giovedì 20 febbraio 2025

Colm Tóibin, “Long Island” ed. 2025

               Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda


Colm Tóibin, “Long Island”

Ed. Einaudi, trad. G. Granato, pagg. 280, Euro 19,00

 

    Lei, Eilis Lacey, la protagonista di “Long Island”, è la stessa che abbiamo conosciuto in un romanzo precedente di Colm Tóibin, “Brooklyn”. È la ragazza irlandese che aveva lasciato quel paese che le andava stretto, Enniscorthy, per l’America piena di sogni e di promesse. Si era innamorata di un italiano, a New York, e lo aveva sposato.

   Sono passati una ventina d’anni da allora, i figli di Eilis, una femmina e un maschio, sono grandi, la casa in cui abitano è vicino a quelle dei suoceri e dei due cognati- è come essere tornata a vivere in un piccolissimo paese dove tutti sanno tutto di tutti, dove la riunione famigliare ogni settimana è un rito inderogabile, dove lei, Eilis, è sempre rimasta ‘l’irlandese’ in una famiglia di esuberanti italiani. Ogni mese Eilis scrive alla madre, le manda fotografie. La madre non risponde mai: ce l’ha ancora con lei perché se ne è andata?


   Un giorno succede qualcosa che mette a soqquadro questa vita abitudinaria e tranquilla. Un irlandese si presenta alla porta di Eilis, quello che le dice, la minaccia contenuta nelle sue parole, sconvolgono Eilis. Le trema la terra sotto i piedi, ogni certezza è svanita. Eilis sa solo una cosa, sa quello che non accetterà mai di fare. E ha bisogno di allontanarsi. L’ottantesimo compleanno della madre è il pretesto strategico per ritornare in Irlanda.

   In “Brooklyn” il viaggio era verso l’esterno, in “Long Island” c’è un viaggio di ritorno. Il primo era un viaggio verso l’ignoto in cui Eilis si sarebbe sentita sperduta, il secondo è invece verso quello che conosce- Eilis, però, è cambiata, più di quanto lei stessa possa rendersene conto, e spicca tra le vecchie conoscenze, come se avesse qualcosa di esotico. Incontra l’amica di sempre che è rimasta vedova cinque anni prima e gestisce una friggitoria. L’amica Nancy rappresenta quello che Eilis sarebbe potuta diventare se fosse rimasta. E non a caso ha intrecciato una relazione con Jim, l’uomo di cui Eilis si era innamorata in passato per poi piantarlo in asso tornando in America dopo i funerali della sorella.

    Leggerete come procede la vicenda, come i due figli ‘americani’ che la raggiungono per il compleanno della nonna acquistino consapevolezza della loro metà irlandese, come non si possa sfuggire alle regole non dette di un piccolo paese.


      Lo avevo già detto quando ho scritto di “Brooklyn”- anche “Long Island” è un romanzo che non pare scritto da Colm Tóibin. Almeno, questo non è il Colm Tóibin che ha scritto “The Master” o “Il mago”, e non siamo certi che ci piaccia altrettanto. L’ambiente italiano è alquanto stereotipato e l’espediente che permette allo scrittore di far tornare Eilis in Irlanda è piuttosto banale. Quello che è interessante è il contrasto tra i due ambienti e, fra i due, quello irlandese è il più vivo e colorito. E, tuttavia, non proviamo simpatia per Eilis, forse perché non riusciamo ad approvare le sue scelte e i suoi comportamenti. Anche lo stile narrativo è ‘poco Tóibin’, scorrevole e piano, manca della profondità dei grandi romanzi biografici.


Altre due recensioni dei suoi romanzi sono su Leggere a Lume di Candela:

"Brooklyn" pubblicato il 20 marzo 2016

"Il Mago" pubblicato il 3 marzo 2023

martedì 18 febbraio 2025

Alessandra Selmi, “La prima regina” ed. 2025

                                                                     Casa Nostra. Qui Italia

            romanzo storico

Alessandra Selmi, “La prima regina”

Ed. Nord, pagg. 384, Euro 19,00

 

      1868. Monza. Due donne- no, sono due ragazze, anzi una è poco più che una bambina- entrano nella Villa Reale. Margherita e Nora. La principessa e la servetta. Come in una favola.

     Questa però non è una favola- Margherita Maria Teresa Giovanna aveva solo diciassette anni quando andò in sposa a Umberto I, futuro re d’Italia, il che faceva di Margherita la futura prima Regina.

Povera Margherita. Umberto era suo cugino primo, le nozze erano state combinate, lui non l’amava e non l’avrebbe mai amata, preso com’era dalla duchessa Litta da cui avrebbe avuto anche un figlio. Dopotutto era una tradizione di famiglia- tutti sapevano che suo padre, il re Vittorio Emanuele II, aveva un’amante, ‘la bella Rosina’, che gli aveva dato due figli a cui lui voleva più bene che ai propri figli legittimi. Tutta la corte sapeva e bisbigliava, ci vollero mesi prima che il matrimonio venisse consumato, ci volle un ordine impartito dal Re. Niente romanticismo per Margherita che era bella, intelligente, colta, piena di interessi. Faceva sfigurare il marito, durante i ricevimenti, quasi a punirlo per l’umiliazione che doveva subire perché Umberto non aveva occhi che per la Litta che Margherita era obbligata ad invitare.


    Nora era la sorella del guardiacaccia che si era preso cura di lei dopo la morte dei genitori. Era stato un colpo di fortuna che Nora fosse stata assunta a corte dove era arrivata come un coniglietto spaventato. Non sapeva fare niente, figurarsi se era in grado di fare un inchino davanti ai principi. Tuttavia il vecchio maggiordomo, che la chiamava sempre con il nome di sua figlia morta da piccola, l’aveva presa sotto la sua ala. Nora gli chiese di insegnarle a leggere e a scrivere ed iniziò così ‘l’ascesa’ di questa ragazzina che diventerà la cameriera personale di Margherita diventata regina, si diletterà a scrivere dapprima brevi racconti prima di cimentarsi con un romanzo.


    Il destino di due donne a confronto, dunque. Una prigioniera di un matrimonio infelice e una che avrà il coraggio di sfidare le norme convivendo con il giornalista a cui si era rivolta per chiedergli di aiutarla a cercare l’amica che era stata, pure lei, a servizio dei Savoia. Entrambe si sforzano, per quanto possibile, di liberarsi dalle convenzioni e di realizzarsi in quanto ‘persone’ prima che donne. Margherita seguirà la sua passione per la montagna- la Capanna Osservatorio Regina Margherita, a 4454 metri sul monte Rosa, è il rifugio alpino più alto d’Europa. Era come se, nella fatica dello scalare una vetta, respirando quell’aria rarefatta, lei lasciasse dietro di sé l’atmosfera soffocante della corte, l’indifferenza del marito, la gelosia nei confronti dell’amante di lui.

La piccola e generosa Nora troverà l’amica Ottilia, si prenderà cura di lei e anche di suo figlio, che è figlio illegittimo di Re Umberto. Perché il personaggio minore di Ottilia è la controparte di Nora. Anche Ottilia è a servizio dei principi di casa Savoia, ma Ottilia è lusingata dalle attenzioni del principe bellimbusto, si illude di poter essere come Cenerentola, è così ingenua da pensare che Umberto riconosca come suo il figlio che aspetta da lui, che il bracciale di perle che riceve in dono sia un pegno d’amore e non un benservito. La fine di Ottilia, cacciata dalla Villa Reale, è tristemente scontata e così pure quella di suo figlio che cresce con il desiderio di vendicarsi del padre.


     Alessandra Selmi ci fa vivere nelle stanze della Villa Reale di Monza e del Quirinale, ricrea per noi l’atmosfera di fine ottocento nella neo-nata Italia unita, ci descrive abiti e acconciature, porcellane e argenterie. Come in alcuni romanzi inglesi, seguendo i due personaggi principali la scrittrice ci porta nei ‘piani alti’ e nei ‘piani bassi’ delle magioni abitate dal Re e dalla Regina dandoci così una doppia visione dell’epoca. La storia della prima Regina termina, come tutti sappiamo, con l’assassinio del Re. Morto il Re, Viva il Re. Con Vittorio Emanuele III il titolo di Regina passa alla moglie Elena, principessa di Montenegro, meno regale, meno consapevole del suo ruolo, la moglie perfetta per un Re complessato dalla sua statura- anche questi sono dettagli che Alessandra Selmi insinua con discrezione in una biografia che può essere disdegnata dagli storici ma che ha il grande pregio di essere una piacevolissima (e istruttiva) lettura.




mercoledì 12 febbraio 2025

Petra Rautiainen, “Terra di neve e di cenere” ed. 2025

                                                                 vento del Nord

   seconda guerra mondiale

 Petra Rautiainen, “Terra di neve e di cenere”

Ed. Marsilio, trad. Sarina Reina, pagg. 304, Euro 18,05

     È il 1947 quando Inkeri arriva in Lapponia, nel Nord della Finlandia. È una giornalista fotografa, deve fare un reportage per un giornale documentando la ricostruzione che è seguita alla fine della guerra. In realtà il suo scopo è un altro- l’ultima traccia di suo marito è in una lista della Croce Rossa che ne documenta la sua presenza a Enontekiö (Inari in lingua sami) in un campo di prigionia. Inkeri ha comprato una casa da un vecchio lappone e si trova a dover convivere con un precedente inquilino, Olavi, che ha la passione per la botanica- si prende cura delle piante

più che delle persone. Sia Olavi sia il vecchio erano lì durante la guerra, si avverte che sanno tante cose di cui però non vogliono parlare. Forse Inkeri riuscirà ad apprendere di più dalla bimba che è la nipote del vecchio sami e che resta affascinata dalla sua macchina fotografica- le chiederà di insegnarle come si usa.


     Il romanzo della scrittrice finlandese Petra Rautiainen scorre su due piani temporali. La narrazione del dopo-guerra è di un narratore esterno, in terza persona, quella del 1944, nel cuore della guerra che sta per finire, è invece con la voce di un interprete che è stato inviato al campo di prigionia e che scrive un diario. Si è salvato dall’incendio finale del campo, questo diario, e saranno queste pagine a rivelare molte cose, a scoperchiare qualcosa che doveva restare segreto perché troppo orribile per essere rivelato. Tanto orribile che anche dalle pagine del diario non traspare molto. Anche noi, proprio come il giovane Väinö Remes che scrive, ci sforziamo di capire gli indizi di quello che è nascosto, lo scopo di quei cadaveri che vengono portati via, a Helsinki, quale sia il vero compito della bella infermiera le cui attenzioni sono contese da più di uno, che cosa ci sia dietro alle deliranti esaltazioni della Grande Finlandia. Quello che invece appare chiaro da queste pagine è la durezza della vita nel campo- la crudeltà dei sorveglianti tedeschi, la mancanza di igiene, la fame, le malattie, il freddo che è per i tedeschi un’arma in più da sfruttare nelle punizioni che finiscono inevitabilmente con la morte per ipotermia.


     Non è solo la narrazione del passato che è agghiacciante, lo è anche quella del presente del 1947, quando degli uomini vestiti di nero arrivano,  vanno nella scuola e, in un’aula, fanno spogliare i bambini e ne prendono le misure proseguendo le scellerate ricerche pseudoscientifiche dei nazisti sulla razza tese a dimostrare l’inferiorità dell’etnia sami.

Inkari riuscirà a dipanare la matassa e a scoprire che ne è stato del marito- forse era meglio continuare a non sapere niente.

     C’è un dettaglio interessante nella trama- Inkari ha vissuto con il marito in Africa, ha con sé un batuffolo di pelo di una leonessa bianca che evoca l’immagine di un animale regale quanto le maestose renne e, quando racconta dei kikuyu del Kenya, noi non possiamo fare a meno di pensare a come sarebbero stati trattati, se la Germania nazista fosse arrivata in Kenya. L’Africa che appare spesso nei ricordi di Inkari è un contrasto stridente con il paesaggio di neve e di ghiaccio della Lapponia, laggiù,di notte, un cielo trapunto di stelle, qui le meravigliose luci strane dell’aurora boreale, qui la cenere sulla neve- la cenere del campo distrutto che diventa il simbolo per un passato coperto di cenere, la cenere dei morti, la cenere di un grande fuoco che ha inghiottito milioni di persone.

     Un libro interessantissimo per quello che ci rivela.



 

sabato 8 febbraio 2025

Kim Ho Yeon, “A Jeju nasce il vento” ed. 2025

                                                         Voci da mondi diversi. Corea



Kim Ho Yeon, “A Jeju nasce il vento”

Ed. Salani, trad.  , pagg. 288, Euro 17,10

 

    Jaeyeon: una donna amata da due uomini. Il primo uomo che è anche la voce narrante: Minjung che è stato innamorato di lei. Il secondo uomo: Andy, con cui Jaeyeon ha avuto una storia prima di conoscere Minjung.

    Che Jaeyeon sia morta, Minjung lo apprende da un messaggio sul cellulare, inviato dal telefono stesso della ragazza. E da qui prende inizio la narrazione, con Minjung che va al funerale dove incontra per la prima volta Andy, riconoscendolo senza averlo mai visto prima. Però Jaeyeon gliene aveva parlato. Lei lo aveva conosciuto perché insegnava saltuariamente yoga nella sua palestra e si capiva subito che Andy doveva essere il proprietario di quella palestra: alto, massiccio, muscoloso, era l’esatto contrario del mingherlino Minjung che lavorava come editore. Aveva fatto dell’editing anche sul romanzo di Jaeyeon che era riuscito a far accettare dalla sua casa editrice ed era così che si erano incontrati e innamorati.

Namhae

    A un anno dalla morte di Jaeyeon i due ex si incontrano davanti alla sua tomba- a quanto pare sono gli unici che si ricordano di lei. E da qui nasce il piano di darle un luogo di riposo che le sarebbe piaciuto di più di quello squallido cimitero. Andy, il più audace e scanzonato dei due, elabora il piano per trafugare l’urna. E dopo? Dove la porteranno? In un posto che lei abbia amato, un posto dove era stata con Minjung o uno dove era stata con Andy? Sulla spiaggia di Namhae o sull’isola di Jeju dove lei e Andy erano saliti sulle pendici di un vulcano parassita di cui Andy non ricordava il nome?

    Inizia un viaggio pretestuoso dei due rivali in amore, tra battute sui loro nomi (unendo il cognome Go al nome Minjung, il significato è ‘preoccupato’), scambi di confidenze che rivelano il carattere di ognuno dei due (pavido e sempre indeciso Minjung, rozzo, corporeo, sbrigativo e superficiale Andy), grandi bevute che ritardano il viaggio e finiscono per mettere in pericolo l’urna (in effetti le ceneri devono essere travasate nel barattolo di una bevanda energetica), telefonate dalla casa editrice che non ha rilasciato alcun permesso a Minjung per assentarsi, spreco di soldi, i due attraversano la Corea (non mancano i riferimenti alla separazione delle due Coree) e finiscono, paradossalmente, per diventare amici per unirsi contro un altro rivale- il regista che ha usato per un film il copione che Jaeyeon aveva poi trasformato in romanzo e che ha causato indirettamente la morte della ragazza.

vulcani di Jeju

    Questo non è il primo romanzo che leggiamo sull’ultimo viaggio di un defunto. Ricordiamo  “Ultimo giro” di Graham Swift, vincitore del Booker Prize 1996, in cui gli amici e il figliastro partono per esaudire l’ultimo desiderio di un macellaio di Londra, che le sue ceneri fossero versate nel mare, e “Mentre morivo” di William Faulkner, indubbiamente il più ricco fra questi romanzi, il più complesso, il più innovativo con le sue molteplici voci e le diverse interpretazioni del passato comune.

     Il romanzo di Kim Ho Yeon ha in comune con gli altri citati l’uso della nota comica, quasi dissacratoria, che rende, se possibile, meno tragico il passaggio dalla vita alla morte, che accentua la somiglianza tra il viaggio della vita- una mescolanza di eventi felici e tristi- e questo verso l’ultimo riposo dopo di che non ci sarà più nulla. Se Andy e Minjong si ubriacano, se sembra che facciano i buffoni, è per non pensare che Jaeyeon non berrà più con loro, non andrà più su una spiaggia, non si arrampicherà più su un vulcano, non realizzerà più il suo sogno di scrivere. 



la recensione del precedente romanzo, "Il minimarket della signora Yeon" è in data 29 febbraio 2024

mercoledì 5 febbraio 2025

Martin Suter, “Melody” ed. 2025

                                                         Voci da mondi diversi. Svizzera

cento sfumature di giallo

Martin Suter, “Melody”

Ed. Sellerio, trad. Marina Pugliano, pagg. 304, Euro 17,00

 

     Peter Stotz ha ottantaquattro anni e gli resta al massimo un anno da vivere. Ha avuto una vita piena, è stato un uomo influente, un consulente del governo, consigliere di amministrazione di varie aziende. Vive in una grande villa sulle colline di Zurigo e per lui è arrivato il momento di tirare le somme. Assume Tom Elmer, 34 anni, un doppio master in giurisprudenza e un urgente bisogno di lavorare. Stotz gli offre una cifra da capogiro per mettere ordine nelle sue carte in modo da presentare ai posteri una buona immagine di sé. In più Tom alloggerebbe in un suo appartamento all’interno della villa.

   Inizia così questo rapporto intenso tra il vecchio e il giovane- Stotz ha una maniera di raccontare che tiene avvinti, Tom è incuriosito e irretito, complici anche l’arte culinaria della governante italiana e i tanti bicchieri o bicchierini di vino e liquori pregiati (Tom non se n’è accorto, ma Peter Stotz è un alcolista). Fin da subito i ricordi di Stotz girano intorno a Melody, il grande amore della sua vita il cui ritratto è ovunque nella villa- Tom lo ha notato perché la ragazza ritratta è molto bella, con occhi di velluto. C’è anche una stanza che è rimasta intatta, era la stanza da ricamo di Melody. Melody, Melody, Melody, artista del ricamo, libraia e grande lettrice. Stotz se ne era innamorato subito, appena l’aveva vista nella libreria in cui lavorava e in cui era tornato per cercare romanzi d’amore. Melody con un nome perfetto per lei, la traduzione del suo vero nome in arabo. Perché la famiglia di Melody è marocchina, lei è musulmana e oltretutto è fidanzata anche se il suo è un matrimonio combinato a cui lei sarebbe ben lieta di sfuggire.


    La storia d’amore di Stotz (vent’anni più di Melody) viene fuori come a puntate, il corteggiamento, la conquista, la presentazione alla famiglia di lei, il rifiuto dei suoi genitori di acconsentire a queste nozze, l’ira del fratello, la fuoriuscita di Melody dalla casa paterna, gli accordi per il matrimonio, l’abito da sposa con un velo che era un hijab. E poi…e poi Melody era scomparsa. Era stata rapita? Era stata uccisa? Era semplicemente scappata perché aveva cambiato idea? Tutta la rimanente vita di Stotz era stata dedicata a cercarla, a seguire ogni possibile traccia fino nei paesi più remoti.

    Quando c’è un solo narratore, la domanda più ovvia è- fino a che punto dobbiamo credergli? Anche Tom è tra impietosito e perplesso e si rende sempre più conto che Stotz in realtà vuole incaricarlo di ‘trovare’ Melody.


La storia d’amore di Tom con la nipote del suo datore di lavoro (diventerà una ricchissima ereditiera, ma anche Tom non sarà messo male con il lascito del suo datore di lavoro) serve da controparte a quella del magnate- romantica, vagheggiata, idealizzata, nel passato rivissuto momento per momento, parola per parola, quella del vecchio Stotz, vissuta totalmente nel presente e ancorata nella realtà quella di Tom che ripercorrerà, insieme alla bella nipote, ogni tappa della ricerca che Peter Stotz ha raccontato con dovizia di particolari. Quello che scopriranno sarà sorprendente- per loro e per noi.

    Abbiamo sempre apprezzato lo stile dello scrittore svizzero, il suo umorismo, la secchezza dei dialoghi, la misura delle sue descrizioni. In questo romanzo Suter gioca ad accumulare enigmi, a far dubitare il lettore su tutto quello che legge, ad allentare l’atmosfera con descrizioni di piatti squisiti e non convenzionali pur nella loro semplicità e bicchieri di cognac d’annata scelti ad hoc secondo il ricordo del momento.




lunedì 3 febbraio 2025

Alina Bronsky, “Barbara non sta morendo” ed. 2025

                                 Voci da mondi diversi. Area germanica



Alina Bronsky, “Barbara non sta morendo”

Ed. Keller, trad. Scilla Forti, pagg. 240, Euro 17,10

 

   Walter ha trovato Barbara per terra, sul pavimento del bagno. Riesce a riaccompagnarla a letto, ma poi Barbara non si alza per preparare la colazione. A pensarci, era stato strano non svegliarsi con il profumo del caffè, come ogni mattina da quando si sono sposati. È il primo segnale di un cambiamento di cui Walter farà fatica a rendersi conto e ad accettare. Anzi, Walter non lo accetta proprio, si rifiuta di pensare che Barbara sia ammalata, neppure ci pensa a chiamare il dottore. Ci penserà il figlio, giorni dopo, quando è chiaro che Barbara non si alza dal letto dove continua a dormire o dormicchiare.

     È un uomo di altri tempi, Walter. Ottuso e pieno di pregiudizi. Era stato anche lui un immigrato, anche Barbara lo era stata e lui si vantava che Barbara dovesse a lui e alla sua severità se ora parlava in tedesco senza accento. Si irritava quando la moglie preparava dei piatti come ‘laggiù’, il borsc, per esempio. E ce l’aveva con gli immigrati, che bivaccavano sul marciapiede vicino alla stazione chiedendo l’elemosina. Si rifiutava di chiamare per nome la compagna del figlio, non dice mai niente apertamente, ma c’è un lieve disprezzo nel paragonare il nipotino ad un cioccolatino. Quanto alle scelte della figlia Karin, che era andata a Berlino dove viveva con la sua ‘migliore amica’, Walter fingeva di non capire, di non sapere.


   Fino ad ora aveva avuto abitudini fisse da quando era andato in pensione- portare fuori il cane, il giovedì sera al pub con gli amici e nient’altro. Mai aveva fatto la spesa, mai aveva acceso un fornello, neppure per farsi un caffè, mai aveva fatto funzionare la lavatrice. E adesso? Lentamente, molto lentamente visto che parte da zero, Walter impara, seguendo le istruzioni della moglie. Fa pasticci, sporca dappertutto, è necessario più di un tentativo prima di cucinare qualcosa di commestibile, impara perfino a chiedere aiuto per istruzioni alla commessa con i capelli blu del panettiere.

    Alina Bronsky dipinge con mano leggera il cambiamento di quest’uomo, ce lo descrive in un tono tra il compassionevole, il ridicolo, l’ammirazione. Ammirazione sì, perché tutto quello che Walter fa non è solo per la propria sopravvivenza ma perché ama Barbara, anche se non lo confesserebbe mai.

Imbocca la moglie come un uccellino, in un soprassalto di comprensione lucida di quello che sta accadendo (Barbara si è rifiutata di andare in ospedale) le dice “non mi giocherai qualche brutto scherzo, ragazza mia?”- è quanto di più affettuoso quest’uomo vecchio stile sia capace di dirle.


   È un cambiamento a 360 gradi, quello di Walter. Cambia nell’aspetto pratico della vita di ogni giorno (buffo l’accanimento con cui inizia a seguire le lezioni di cucina alla televisione e ad aprirsi ai social), cambia nella maniera di relazionarsi con i figli, acquista anche il coraggio di affrontare un segreto doloroso del loro passato per cui finora aveva solo provato vergogna. E non è solo la malattia di Barbara (che lui rifiuta di riconoscere fino alla fine) la responsabile di questo cambiamento. Nella sua nuova apertura verso il mondo Walter scopre che la moglie che sua madre disprezzava e che lui pensava di aver, in certo qual senso, ‘elevato’, era benvoluta e amata da tutti- perfino il barbone accampato con il cane vicino alla stazione la conosceva (e Walter si sostituirà a Barbara e gli porterà da mangiare, a Natale). Perché Barbara era buona, generosa, gentile. Tutti le volevano bene, persone a lui del tutto sconosciute le chiedevano di lei.

   Anche in questo romanzo, come nel precedente “L’ultimo amore di Baba Dunja”, Alina Bronsky ci racconta una storia con umorismo e con una considerazione affettuosa per i suoi personaggi, una storia di persone qualunque che mostra come niente sia definitivo nel nostro carattere e nelle nostre abitudini e come si possa cambiare (in meglio).



La recensione de "L'ultimo amore di Baba Dunja" è pubblicata in data 27 ottobre 2016, con l'etichetta Area germanica.

giovedì 30 gennaio 2025

Ludmila Ulitskaya, "Daniel Stein. Traduttore"

   La casa editrice la Nave di Teseo ha ristampato il bellissimo libro della scrittrice russa Ludmila Ulitskaja, "Daniel Stein. Traduttore"

               


Ne ho già pubblicato la recensione e l'intervista fatta alla scrittrice in data 15 e 17 maggio 2016, sotto l'etichetta Voci da mondi diversi. Russia/ biografia/biografia romanzata.

Se non lo conoscete, vi consiglio la lettura.