Voci da mondi diversi. Cuba
testimonianze
FRESCO DI LETTURA
Canek Sánchez Guevara, “Il disco rotto. 33
rivoluzioni”
Ed. e/o, trad. R. Schenardi, pagg. 106, Euro 8,50
“Il disco rotto. 33 rivoluzioni” è un
libriccino, più simile ad un vecchio 45 giri che a un 33 giri, se vogliamo
mantenere l’immagine del titolo, quella del disco rotto che si incanta e ripete
all’infinito la stessa nota stonata e che finisce per infastidire. E l’inizio-
con il ciclone che investe Cuba con tutta la sua potenza-, se non fosse per la ripetizione ossessiva del
paragone con un disco rotto (le voci che parlano, il malfunzionamento di ogni
cosa, il sudiciume, la vita e la morte- tutto è un disco rotto), è un avvio che
non lascia presagire l’intero significato di quanto lo scrittore vuole dirci. C’è
tuttavia, nel sottofondo, una musica dalle note cupe che non intendiamo appieno
finché non si farà sentire con tutto il fragore dell’inutile protesta. Perché
questa è Cuba, Cuba che è come un disco rotto, Cuba senza speranza di
cambiamenti governata dall’uomo che l’ha salvata dalla dittatura di Batista, è
vero, ma che pretende di continuare a salvarla e si è trasformato lui stesso in
un dittatore.
Fidel con il Che e la figlia di questi, Hildita |
Chi parla è Canek Sánchez Guevara, il nipote di Ernesto ‘Che’ Guevara, figlio
della figlia Hildita che il Che aveva avuto dalla prima moglie Hilda, morto nel
2015 a soli 40 anni dopo un intervento chirurgico al cuore. Il suo libro si
legge di un fiato in meno di un’ora, non solo perché sono un centinaio di
pagine, ma perché siamo inghiottiti dallo scoramento e dalla disperazione dello
scrittore. Cuba è un disco rotto, niente cambia più a Cuba. Mentre il líder máximo ripete sempre le stesse
cose, mentre vengono ripetute le stesse promesse, i giorni colano l’uno
sull’altro sempre uguali- monotonia al lavoro che viene eseguito in una qualche
maniera, giusto per passare le ore, negozi sempre ugualmente privi dei generi di
consumo (e lui, lo scrittore, è fortunato perché la sua amica-amante russa del
nono piano lo rifornisce di moneta straniera e può fare acquisti nelle diplotiendas, i negozi statali riservati
ai funzionari del governo e agli stranieri residenti a Cuba), sempre la stessa
assurda esaltazione della povertà dignitosa anche quando non se ne può più di
non aver mai nulla di cui godere. Perfino il clima è sempre lo stesso, caldo e
soffocante. E per di più, come sempre, non si trova neppure birra fresca da
bere.
Il ricordo delle lotte passate, di quando suo padre si era unito ai barbudos, e poi l’insoddisfazione, la
cocente delusione per promesse non mantenute e sogni non realizzati si
trasformano, ad un certo punto, in qualcosa di diverso davanti allo spettacolo-
sarebbe ridicolo, se non fosse tragico- di coloro che allestiscono zattere di
fortuna pur di lasciare l’isola. Sorge la domanda che ci poniamo sempre ad ogni
arrivo delle bare galleggianti che trasportano i disperati attraverso il mare:
che cosa si lascia alle spalle questa gente per preferire il rischio dell’incognito
che li aspetta, se non quello della morte in mare? Lo scrittore guarda, la sua
macchina fotografica è il terzo occhio che testimonia la fuga- finirà per
unirsi anche lui a loro, patetiche figure, figli o nipoti di una patetica
rivoluzione.
Non c’è mai violenza nelle pagine di Canek Sánchez Guevara (sarebbe stato
interessante chiedergli quanto gli fosse pesato il fardello e la responsabilità
della Storia con il cognome che portava- un Guevara nemico della rivoluzione!),
non potrebbe esserci violenza perché si percepisce in ogni parola l’amore
travagliato di Sánchez
Guevara per quest’isola. Vi leggiamo invece rabbia contenuta e sdegno impotente
che si trasformano nell’ironia sofferta di chi non vorrebbe dire quello che sta
dicendo.
Il 25 novembre è morto Fidel Castro, quando ormai pensavamo fosse
immortale. Come un simbolo. Impossibile non dire che ne siamo rimasti tutti
colpiti. Con lui è morta anche l’ultima utopia, perché, come dice il
protagonista di un romanzo di Francisco José Viegas, “siamo andati tutti a
Cuba” quando eravamo giovani, anche se non ci siamo mai mossi da casa nostra. Abbiamo
tutti esultato e sperato nel mito della sua rivoluzione. E poi, come Canek Sánchez Guevara, ci siamo resi conto che
qualcosa non aveva funzionato e che era ora di un nuovo cambiamento. E ci siamo
sentiti tristi e defraudati.