Così come la parola Nakbà indica l’esodo palestinese del 1948, Shoah il genocidio ebraico, Holodomor il genocidio per fame perpetrato dal regime sovietico a danno della popolazione ucraina negli anni 1932-1933, il termine Ngabgay, cioè ‘58, allude ad una catastrofe così tremenda che solo una data può esprimerla. C’è anche un altro nome per indicarla e ci colpisce per la poesia contenuta nella parola: Dhulok, che significa “ quando il cielo e la terra si rovesciarono.”


    Gonpo, figlia dell’ultimo re Mei, è la prima ad apparire in queste pagine- di lei e della sua vita sapremo fino ai tempi recenti in cui, dopo essere andata in India per apprendere la sua lingua che aveva dimenticato, si ritrovò in pratica esiliata lì, a Dharamsala dove ha sede il governo tibetano in esilio e dove ha la sua residenza il Dalai Lama. Aveva sette anni, Gonpo, nel 1958. Non aveva capito il perché della fuga né che cosa stesse succedendo. Dieci anni dopo sarebbe stata mandata nello Xinjiang, l’equivalente della Siberia, ai lavori forzati.

  Delek, figlio del generale che cercò di fermare l’Armata Rossa. Quando i soldati dell’Armata Rossa arrivarono a Ngaba erano un esercito di affamati. Per caso si accorsero che le statuine del Buddha erano fatte di farina ed erano dolci e potevano essere mangiate- una profanazione.

 Tsegyam, l’aspirante poeta, un intellettuale che nel 1989, dopo i fatti di piazza Tienanmen, sarà arrestato per propaganda antirivoluzionaria.


   Seguiamo le vicende di questi personaggi e di altri ancora nel corso degli anni fino al fatale 16 marzo 2011 quando il monaco Phuntsog, di soli sedici anni, si diede fuoco, immolandosi per protesta contro il governo cinese in Tibet. Fu il primo di una serie, un anno dopo erano trenta i Tibetani che avevano commesso un atto di violenza contro se stessi, scegliendo la morte tra le fiamme.


Nel 2019 erano 156- quasi un’affermazione di obbedienza al costante invito a non usare la violenza contro gli invasori da parte del Dalai Lama che aveva ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1989. Nel suo esilio a Dharamsala il Dalai Lama, ormai guida spirituale del suo paese, dichiarava che considerava sua responsabilità preservare la loro cultura, la cultura della pace e della compassione.

    In parte saggio, in parte ricerca sul campo, in parte romanzo perché “I mangiatori di Buddha” si legge come un romanzo, tanto più affascinante perché sappiamo che sono veri i personaggi che vivono nelle sue pagine, il libro di Barbara Demick ci spalanca le porte sul tetto del mondo.



 

domenica 6 ottobre 2024

Nicole Dennis-Benn, “Here comes the sun” ed. 2024

 

                           Voci da mondi diversi. Giamaica


Nicole Dennis-Benn, “Here comes the sun”

Ed. 66thand2nd, trad. Federica Principi, pagg. 352, Euro 18,00

   Giamaica. Montego Bay. Il Paradiso dei turisti. Solo dei turisti, non è di certo il paradiso per le donne che improvvisano sul molo bancarelle per cercare di attrarre con la loro merce quelli che sbarcano dalle navi da crociera, non di certo per le ragazze che si vendono per aiutare la famiglia, non per i pescatori, non per tutti i giamaicani che vivono in casupole con i tetti di lamiera. E il sole che colora di rosso e oro il mare non sorge splendente per loro.

    Delores, Margot, Thandi e Verdene sono le donne protagoniste del romanzo della scrittrice giamaicana Nicole Dennis Benn, donne vittime del colonialismo, dei modelli imposti dai bianchi, dei pregiudizi e dell’oscurantismo, e degli uomini, sempre degli uomini. Perché gli uomini si impongono con la forza per ottenere quello che vogliono. E vogliono sempre la stessa cosa.


   Quando Margot era nata, Delores aveva sedici anni e sua figlia ne aveva ancora di meno quando lei l’aveva venduta ad un turista per 600 dollari. Come si poteva resistere al pensiero di quello che si poteva comprare per 600 dollari? E poi Delores voleva distogliere l’attenzione di Margot da Verdene che le aveva detto che era bella- di Verdene si dicevano tante cose, si diceva che le piacessero le donne, che era per questo che sua madre l’aveva mandata a studiare in Inghilterra.

   E poi, a distanza di quindici anni da Margot, era nata Thandi. Dal padre indiano Thandi aveva ereditato i bei capelli lisci, su Thandi si centravano tutte le aspettative della madre e della sorella. Thandi non sarebbe stata come loro, Thandi non avrebbe fatto la fine di Margot che lavorava in un hotel e la si vedeva uscire al mattino dalle stanze dei clienti quando non dal letto del proprietario dell’albergo- l’avrebbe nominata manager nel nuovo resort grandioso che aveva in mente di costruire? Thandi frequentava la scuola privata gestita dalle suore, usciva di casa indossando una divisa immacolata, Thandi sarebbe diventata un dottore, era per lei che la madre e la sorella risparmiavano. E glielo facevano pesare.


    Nessuna di queste donne è libera, tutte hanno subito violenza quando erano bambine (anche Thandi che non lo ha mai detto a nessuno) o poco più che bambine. L’omosessualità è proibita in Giamaica, Margot non deve essere vista quando entra nella casa rosa che Verdene ha ereditato dalla madre, quando Thandi si innamora di un pescatore spiantato deve incontrarlo di nascosto- non è adatto a lei, sono ben altre le ambizioni di Margot e di Delores per lei. Thandi deve pensare a studiare e a nient’altro. E deve lasciar perdere anche il desiderio di studiare arte, anche se è dotata- chi ha mai fatto soldi con i quadri?

    C’è altro però che occupa la mente di Thandi, e questo è una delle tante tematiche del libro, insieme alla preoccupazione di far soldi in qualunque maniera, vendendo il proprio corpo e quello di altre ragazze- Margot accetta di reclutare e istruire giovani donne per ogni gusto dei turisti che accorreranno nel nuovo resort. Thandi vuole schiarirsi la pelle, perché l’immagine della bellezza pubblicizzata è bianca. E si reca di nascosto da una ciarlatana che la avvolge nella pellicola dopo averla spalmata di qualche crema di certo nociva. Essere bianche ed essere ricche, è questo che si vuole. Per raggiungere la ricchezza Margot accantona ogni freno morale,  non le importa che gli abitanti di River Bank, dove lei è cresciuta, debbano lasciare le loro case per permettere la costruzione del nuovo resort di lusso, non le importa neppure che imbroglino la sua amica del cuore.  Quando il sole, che non appariva da giorni, scintilla sull’acqua azzurra della piscina, Margot è sola, è rimasta sola.

    Un romanzo triste e drammatico, una realtà buia dove noi, che ci immaginiamo nei panni dei turisti bianchi, vedevamo solo luce e colori.



giovedì 3 ottobre 2024

Tracy Chevalier, “La maestra del vetro” ed. 2024

                          Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America


Tracy Chevalier, “La maestra del vetro”

Ed. Neri Pozza, trad. Massimo Ortelio, pagg. 417, Euro 19,00

    Ogni volta che viene pubblicato un nuovo romanzo di Tracy Chevalier, il suo è un atteso ritorno. Sono passati vent’anni dal suo primo romanzo, “La ragazza con l’orecchino di perla” che l’ha resa famosa. Dopo di quello sono venuti una serie di libri con una galleria di personaggi femminili che ci hanno appassionato, così come ci ha appassionato il tempo in cui hanno vissuto e il ruolo che queste donne, le sue protagoniste, hanno avuto nella loro società, sia che ricamassero i cuscini destinati alle panche di una chiesa, o cucissero le coperte che contenevano un messaggio per gli schiavi fuggitivi, o cercassero fossili sulla spiaggia di Whitby. È come se il suo intento fosse restituire dignità alle donne, sempre trascurate dalla storia ufficiale, sempre relegate nell’ombra.

    C’è un grande personaggio femminile anche ne “La maestra del vetro”, Orsola Rosso. All’inizio del libro è una bambina che cade in acqua- una caduta strategica, sapremo poi, perché viene mandata ad asciugarsi nella vicina fonderia dei Barattier, i migliori vetrai di Murano. Nessun estraneo può entrarvi, ma chi baderà a una bambina? E forse lei riuscirà a ‘spiare’ a che cosa stiano lavorando, a carpire qualche segreto. Perché i Rosso non sono niente accanto ai Barattier, la loro è una piccola fonderia a conduzione famigliare- il padre, la madre, due figli e Orsola.


Orsola, però, è fuori gioco, l’arte del vetro è cosa da uomini. Il destino, o le sue capacità, l’arte del vetro che ha nel sangue, mostreranno che non è vero. Verrà il tempo che sarà Orsola a salvare le finanze della famiglia dedicandosi- di nascosto dal fratello- a fare perle di vetro, come le ha suggerito e insegnato Maria Barattier che l’ha presa a ben volere.

A Murano, l’isola del vetro, dal 1486 ai giorni del Covid della nostra epoca, seguiamo le vicende della famiglia Rosso, gli amori, i matrimoni, la nascita dei bambini, le morti. Perché, secoli prima del Covid, la peste aveva falciato la vita degli abitanti di Venezia, arrivando anche a Murano, portandosi via più di uno dei Rosso. Dalla peste al Covid- questo è solo uno dei fili che collegano il tempo, perché l’uso del tempo è una delle caratteristiche del romanzo. La scrittrice ci suggerisce di immaginare un sasso lanciato per rimbalzare sull’acqua, ad ogni balzo c’è anche un balzo di secoli che però non corrisponde al modo di passare del tempo per i personaggi- cento anni di Storia, che possono includere la peste, ma anche Napoleone, gli austriaci, le nuove rotte commerciali che tagliano fuori Venezia, possono essere soltanto otto o dieci anni per la famiglia Rosso.

     Il tempo a Venezia non esiste, Venezia è fuori del tempo nella sua immobilità azzurrina, eppure, anche se impieghiamo la nostra immaginazione e ci affidiamo alla maestria della scrittrice, è un poco straniante e non facile collocare i personaggi, che non cambiano molto nei secoli, in un mondo che passa dalle carrozze e le gondole alle automobili e ai vaporetti.


Cambia anche l’arte del vetro, nei secoli, cambia il gusto, si affina la tecnica- dalle vetrerie di Murano escono dei capolavori. E l’arte del vetro è protagonista assoluta del romanzo. Ci interessa seguire l’evoluzione di Orsola che acquista sicurezza e maestria nel foggiare le perle (di nascosto dapprima), ma quello che ci incanta è la descrizione di come le collane, i lampadari, le coppe vengano fatte, come nascano le idee- i ghepardi per la stravagante marchesa Casati, la collana rosso rubino per Giuseppina Bonaparte, il lampadario con i grappoli d’uva per Casanova- e come vengano realizzate. E il piccolo delfino di vetro, che era stato pegno d’amore del bel veneziano di cui Orsola era innamorata e che puntualmente le veniva recapitato dalla lontana Praga che osava rivaleggiare con Venezia nell’arte del vetro, diventa il simbolo della continuità della bellezza, dell’arte, dell’esistenza stessa di Venezia.