Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
Antonio Manzini, “Sotto mentite spoglie”
Ed.
Sellerio, pagg. 546, Euro 17,00
È quasi Natale, questo Natale snaturato di
oggi, fatto di consumismo, luci che non rallegrano, sdolcinati canti agli
angoli delle strade.
E, a
tutto questo si aggiunge che, in un’Aosta dove fa freddissimo e Rocco Schiavone
si intestardisce a indossare il loden e calzare le Clarks, si succedono in
breve tempo una rapina in banca, il ritrovamento di un cadavere in un laghetto
di montagna e la denuncia della scomparsa del marito dall’ex-moglie. È proprio
il caso che Rocco rettifichi la sua lista di massime rotture.
Incominciamo dalla rapina che ha risvolti comici per la maniera in cui i rapinatori riescono a farla franca facendosi beffe del vicequestore Schiavone- è la prima scena e la più rappresentativa in cui c’è un chiaro riferimento al titolo, ‘sotto mentite spoglie’. Il portare una maschera ritorna lungo tutta la narrativa- ci sono personaggi che assumono un altro nome e un’altra identità, ci sarà un commissario che, con una barba posticcia, si camufferà per tendere una trappola, c’è un qualcosa di cui si parla come di una bauta, maschera in veneziano, e che deve essere il nodo di tutto quello che accade (perché, ad un certo punto, diventa chiaro che i fatti che apparivano slegati sono invece collegati tra di loro), c’è infine Rocco che ormai indossa sempre la maschera di uomo scorbutico e cinico e piange dentro di sé.
L’inizio del nuovo romanzo di Antonio
Manzini riprende la narrazione da quello precedente- la giornalista Sandra è in
ospedale e Rocco va ogni giorno a chiedere notizie di lei. Sandra, però, è
fidanzata, la loro storia avrebbe potuto essere e non è stata, perché, anche se
la moglie morta non gli appare più spesso come un tempo, anzi, se non gli
appare affatto, Rocco vive nel passato, incapace di lasciarselo alle spalle.
Preferisce i legami passeggeri, come quello con la biologa che frequenta adesso
e che non richiede alcun impegno da parte sua. E tuttavia c’è in Rocco un filo
di amarezza, di rimpianto, di nostalgia di una possibile felicità perduta.
E poi Rocco viene travolto dai nuovi avvenimenti- perché soltanto una cassetta di sicurezza era l’obiettivo dei ladri? Chi era il morto nel lago? L’identificazione è difficile, sarà il tagliandino di una tintoria sulla giacca che aiuterà a dargli un nome. La trama ci porta dalla Val d’Aosta al Senegal e qui iniziamo a intuire che si tratta di qualcosa di losco, di terribilmente ‘sporco’, perché si parla di squadre di calcio di ragazzini di colore, di un qualche prodotto farmaceutico, di grossi guadagni, di necessità di segretezza.
La lettura di un libro di Antonio Manzini è
sempre piacevole e mai banale, è vivace e ricca di humour. Il protagonista
cambia lentamente, come è giusto che sia, nel corso degli anni, forse riesce
perfino ad abituarsi alla città in cui è stato relegato. Il nocciolo della
trama di questa sua ultima opera riguarda un problema scottante e di grande
attualità di cui non mi è concesso dire altro.
Un
solo appunto: un centinaio di pagine in meno avrebbero reso la narrativa più
scattante.















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