giovedì 4 dicembre 2025

Antonio Manzini, “Sotto mentite spoglie” ed. 2025

                                                                  Casa Nostra. Qui Italia

                                                  cento sfumature di giallo

Antonio Manzini, “Sotto mentite spoglie”

Ed. Sellerio, pagg. 546, Euro 17,00

 

    È quasi Natale, questo Natale snaturato di oggi, fatto di consumismo, luci che non rallegrano, sdolcinati canti agli angoli delle strade.

E, a tutto questo si aggiunge che, in un’Aosta dove fa freddissimo e Rocco Schiavone si intestardisce a indossare il loden e calzare le Clarks, si succedono in breve tempo una rapina in banca, il ritrovamento di un cadavere in un laghetto di montagna e la denuncia della scomparsa del marito dall’ex-moglie. È proprio il caso che Rocco rettifichi la sua lista di massime rotture.

     Incominciamo dalla rapina che ha risvolti comici per la maniera in cui i rapinatori riescono a farla franca facendosi beffe del vicequestore Schiavone- è la prima scena e la più rappresentativa in cui c’è un chiaro riferimento al titolo, ‘sotto mentite spoglie’. Il portare una maschera ritorna lungo tutta la narrativa- ci sono personaggi che assumono un altro nome e un’altra identità, ci sarà un commissario che, con una barba posticcia, si camufferà per tendere una trappola, c’è un qualcosa di cui si parla come di una bauta, maschera in veneziano, e che deve essere il nodo di tutto quello che accade (perché, ad un certo punto, diventa chiaro che i fatti che apparivano slegati sono invece collegati tra di loro), c’è infine Rocco che ormai indossa sempre la maschera di uomo scorbutico e cinico e piange dentro di sé.


    L’inizio del nuovo romanzo di Antonio Manzini riprende la narrazione da quello precedente- la giornalista Sandra è in ospedale e Rocco va ogni giorno a chiedere notizie di lei. Sandra, però, è fidanzata, la loro storia avrebbe potuto essere e non è stata, perché, anche se la moglie morta non gli appare più spesso come un tempo, anzi, se non gli appare affatto, Rocco vive nel passato, incapace di lasciarselo alle spalle. Preferisce i legami passeggeri, come quello con la biologa che frequenta adesso e che non richiede alcun impegno da parte sua. E tuttavia c’è in Rocco un filo di amarezza, di rimpianto, di nostalgia di una possibile felicità perduta.

E poi Rocco viene travolto dai nuovi avvenimenti- perché soltanto una cassetta di sicurezza era l’obiettivo dei ladri? Chi era il morto nel lago? L’identificazione è difficile, sarà il tagliandino di una tintoria sulla giacca che aiuterà a dargli un nome. La trama ci porta dalla Val d’Aosta al Senegal e qui iniziamo a intuire che si tratta di qualcosa di losco, di terribilmente ‘sporco’, perché si parla di squadre di calcio di ragazzini di colore, di un qualche prodotto farmaceutico, di grossi guadagni, di necessità di segretezza.


    La lettura di un libro di Antonio Manzini è sempre piacevole e mai banale, è vivace e ricca di humour. Il protagonista cambia lentamente, come è giusto che sia, nel corso degli anni, forse riesce perfino ad abituarsi alla città in cui è stato relegato. Il nocciolo della trama di questa sua ultima opera riguarda un problema scottante e di grande attualità di cui non mi è concesso dire altro.

Un solo appunto: un centinaio di pagine in meno avrebbero reso la narrativa più scattante.



 

mercoledì 3 dicembre 2025

Bak Sulmi, “Piccoli inganni crudeli” ed. 2025

                                                         Voci da mondi diversi. Corea

                                               cento sfumature di giallo


Bak Sulmi, “Piccoli inganni crudeli”

Ed. Longanesi, trad. M.L. Gialloreti. Pagg. 208, Euro

 

   Seoul. Mira. Yujae. Yuchon. Jiwon. Sono questi i quattro personaggi che ci offrono quattro diversi punti di vista dei tragici avvenimenti che formano la trama del thriller psicologico di Bak Sulmi, un romanzo che contiene molta violenza, nei confronti sia delle persone sia degli animali. C’è anzi da chiedersi se tutta questa violenza, che è spesso un tratto caratteristico dei film coreani, sia qualcosa di molto diffuso- per motivi che ci riesce difficile capire- nella società coreana.

    Il libro inizia con una lettera di Mira a Jiwon. Mira, sulla ventina, è stata assunta da Jiwon per dare lezioni al figlio minore Yujae. E Mira alza il sipario su quanto è accaduto poco tempo prima: il cane a cui il fratello di Mira era tanto affezionato è stato ucciso selvaggiamente dal figlio di Jiwon. Per un’incatenarsi di conseguenze, la madre e il fratello di Mira si erano uccisi.

    Il primogenito di Jiwon, Yuchon,  è l’esatto opposto del fratello. A sentire la madre, è un genio della matematica, rappresenterà la Corea alle Olimpiadi internazionali di Matematica, è studioso, un ragazzo modello. Per Jiwon esiste solo questo figlio e non si accorge della gelosia devastante del figlio minore, neppure sa- perché non le interessa- che Yujae ha vinto le Olimpiadi nazionali di Matematica. E Yujae cova la vendetta.


     Appare subito chiaro, leggendo la parte di Yujae, che questo ragazzino è uno psicopatico, pericoloso per gli altri e potenzialmente per se stesso. C’è una radice di Male in lui, anche se vogliamo scavare e cercare di comprendere il motivo del suo comportamento, c’è un gusto di fare il Male, di vedere soffrire, c’è una totale mancanza di empatia, c’è il piacere di programmare atti criminali manipolando anche altre persone al suo servizio, c’è totale mancanza di senso di colpa.

   È Yujae l’unico a macchiarsi di colpe? L’unico a commettere crimini senza il minimo scrupolo? Ognuna delle quattro parti del libro smentisce in parte, rettifica, cambia la prospettiva da cui guardiamo quello che accade. Che non ci piace. Non ci piacciono i personaggi, ci chiediamo dove siano le famiglie di questi ragazzini che si aggirano di notte cercando il divertimento nella sofferenza altrui.

    Confesso di aver fatto fatica a terminare la lettura di questo romanzo di cui, però, ho apprezzato la costruzione.



domenica 30 novembre 2025

Celia Fremlin, “La lunga ombra” ed. 2025

                   Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

                                    cento sfumature di giallo



Celia Fremlin, “La lunga ombra”

Ed. Sellerio, trad. Chiara Rizzuto, pagg. 280, Euro 14,25

      La lunga ombra del titolo di questo scoppiettante giallo psicologico di Celia Fremlin, scrittrice inglese nata nel 1914 e morta nel 2009, è quella del marito di Imogen. Ivor è morto da poco in un incidente automobilistico (aveva la stanza prenotata in albergo per la sera del convegno in un’altra città, perché mai l’aveva disdetta e si era messo al volante nella notte?), ma la sua lunga ombra si estende sulla grande casa, sulla moglie (la terza) e su tutti gli ospiti (per lo più non invitati) che arriveranno per passare il Natale con Imogen, per non lasciarla sola (dicono).

    Dopo Francis Blundy, il marito eminente poeta e uomo egocentrico del romanzo di Ian McEwan, ecco Ivor, professore emerito di Lettere Classiche, un manipolatore pieno di sé, un altro uomo da cui le donne farebbero bene a tenersi alla larga. E invece cadono ai suoi piedi. La prima moglie gli aveva dato due figli e da anni era ricoverata in una casa di cura, la seconda che, a quanto pare, era l’opposto della prima- tanto era intellettuale la prima, quanto svampita la seconda- viveva alle Bermude, ed ora Imogen, nonostante qualche momento di nostalgia, tira un sospiro di sollievo, finalmente si sente libera, finalmente non deve essere in perenne servizio dei desideri del marito.


    Una di quelle prime notti in cui è sola, però, una telefonata la sveglia. Una voce maschile la accusa di aver ucciso il marito. Assurdo. Lei era a casa. No, ci sono testimoni che l’hanno vista nell’albergo dove Ivor avrebbe dovuto passare la notte. Scatta così l’elemento ‘giallo’ di questo romanzo di un umorismo noir, che mescola mystery, ghost story, giallo con un pizzico di rosa.

   Uno dopo l’altro arrivano gli ospiti (dubitiamo, nonostante le battute tra il serio e il faceto) che siano lì per far compagnia alla ‘povera’ Imogen- la figlia di Ivor in continuo disaccordo con il marito, i suoi due bambini che chiamano ‘nonna’ Imogen anche se in realtà non lo è, il figlio scapestrato che dice apertamente che è inutile che lui paghi un affitto altrove, una ragazza stravagante che lui porta con sé e che affitterà una stanza, la seconda moglie di Ivor con scatolette di pillole per ogni evenienza. E poi, dentro e fuori, la vicina di casa, la vedova modello del ‘caro Desmond’ (l’ultima frase del romanzo è dedicata al ‘caro Desmond’, un magistrale colpo di scena). Adesso che sono tutti lì iniziano ad accadere cose strane.


I bambini vedono Babbo Natale nello studio del nonno (Ivor faceva sempre la parte di Babbo Natale), un bambino ha gli incubi perché vede un volto ghignante chino su di lui di notte, un altro foglio si aggiunge ad uno scritto incompiuto di Ivor  (la calligrafia è identica), il gatto scompare, i bambini scompaiono…E la neve cade sulla campagna inglese.

     “La lunga ombra” è un giallo domestico, leggero, frizzante, una divertente demistificazione del Natale. È il libro perfetto per distrarvi e tirarvi su di morale.



   

martedì 25 novembre 2025

Tommy Wieringa, “Nirvana” ed. 2025

                                           Voci da mondi diversi. Paesi Bassi


Tommy Wieringa, “Nirvana”

Ed. Iperborea, trad. Claudia Di Palermo, pagg. 541, Euro 21,00

 

Amsterdam 2016.

Uno scrittore, Tommy Wieringa, sì, l’autore del libro che stiamo leggendo.

Un pittore, Hugo Adema.

Il fratello gemello del pittore, Willem Adema che ha ereditato non solo il nome del nonno ma anche la sua impresa offshore.

Il centenario Willem Adema, ingegnere civile che si è fatto una fortuna con il petrolio grazie alle sue competenze tecnologiche ma che ha anche un passato ‘ripulito’ e opportunamente modificato.

Una casa, anzi, una magione nel verde dei boschi, Oostraven, dove vivono i due vecchi Adema con le infermiere che si danno i turni per assisterli, dove Hugo si rifugia per dipingere, dove lui, bambino, era stato ‘esiliato’ per tre anni perché in continua lite con il fratello.


     “Nirvana” è un romanzo di doppi, di immagini nello specchio- i gemelli litigiosi come Esaù e Giacobbe, uno con inclinazione artistiche e l’altro che sta approntando la nave più grande che abbia mai solcato i mari per sfruttare al massimo i giacimenti petroliferi nelle acque del Nord; lo scrittore che ha in mente di scrivere un libro sul discusso nonno di Hugo e Hugo che gli ruba la storia leggendo i diari ritrovati del nonno e la mette su tela; il presente con la storia d’amore (finita) di Hugo con una bella fotografa e il passato che si affaccia sul presente con un doppio ritrovamento- di una zia di cui Hugo non sapeva l’esistenza e della governante di Hugo bambino che era stata anche la madre affidataria di Wieringa. È proprio quest’ultima che spalanca le porte sull’oscurità del vecchio Willem Adema, era lei che conservava i suoi diari del tempo di guerra dopo averli trovati nel suo bagaglio quando era stata licenziata da casa Adema (chi li aveva messi lì?).


    Hugo non esegue la volontà espressa nella lettera che la vecchia governante aveva lasciato, che affidava i diari a Hugo e a Tommy Wieringa. Hugo deve affrontare da solo la verità di cui aveva avuto una fugace intuizione quando aveva visto un piccolo tatuaggio sotto l’ascella del nonno. Non era vero che il nonno si era schierato con i tedeschi, che tra l’altro erano i nemici che avevano occupato l’Olanda, perché voleva combattere i russi. Non era vero che, dopo aver visto quello che i tedeschi facevano in Russia, era passato nelle file della Resistenza. Non era vero che era stato assolto dal tribunale dopo la fine della guerra. Aveva fatto parte delle SS, punto e basta.


Aveva assistito a scene di una violenza indicibile. Aveva partecipato a massacri. Ci aveva fatto l’abitudine in un sonno della coscienza ed era stranamente sopravvissuto fino alla fine. Altri segreti ancora vengono fuori dai diari, sul periodo in Venezuela, sul suo matrimonio con una ragazza il cui sangue creolo sarebbe riapparso a sorpresa (sgradita) nel figlio, il padre dei gemelli, su quella zia che Hugo ritrova e che lo scambia per il nonno di Hugo, il suo proprio padre. Perché c’è anche questa beffa del destino, assomigliare fisicamente ad un nonno che si finisce per disprezzare, essere un suo sosia più giovane.

 

il personaggio vero dietro Willem Adema 

   Il presente è fatto di squarci di memorie felici di Hugo con la fotografa che poi sbandiererà il loro rapporto in una mostra fotografica svilente per Hugo, di incontri tenerissimi con le due persone che finiscono per essere ‘famiglia’ per il protagonista, di mesi di una ripresa furiosa di creazione pittorica mentre lo scrittore scompare nell’ombra: la storia di Willem Adema appartiene al nipote e non a lui, che però, con un effetto meravigliosamente straniante, ce la racconta nel romanzo che stiamo leggendo.

    Ancora un altro doppio mentre ci avviciniamo alla conclusione- Willem il giovane trionfa al varo della gigantesca nave, un futuro sempre più ricco si apre davanti a lui (e a chi importa delle conseguenze ambientali, del cambiamento climatico, tutte ‘chiacchiere di scienziati sovvenzionati’); Hugo allestisce una mostra di quadri rivelatori, con un percorso punteggiato da brani presi dal diario del vecchio Adema che i visitatori ascolteranno nelle cuffie- la verità deve venire alla luce. “Tutto brucia a causa del fuoco della brama…Lìberati vedendo la brama in ogni cosa…La risposta al dominio del fuoco è l’assenza di fuoco. L’estinzione. Il nirvana.”

     Un libro bellissimo. Da leggere.  


sabato 22 novembre 2025

Ian McEwan, “Quello che possiamo sapere” ed. 2025

                     Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

        distopia

Ian McEwan, “Quello che possiamo sapere”

Ed. Einaudi, trad. Susanna Basso, pagg, 376, Euro 19,95

 

    E’ il 2119. C’è stato un drammatico cambio epocale tra il XXI secolo in cui stiamo vivendo e il XXII in cui si muovono i personaggi dello straordinario nuovo romanzo di Ian McEwan. Prima il Grande Disastro, poi l’Inondazione. A seguito di un lancio di missili le acque dell’Oceano si sono sollevate rovesciandosi su gran parte dell’Europa occidentale. La Gran Bretagna è diventata un arcipelago di isole, qualunque spostamento diventa difficoltoso. Se nel XXI secolo la sovrappopolazione era un problema, adesso questo problema è scomparso, l’Inondazione ha decimato gli abitanti del nostro pianeta. Anche i beni materiali scarseggiano, certi alimenti sono introvabili.

      In questo nuovo mondo (quanto lontano dal “Coraggioso nuovo mondo” di Huxley!) Thomas Metcalfe, studioso della letteratura degli anni tra il 1990 e il 2030, è sulle tracce di un poema scomparso. Si tratta della Corona per Vivien di Francis Blundy, una sequenza di sonetti in cui ogni sonetto inizia con il verso con cui termina quello precedente. Il grande poeta Francis Blundy lo aveva scritto per il compleanno della moglie ed era stato recitato nel 2014 ad una cena in cui erano presenti, oltre alla festeggiata, la sorella di Blundy con il marito (editor di Blundy, incaricato di scrivere la biografia del poeta), e altre coppie di amici. Il poema però era scomparso, tutto quello che se ne sapeva era i riferimenti che si erano trovati nello scambio di mail, stralci di diari, allusioni a quella sera di libagioni e cibi deliziosi ormai introvabili nel 2119. Erano tutti riuniti nel grande Casale di Blundy per quel “Second Immortal Convivio” (il riferimento era al Primo Convivio del 1817 a cui avevano partecipato Keats e Wordsworth). Era una documentazione che lasciava trapelare le correnti di amore, gelosia, invidia tra i presenti, che raccontava del primo matrimonio di Vivien con un liutaio vittima di Alzheimer in giovane età, delle ambizioni a cui Vivien aveva rinunciato per mettersi a disposizione del poeta dall’Ego smisurato- e però, a parte le parole di ammirazione per il poema, non c’era altro su che fine potesse avere fatto.


     Metcalfe riesce a dissotterrare un contenitore nel luogo dove una volta, un centinaio di anni prima, si ergeva il Casale- e questa parte del libro sembra presa da un romanzo di avventura con l’avanzare dello studioso e della moglie in un bosco inselvatichito dopo aver dovuto noleggiare un’imbarcazione con tanto di skipper per arrivare là dove un tempo era tutta terraferma. Ed ecco che inizia un secondo romanzo, del tutto diverso da quello che abbiamo letto finora. È scritto da Vivien, una sorta di diario sulla cui veridicità non possiamo avere dubbi. È tutta un’altra storia che, in certo qual modo smitizza quella precedente, una storia di amore, di tradimento, di colpa. Soprattutto di colpa e di rimorso. Dobbiamo rivedere tutto quello che abbiamo pensato del grande poeta (molto borioso, a dire il vero) e della stessa Vivien e del loro amore. E naturalmente apprendiamo che ne è stato della Corona e quale significato avesse e perché dovesse scomparire.


   Due romanzi in uno, leggere “Quello che possiamo sapere” è come guardare le due facce della stessa medaglia, e l’effetto è straniante. Il romanzo ambientato nel futuro è soffuso di un’atmosfera tragica e nello stesso tempo nostalgica (quella stessa nostalgia che prova Winston Smith nel “1984” di Orwell)- chi guarda al passato (ai giovani non interessa il passato, faticano a portare a termine la lettura di un libro di neppure cento pagine, gli studi umanistici sono in declino) prova nostalgia per un tempo in cui vivere sembrava più bello, in cui c’erano più specie di animali e di fiori, alimenti più vari e gustosi- ma che cosa sappiamo veramente del passato? Quali verità si celano dietro gli scritti del passato ormai tutti conservati in forma digitalizzata? Quale era la vera vita dei personaggi famosi e mitizzati?

Il romanzo ambientato nel presente di noi lettori toglie il velo davanti al mondo sognato e rimpianto nelle pagine del futuro, ne mostra le meschinità e le brutture ed è come se anche a noi togliessero una benda dagli occhi- forse preferivamo il nostro tempo visto attraverso la lente del futuro, forse c’è un equilibrio tra le due prospettive.


     La distopia di McEwan si basa soprattutto sulle conseguenze del cambiamento climatico, sia nell’ambiente sia nella società e nelle nazioni (l’America è diventata un luogo pericoloso dove spadroneggiano i signori delle guerra e la Nigeria è il paese più ricco del mondo) e il ‘primo’ romanzo ha un passo più lento- la ricerca del poema e la celebrazione della grandezza di Francis Blunty, nonché la storia d’amore di Metcalfe con la compagna studiosa, ci richiamano alla mente “Possessione” di Antonia Byatt-, più vivace e ricco di sorprese il “romanzo dentro il romanzo”. Quello che conta, però, quello che ci affascina, quello che ci tiene legati al testo, è proprio la loro giustapposizione, la doppia prospettiva, e quel pizzico di suspense.



martedì 18 novembre 2025

Frances Cha, “La bellezza delle altre” ed. 2025

                                                 Voci da mondi diversi. Corea



Frances Cha, “La bellezza delle altre”

Ed. Astoria, trad. Omboni e Russo, pagg. 251, Euro 19,00

 

    Corea del Sud. Seoul. Cinque ragazze, tutte più o meno ventenni, tutte che condividono miniappartamenti, officetel (uno dei tanti termini del linguaggio della Corea di oggi), tutte con storie più  o meno tristi alle spalle, tutte con ambizioni che rispecchiano la società in cui vivono.

    La bellissima Kyuri (quanta della sua bellezza è sua e quanta è dovuta a interventi chirurgici?) lavora in un room salon (locali molto esclusivi dove i clienti uomini vengono intrattenuti da belle ragazze che li spingono a bere); Ara fa la parrucchiera, è muta per un trauma subito quando era bambina e vive in adorazione di un noto cantante; Sujin (l’unica che non ha capitoli in cui è la protagonista dominante, ma appare negli altri delle sue amiche) vuole essere assunta pure lei in un room salon e investe tutti i risparmi per un intervento con lo stesso chirurgo che ha operato Kyuri. Non si tratta solo di rifare gli occhi (le donne asiatiche sono ossessionate dalla singola palpebra che è la loro caratteristica, vogliono avere la palpebra doppia come le donne occidentali), deve anche fare un intervento per ridurre la mascella squadrata che verrà tagliata e riposizionata smussando entrambi i lati: saranno cinque o sei ore di operazione, quattro giorni di ospedale, sei mesi perché il viso abbia un aspetto naturale. Naturalmente il chirurgo non parla del dolore, della fatica a masticare…Miho è un’artista e ha vinto una borsa di studio per un’università americana, al suo ritorno, però, resta anche lei intrappolata nel mondo del lusso e delle gallerie d’arte; Wonna, infine. Le ambizioni di Wonna sono del tutto diverse, Wonna va controcorrente. In una società in cui le ragazze non si sposano più, nonostante le suppliche materne, dove la natalità è pressoché zero, Wonna vuole un figlio, si sposa per avere un figlio, è incinta e ha il terrore di abortire, e naturalmente incontra difficoltà sul lavoro- che non pensi neppure di prendere dei mesi di aspettativa, pena il licenziamento.


   Non c’è una vera e propria trama ne “La bellezza delle altre”, i capitoli passano dall’una all’altra delle protagoniste, ci sono le serate al room salon, le illusioni- che l’uomo che ha regalato una borsa di Chanel abbia intenzioni serie, che il famoso cantante le rivolga la parola, che il nuovo viso per cui si è sofferto tanto spalanchi nuove porte-, le sbronze (quanto bevono, quanto vengono fatte bere, le ragazze dei room salon), ci sono però anche le confidenze, i piccoli gesti di solidarietà, di conforto, di amicizia fra le ragazze.

     È una Corea del secondo millennio quella che Frances Cha ci presenta nel suo romanzo, una Corea che è lontana anni luce da quella dei genitori delle ragazze che sono preoccupati perché non si sono ancora sposate.

Ci spaventa un poco questa Corea in cui quello che conta è l’apparire, la bellezza (Kyuri ha chiesto al chirurgo che il suo viso venisse modellato per assomigliare a quello di una famosa cantante)- un regalo diffuso per i diciotto anni è un intervento di chirurgia plastica (un personaggio minore del libro incomincia molto prima ad andare sotto i ferri) e poi non c’è fine ai ritocchi e a nuovi interventi- e la ricchezza.


D’altra parte già Scott Fitzgerald lo aveva detto, “i molto ricchi sono diversi”, e sono diversi anche i chaebol (quante parole coreane impariamo leggendo il romanzo! I chaebol sono le persone che appartengono a una famiglia ricca) de “La bellezza delle altre”- spendono, bevono, fanno costosi regali, ma trattano le ragazze del room salon come oggetti e obbediscono ai genitori quando devono scegliere una moglie. Questo è un doppio standard che, invece, non ha nulla di nuovo.

    “If I had your face” è tante cose: un romanzo al femminile (pensiamo a  Frances Cha come a una Jane Austen in un altro ambiente e più di due secoli dopo), un romanzo di un nuovo tipo di cultura, un romanzo distopico eppure terribilmente reale.



giovedì 13 novembre 2025

Andrew Miller, “La terra d’inverno” ed. 2025

                         Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda


Andrew Miller, “La terra d’inverno”

Ed. NN, trad. Ada Arduini, pagg. 300, Euro 19,00

 

  Dicembre 1962-febbraio 1963. L’inverno più freddo del secolo (ci si dimentica sempre di quelli precedenti). Un paesino nella campagna inglese. Due coppie, Eric e Irene, Bill e Rita, vicini di casa ma agli antipodi nella scala sociale. Eric è un medico, l’incontro con Irene è stato un momento romantico, durante una festa. Bill e Rita hanno un passato più oscuro- Bill perché figlio di un immigrato ungherese che ha cambiato nome e si è arricchito affittando appartamenti fatiscenti a prezzi esorbitanti, Rita- be’, perfino suo marito non vuole sapere nulla del passato di Rita, su che lavoro facesse. Entrambe le coppie sono in attesa di un bambino.

    Non succede molto in questi tre mesi. Succede la vita, mentre la neve cade, le due case rimangono isolate- il combustibile dura un poco di più nella casa del medico, si gela nella fattoria di Bill e Rita-, e la neve continua a cadere, Irene e Rita sono diventate amiche e giocano come bambine a fare un pupazzo di neve, un vitello nasce morto mentre Bill sogna un grande allevamento nell’hangar che ha scoperto nel suo terreno, un giovane paziente di Eric si suicida nel manicomio vicino al paese. Soprattutto, Eric ha una relazione con una donna sposata che incontra di nascosto.


    La tensione all’interno delle due coppie è palpabile, anche se Irene cerca di comportarsi come la mogliettina premurosa delle riviste femminili, anche se Rita cerca di dimenticare il difficile passato che si ripresenta sotto forma di voci che sente solo lei. Un party natalizio in casa di Eric e Irene è il punto centrale ma anche il punto di svolta del romanzo. Gli invitati bevono (molto), Irene sorprende l’amante del marito nella sua stanza da letto. Non sa nulla ma forse percepisce qualcosa, prova disagio alla domanda inutilmente curiosa dell’altra donna che le chiede da che parte dorma Eric. Alla festa c’è un’altra coppia di amanti e ci si stupisce che esibiscano così il loro rapporto (è il 1962, ricordiamolo. Solo pochi anni prima la principessa Margaret aveva dovuto rinunciare all’uomo di cui era innamorata perché era sposato).

    Arriva gennaio, il freddo non demorde, l’insoddisfazione all’interno delle due coppie cresce, Irene trova una lettera, ognuno dei personaggi cerca una maniera per uscire da una situazione che li imprigiona, succederanno delle cose (non belle).


    È straordinario come Andrew Miller (il suo romanzo è shortlisted per il Booker Prize 2025) riesca a rendere coinvolgente e appassionante un libro in cui succede così poco, in cui la lentezza di una trama quasi inesistente è pareggiata dalla neve che cade con lenta dolcezza, il biancore del paesaggio simboleggia quasi l’assenza di colore della vita dei personaggi, la scena dolorosa del vitellino nato morto anticipa nel mondo animale altre scene dolorose.

C’è però un’arte particolare nella narrativa di Andrew Miller, c’è un’atmosfera sospesa di incanto, una capacità di visione poetica che mi ricorda quello che era l’intento di Wordsworth nella sua poesia- rendere straordinario il quotidiano, l’ordinario, accendere la luce di un terzo occhio su quello che è intorno a noi.