martedì 11 ottobre 2016

Heloneida Studart, “Francobollo d’addio” ed. 2009

                                                      Voci da mondi diversi. America Latina
                    il libro ritrovato


  Heloneida Studart, “Francobollo d’addio”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Amina Di Munno, pagg. 245, Euro 15,00

Titolo originale: Selo das Despedidas

     “E’ facile verificare chi mente” concluse. “Dio ha posto nel corpo delle donne un sigillo. Quando questo sigillo è intatto, esse si possono paragonare agli angeli. Quando il sigillo si rompe fuori dal sacramento del matrimonio, il demonio si impadronisce di loro. Jaime, chiama il dottor Porfirio. Nessuno come il medico di famiglia può pronunciarsi sulla diagnosi.”

    Ci sono dei romanzi di cui si legge la prima frase e si sa immediatamente, senza incertezze, che si proseguirà la lettura, che non si riuscirà a posare il libro prima di averlo terminato.
“Mariana stava per compiere quarant’anni quando le inviarono per posta, da Fortaleza, gli scritti di una zia rimasta zitella, Maria das Graças Nogueira de Alencar. La vecchia era appena morta, non per volontà di Dio, ma per la propria.”  Incomincia così “Francobollo d’addio” della scrittrice brasiliana Heloneida Studart, una donna dalla vita così interessante da poter diventare lei stessa protagonista di un romanzo. Sono tre righe scarse in cui ci vengono presentati due personaggi, una zia anziana che non si è mai sposata ed è morta suicida e la nipote che si avvicina alla soglia della mezza età. La zia dal nome altisonante ha scritto qualcosa- un diario? un romanzo?- e Mariana prima o poi lo leggerà: in questo doppio di zia e nipote si annuncia anche una doppia storia, nel presente e nel passato. E noi restiamo incatenati alla lettura.

     “Francobollo d’addio” è una storia di famiglia, ma soprattutto una storia di donne- povere donne che passano dalla potestà del padre a quella del marito, oppure sono destinate a restare sotto il giogo materno, scelte fin dalla nascita come future infermiere della genitrice anziana. Impossibile ribellarsi- qualunque colpo di testa, qualunque comportamento giudicato scorretto o immorale veniva punito con la reclusione in un convento che non era altro che una prigione con crocifissi e statue della Vergine.
Le vicende delle tre sorelle Nogueira de Alencar nel tempo appena precedente la seconda guerra mondiale sono raccontate come costante contrappunto a quelle di Mariana e Leonor, figlie di Donna Mimi Nogueira de Alencar, nel presente. E restiamo turbati nel renderci conto di quanto poco sia cambiata la società, di quali sforzi debba fare una donna semplicemente per ‘essere’, ‘essere’ senza il connotato di ‘moglie’. Mariana è quella che ce l’ha fatta- forse ha ereditato tutti i geni ribelli della famiglia, a partire da quelli dell’eroina della Confederazione dell’Ecuador, Barbara de Alencar. Perché Mariana, destinata a fare assistenza alla madre, si era laureata in giurisprudenza, seguiva la famosa Causa di famiglia contro la Banca del Brasile che li aveva impoveriti, e aveva sposato un ricco imprenditore. Intanto Vasco, il suo grande amore dei vent’anni, era stato arrestato, torturato e gettato giù da un aereo- quindi uno valeva l’altro, tant’è sposare l’uomo che avrebbe voluto sposare sua sorella. Perché invece la bionda Leonor, che aveva avuto in eredità i gioielli che spettavano di diritto alle donne belle di famiglia, si era incapricciata di un professore universitario, fervente cattolico e nemico dei comunisti. Lo aveva sposato, per pentirsene prestissimo- Alfredo si era rivelato un uomo gretto, meschino, bigotto, incapace di amore, incapace di sesso. Non riesce difficile capire come Leonor, umiliata ed esasperata, finisca per ricorrere ad una soluzione che pare una variante brasiliana del film di Germi “Divorzio all’italiana” con un tocco di Agata Christie.

     Mentre le scene ambientate nel presente sono alleviate da un umorismo che rende divertenti anche episodi tristemente grotteschi, quelle del passato- che leggiamo insieme a Mariana nei quaderni della zia- sono ben più sconvolgenti. Donna Mimi, la madre di Mariana e Leonor, che ora passa il tempo a letto mangiando cioccolatini, amava i dolci anche mezzo secolo prima; era la sorella maggiore, invidiosa della bellezza e della vivacità di Melba, la più piccola delle tre. Mentre nessuno faceva caso a Maria das Graças, la figlia di mezzo, l’intellettuale destinata a restare zitella. Ci sono dei parallelismi sconcertanti tra presente e passato: Maria das Graças amava di nascosto il giovane Cid che però si era lasciato tentare da Melba…Che il matrimonio di Leonor sia una prigione è vero, però se l’è scelta lei; che Melba, denunciata da Mimi, venga rinchiusa al Buon Pastore dopo un’umiliante visita ginecologica, è un sopruso che ci strazia. E allora benvenuta la vendetta di Leonor, se Melba invece- proprio Melba che ha avuto in dono l’allegria alla nascita- muore di tisi, malattia contratta nel carcere convento.

      Anche al lettore succede come a Mariana, che resta per ore a guardare i quaderni, dopo aver finito di leggerli. E quando il sole batte forte, apre l’ombrellone e continua a restare lì. Anche noi continuiamo a sentire le voci di questi personaggi- indimenticabili. E resta aperta l’interpretazione sul perché duri il matrimonio di Mariana,: “Ora puoi chiedere il divorzio. Sei più ricca di me.”, le dice il marito. “Non voglio divorziare”, risponde lei.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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