Voci da mondi diversi. Bulgaria
Georgi Gospodinov, “Il giardiniere e la morte”
Ed.
Voland, trad. G. Dell’Agata, pagg. 208, Euro 18,05
“Mio padre era giardiniere. Ora è
giardino.”
Ci
può essere una frase più bella di questa per iniziare un libro che è un’elegia
per il proprio padre morto? Perché, se non fosse per quel tempo al passato che
diventa presente in un cambiamento di stato, è un’immagine di vita e di colore
quella che si presenta ai nostri occhi di lettori. E attenua la tristezza.
Una morte è sempre triste, lo è di più se la persona che ci lascia era un padre molto amato. È più che triste, è straziante se un figlio deve assistere impotente alla sofferenza del padre, al suo declino fisico, alla sua immagine presente che si sovrappone a quella del passato in cui era un uomo dal fisico imponente. “Non è niente di grave”, era la frase preferita dal padre per minimizzare le difficoltà, sono le parole che dice anche quando ormai sta molto male.
Queste pagine che lo scrittore dedica al
padre, che donano immortalità al padre, sono colme di ricordi, passano da
quelli di un tempo più lontano a quelli di un tempo più recente con l’insorgere
e il progredire del tumore, raccontano brevi aneddoti, fissano con un flash
episodi di vita passata, frasi dette e rimaste nella memoria- come quando,
capovolgendo una frase di Dostojevskij, suo padre aveva detto che loro, in
Bulgaria, pensavano di essere felici perché non sapevano quanto erano infelici.
E allora la storia di famiglia si arricchisce inevitabilmente della storia
della Bulgaria in epoca sovietica, con la scarsezza di beni, con l’impossibilità
di viaggiare e conoscere altri paesi. Li
avrebbe conosciuti, suo padre, altri paesi, tramite il figlio diventato
scrittore a cui chiedeva di portargli lamette da barba dalla Germania.
Un figlio scrittore e un padre che teneva un diario del suo giardino, delle semine, delle fioriture, dei raccolti e- con molta precisione- delle innaffiature. Nell’ultima pagina le parole erano scritte abbreviate- doveva soffrire veramente parecchio per risparmiare sulle parole.
È il
giardino il filo conduttore del romanzo, giardino vero che segue il padre da
una casa all’altra dovunque si trasferiscano, che è un piccolo spazio di
felicità quando hanno una sola stanza per quattro in un appartamento con altre
famiglie, e giardino metaforico, simbolo della vita che continua, che deve
morire per poter rinascere. Giardino
come promessa di futuro, anche se La
morte è un ciliegio che matura senza di te.
Amore e morte, l’eterno binomio. Qui, però,
non è Eros ma l’amore di un figlio per un padre che ha saputo meritarsi questa
dichiarazione di amore, è l’amore di un padre che, nel coraggio e nella dignità
con cui affronta la morte, sembra quasi voler risparmiare di dare un dolore al
figlio. Il libro è occasione, dunque, per una riflessione sul ruolo paterno e
sul rapporto tra genitore e figlio, sulla caducità della vita e sulla
rielaborazione di un lutto, su come affrontare un’assenza e accettare il passaggio
del testimonio.
Un libro bellissimo nella sua dolce
tristezza.