Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
guerra del Vietnam
il libro ritrovato
Tim O’Brien, “Inseguendo Cacciato”
Ed. Feltrinelli, trad. Sandro
Ossola, pagg. 300, Euro 17,00
Titolo originale: Going After Cacciato
E poi, a guerra finita, a storia
decisa, le avrebbe spiegato perché si era lasciato andare alla guerra. Non a
causa di forti convinzioni, ma perché non sapeva. Non sapeva chi avesse ragione
o cosa fosse giusto. Non sapeva se fosse una guerra di autodeterminazione o di
autodistruzione, sfacciata aggressione o liberazione nazionale; non sapeva a
quali discorsi credere, a quali libri, a quali politicanti…non sapeva chi
veramente avesse dato inizio alla guerra né perché ne quando né per quali
motivi…
Avviene per la guerra quello che avviene
per la Shoah, riesce impossibile parlarne. Lo storico ha la parte più facile-
spiega le cause, enuncia i fatti, battaglie, vittorie e sconfitte, conta i
morti, i feriti, i dispersi, i prigionieri. Ma come si fa a dare l’idea della
guerra a quelli che non l’hanno né combattuta né vista?
Tim
O’Brien fa una scelta azzardata, in “Inseguendo Cacciato”, quella di mescolare
il reale e il surreale, il vero e il fantastico. Il risultato è spiazzante, il
suo è un racconto tanto più doloroso perché ha bisogno di un’evasione per
essere sopportato, ha bisogno di alternare scene che resteranno come un incubo
nella memoria di Paul Berlin, il personaggio principale, e scene di un sogno-
quello di arrivare a Parigi. A Parigi. A piedi o con mezzi di fortuna. Dal
Vietnam. Be’, su un’immaginaria linea retta, quale città se non la Parigi della
Tour Eiffel, delle Folies Bergères, della placida Senna, delle torri di Nôtre Dame, può trovarsi
all’estremo opposto di Saigon o di Hanoi, nel 1968? Parigi, allora.
Tim O'Brien soldato in Vietnam |
Non si può, però, partire, così, per
Parigi. Ci vuole un pretesto. Lo offre Cacciato (il nome è già un programma),
una sorta di Forrest Gump del romanzo di O’Brien, il marmittone un po’ stupido
che si mette a pescare mentre i compagni devono perlustrare una galleria dove
probabilmente il nemico è in agguato, ma neppure poi tanto stupido se rifiuta
di unirsi alla congiura contro il comandante che li sta mandando verso una
morte quasi certa. Cacciato è così grigio e invisibile che nessuno saprebbe
descriverlo. E’ il soldato qualunque. E
comunque, un giorno, Cacciato dice ‘basta’ e se ne va. L’aveva detto, che
voleva andare a Parigi, che aveva studiato le mappe. Un disertore? Bisogna
inseguirlo e portarlo indietro. Partono in sette o otto, seguendo la scia degli
incartamenti delle barrette alimentari che Cacciato si lascia dietro. Rifiutano
di chiamarsi disertori, loro riporteranno Cacciato in Vietnam.
Inizia così il più straordinario racconto di viaggio- il lettore non
deve mai chiedersi dove finisca la realtà dell’esperienza vissuta e dove inizi
l’immaginato, si passa dall’una all’altro senza soluzione, quasi come se questo
fosse l’appendice indispensabile di quella. E invece non c’è dubbio sul dove
incominci la realtà della guerra, a mano a mano più difficile da sopportare- i
compagni morti: fino ad un attimo prima scherzavano e facevano battute e poi si
era in attesa dell’elicottero che ne portasse via i corpi (ammesso che
riuscisse ad atterrare);
la Regione dei Laghi (uno di loro l’aveva chiamata
così) con i crateri delle bombe piene di cadaveri galleggianti nell’acqua (già,
piove sempre); le maledette gallerie in cui due di loro avevano perso la vita:
perché mai esplorarle e non farle saltare subito in aria?; i villaggi bruciati,
la gente spaventata. Niente aveva preparato il ventenne Paul Berlin a tutto
questo. Perché poi si era arruolato? Questa non era la guerra combattuta da suo
padre in Europa, quando era chiaro dove
fosse il male. E poi si passa, dal racconto di paura e di morte, a quello del
viaggio, avventuroso, divertente, incredibile. Si varcano frontiere senza
alcuna difficoltà, uno di loro uccide un bufalo che traina un carro con due
vecchie e una ragazza in fuga (questa violenza immotivata è il risultato della
guerra) e tuttavia la conseguenza è che Paul Berlin si innamora della profuga
vietnamita che arriverà con lui a Parigi. Non prima, però, di essere caduti in
una galleria e aver conosciuto un vietcong prigioniero là sotto, di essere
arrestati e scappati (come nei migliori romanzi di cappa e spada) dalle
prigioni di Teheran- ed altre avventure ancora, per finire in una soffitta
(come in un romanzo dell’800) vicino alle campane di una chiesa e ai piccioni
che tubano.
La vera fine, però, è di quelle che segnano
per sempre, è la maniera più atroce per diventare grandi, per lasciarsi l’età
dell’innocenza alle spalle. E con Paul Berlin (un cognome che ricorda la guerra
di un’altra generazione) è tutta l’America che si è lasciata l’innocenza alle
spalle. Anche se, come dice il vecchio tenente, “Possono capitare cose
peggiori”. Lo sappiamo bene, con la conoscenza che abbiamo di quello che è
successo dopo.
Bello e straziante, questo libro che
contrappone la guerra ad un sogno.
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