sabato 4 luglio 2020

Ilaria Tuti, “Fiore di roccia” ed. 2020


                                                         Casa Nostra. Qui Italia
   prima guerra mondiale

Ilaria Tuti, “Fiore di roccia”
Ed. Longanesi, pagg. 241, Euro 18,80 Formato kindle 9,99)

  Lo chiamano ‘fiore di roccia’ o ‘stella alpina’. Lo conosciamo con il nome di ‘Edelweiss’ ricordando Julie Andrews che cantava la canzone in “Tutti insieme appassionatamente”. È un fiore raro e prezioso, diverso da qualunque altro con quei petali vellutati. Nel linguaggio dei fiori significa ‘coraggio’. Quanto coraggio, di quello che non ha bisogno di parole per spiegarlo, quello delle Portatrici carniche della Grande Guerra.
    Nel suo nuovo romanzo “Fiore di roccia”, Ilaria Tuti ci racconta la storia vera di donne, vecchie, giovani e giovanissime, che furono ‘reclutate’ nei villaggi ai piedi delle pareti di roccia della Creta di Timau dove, lassù in vetta, lungo il confine tra Italia e Austria, passava il fronte durante la prima guerra mondiale. Un dettaglio che avrà la sua importanza nel libro: questa è un’area in cui si parla, fin dal medioevo, un particolare dialetto carinziano molto simile al tedesco. E c’è un personaggio vero che possiamo immaginare in uno di quelli di cui leggiamo in queste pagine: Maria Plozner Mentil,
morta il 15 febbraio 1916, colpita da un cecchino austriaco mentre si riposava con un’amica dopo aver consegnato il carico della sua gerla agli alpini. I suoi resti sono conservati nel tempio Ossario insieme a quelli degli altri caduti al fronte, una caserma è intitolata a suo nome e il Presidente Scalfaro le conferì una medaglia d’oro al valor militare nel 1997, come rappresentante di tutte le Portatrici.
     Il lavoro di Ilaria Tuti per fissare nella memoria il ricordo di queste donne è importante  e necessario. Perché la guerra è sempre stata degli uomini, perché quanto hanno fatte le donne, sia come crocerossine negli ospedali da campo, sia- in maniera del tutto trascurata e sottovalutata- per ‘tenere il fronte’ a casa (c’è una bellissima canzone inglese, Keep the home fires burning, che sottolinea il valore del ruolo femminile come sostegno psicologico per gli uomini in battaglia che pensano a madri e mogli che ne aspettano il ritorno), è sempre stato considerato secondario. Le Portatrici carniche salivano in vetta al mattino presto dopo aver riempito le gerle di munizioni, pezzi di armi, viveri- un carico il cui peso poteva arrivare a 40 kg. Gli spallacci delle gerle incidevano la carne, la schiena urlava dal male, il freddo mordeva le mani. Ai piedi calzavano le scarpitz, le pantofoline con la suola di tessuto che faceva presa sui sassi nell’ascesa.
Si arrampicavano come capre in un percorso che non era senza pericoli perché i cecchini, ‘i diavoli bianchi’, erano in agguato. Prima di partire avevano già svolto una parte dei lavori necessari con le bestie o nei campi. Al ritorno non le aspettava il riposo dopo la fatica, ma altri lavori, anche lavare gli indumenti che erano stati loro affidati dagli alpini. Alcune di loro- come Maria Plozner- avevano bambini piccoli, altre, come la protagonista voce narrante, avevano genitori anziani di cui prendersi cura.
     In vetta si combatte, in una battaglia disperata il fronte cade e poi viene riconquistato. I morti- sono tutti giovani- vengono portati dalle donne in paese su slitte, per essere seppelliti. Le Portatrici proseguono il loro combattimento, contro la fame e la fatica e, sì, la paura. E poi c’è un’altra battaglia ancora- quella contro i traditori, contro coloro che si sentono più austriaci che italiani, oppure che, più semplicemente, passano nelle file dei più forti.

     “Fiore di roccia” è costruito su testimonianze e fatti storici veri e poi la scrittrice aggiunge del ‘suo’- molti dei dettagli che riguardano le portatrici, perfino i loro sentimenti, sono veri; inventato è il personaggio di Agata Primus (con un cognome preso a prestito da una portatrice realmente esistita) e tutta la storia che la riguarda. È un bel personaggio che, con la sua forza e intelligenza, ben si contrappone a quello del capitano degli alpini- l’omaggio che questi le fa, di un fiore di roccia, è un riconoscimento di parità
Debole e inadeguato è, invece, il finale sentimental-rosa che sarebbe stato meglio evitare: il significato dell’insensatezza della guerra tra gente che parla quasi la stessa lingua, era già chiaro.

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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it



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