venerdì 21 giugno 2019

Simona Lo Iacono, “L’albatro” ed. 2019



                                                                        Casa Nostra. Qui Italia
              biografia romanzata

Simona Lo Iacono, “L’albatro”
Ed. Neri Pozza, pagg. 220, Euro 16,50

       Non aveva ancora compiuto 61 anni, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quando morì a Roma, nel luglio del 1957. Non aveva ancora pubblicato il suo unico romanzo ispirato alla figura del bisnonno. Anzi, nel suo letto della Clinica Villa Angela, aveva subito la frustrazione di ricevere la lettera in cui il libro veniva rifiutato dalla casa editrice Mondadori. “Il Gattopardo” sarebbe stato pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli un anno dopo e avrebbe vinto il premio Strega nel 1959. Nel 1963 il film di Luchino Visconti avrebbe imposto nell’immaginario il volto di Burt Lancaster per il Principe Fabrizio e quello di Claudia Cardinale per la bella Angelica. Inutile dire che sarebbe stato meglio che il riconoscimento a lui dovuto fosse arrivato prima- e mi viene in mente il destino uguale di Stieg Larsson (e con questo non voglio fare un paragone di merito tra i due scrittori).
      Il romanzo “L’albatro” di Simona Lo Iacono segue una duplice narrativa- una che, dal presente dell’ultimo mese di vita dello scrittore, nel 1957, volge lo sguardo al passato più recente, e una che inizia nel 1903, quando Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha 7 anni, e si proietta in avanti, fino a ricongiungersi con l’altra.
Nella prima il presente con la consapevolezza della malattia e i ricordi della vita da adulto, soprattutto l’esperienza traumatizzante delle due guerre, della prigionia, del ritorno a casa che sembra quello di Ulisse ad Itaca, dove nessuno lo riconosce. E poi l’amore per Licy, la moglie lettone che sua madre non poteva soffrire, perché divorziata, perché aveva un lavoro, perché era intraprendente (ma, nel suo amore esclusivo per l’unico figlio, sua madre avrebbe mai accettato che un’altra donna glielo rubasse?), la scrittura per ricreare un mondo distrutto. Il mondo che rivive nella seconda narrativa, il racconto di un bambino solitario e del suo compagno di giochi, Antonno, che lo seguirà come l’albatro della poesia di Baudelaire che la madre ha letto ad alta voce- Spesso, per divertirsi, gli uomini dell’equipaggio/catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,/che seguono, indolenti compagni di viaggio,/il vascello che va sopra gli abissi amari. E’ il mondo che riapparirà ne “Il Gattopardo”, quello delle due case, a Palermo e a Santa Margherita Belice, della grande famiglia, dello zio Alessandro che ci fa pensare a Tancredi, visto dall’adulto che ha gli occhi del bambino e il suo sguardo è velato di malinconia, perché sa già che è un mondo destinato a scomparire. Come scompare Antonno, il bambino che fa tutto al contrario, che scolpisce nel legno piccole opere d’arte invece di trasformare le parole in arte, che gode di una libertà che il piccolo Giuseppe avrebbe forse voluto, una sorta di doppio del principuzzu.

     Leggendo le pagine di Simona Lo Iacono le figure di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e quella del Principe Fabrizio, quella di Tancredi e quella del figlio adottivo dello scrittore, quella del cane Crab e di Bendicò, il cane del Principe Salina, finiscono per sovrapporsi nella nostra immaginazione. E’ come scostare le tende di un sipario e intrufolarsi dietro le quinte. Bello e ricco di suggestioni.

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