Casa Nostra. Qui Italia
cento sfumature di giallo
INTERVISTA A ROBERTO COSTANTINI
Non facciamo paragoni, per piacere. Non
tiriamo fuori il nome di Stieg Larsson con cui Roberto Costantini non ha nulla
in comune, salvo l’aver in mente di scrivere una trilogia di cui “Tu sei il
male” è il primo libro. Ascoltiamo invece quello che lo scrittore ha da dirci
sul suo romanzo: sono certa che chi non lo ha ancora letto sarà stimolato a
leggerlo e chi, invece, lo ha già letto, avrà voglia di riaprirlo, per cercare
pagine e frasi su cui ripensare. Come avviene sempre quando un libro è molto
bello, molto ricco, molto profondo pur nell’apparente leggerezza.
Un esordiente non giovane, uno scrittore che ha fatto tutt’altro nella
vita prima di scrivere: come è arrivato alla scrittura? Perché ha scelto il
genere giallo-noir?
La mia passione per i
gialli è nata quando ero ragazzo- avevo sedici anni quando i miei genitori
hanno iniziato a mandarmi in Inghilterra per le vacanze-studio e io ho letto, a
poco a poco, tutti i libri di Agatha Christie in inglese. I gialli di Agatha
Christie sono dei piccoli capolavori, per la loro architettura, per le piccole
ambientazioni nella campagna inglese. Dopo la Christie ho scoperto Ellery
Queen, Conan Doyle e altri. A questa passione si deve aggiungere un’altra cosa
per spiegare come sia arrivato a questo romanzo: sono un ingegnere, avevo un
lavoro come consulente che mi portava a viaggiare moltissimo, in pratica ero via
tutta la settimana e passavo molte ore in volo. Non riesco a dormire in aereo e
allora ho incominciato a buttare giù appunti di idee. Ho accumulato appunti per
vent’anni. Quattro anni fa mi è capitato un lavoro complicato che mi ha fatto
perdere il sonno: ho deciso di sfruttare quelle ore di veglia per mettere
ordine in quegli appunti da cui è nato “Tu sei il male”. E’ una genesi banale,
ma è andata così.
“Tu sei il male” è il primo libro di una trilogia, un libro corposo di
quasi 700 pagine: come si affronta un simile impegno? Aveva uno schema, uno
scheletro su cui ha costruito la vicenda?
Come le ho detto, avevo
vent’anni di appunti, delle bozze per una storia lunga che ho capito doveva
essere divisa in tre parti. Sono un ingegnere, di conseguenza ho fatto dei
diagrammi di flusso su fogli con cui ho tappezzato la casa, con tutti i punti
di svolta della vicenda. Questo primo volume è una storia compiuta di per sé
che però lascia in sospeso qualcosa. Se si deve tracciare un paragone, citerei
il film “Il padrino”: è una storia che non poteva essere contenuta in un solo
film. E’ una storia complessa e ampia, sull’origine del male che in genere
nasce nell’adolescenza. E non intendevo dire tutto- come fa Kundera che scrive
dei bellissimi gialli dell’anima in cui fa capire le cose senza dirle. Voglio
lasciare spazio al lettore, che sia il lettore ad approfondire. Voglio lasciare
il dubbio, porre la domanda: che cosa faresti tu al posto suo? “Tu sei il male”
è un libro che lascia aperta la porta.
Balistreri nasce e cresce in Libia: perché gli ha voluto dare questi
due elementi della sua biografia?
Sono veramente le uniche due cose che ho
in comune con Balistreri…L’origine del male nasce da giovani, da sensazioni di
inadeguatezza. Perché stava in Libia Balistreri ha subito una serie di cose che
lo rendono violento e irascibile. Non lo è geneticamente- suo fratello è
diverso da lui-, ma per la storia della Libia tra il 1965-1970. L’ultima parte
della trilogia si svolge in un’ipotetica battaglia per la liberazione di
Tripoli- ipotetica perché è negli appunti scritti anni fa. Spero di poter
scrivere questa parte a Tripoli quando scriverò il terzo volume. La storia di
Michele Balistreri è quella di un ragazzo che non vede il futuro e risolve
questa sua incertezza, questa sua inadeguatezza, con la violenza, come avviene
agli adolescenti di oggi che sono turbati dai messaggi che gli manda il mondo-
la mancanza di prospettive di lavoro, i modelli televisivi di successo…Dal loro
senso di incapacità nasce la violenza: ci stiamo costruendo una generazione di
potenziali serial killer.
Visto che parliamo di Libia: che cosa ha significato per Lei leggere
della guerra, della fine di Gheddafi?
Come ho detto, ho già
scritto per intero la trama della trilogia e, nel terzo libro, la conclusione
in cui tutti i delitti trovano il colpevole avviene con la liberazione di
Tripoli, che io naturalmente avevo ipotizzato. Sono stato quindi sorpreso da
questa strana coincidenza di eventi. Da una parte ho sempre pensato che la Libia
avesse il diritto di riprendersi le sue proprietà e dall’altra già molti anni
fa pensavo- e l’ho scritto in un articolo- che con Gheddafi sarebbe finita a
cannonate. Per motivi di affari, che sono quelli che prevalgono sempre,
l’Italia ha chiuso ben più che un solo occhio, umiliandosi oltre ogni dire. E’
stato questo comportamento che ci ha costretto, per decenza, a non intervenire
in prima linea, come avremmo dovuto fare. Se da un lato sono contento
dell’evoluzione in questo senso, dall’altro mi dispiace, invece, per la
mediocrità dell’Italia in questo frangente.
La religione, gli uomini della Chiesa, il Vaticano, occupano un ruolo
importante nel romanzo. Si potrebbe pensare che si sottintenda una forte
critica di quella che spesso appare come una religione di facciata; eppure no,
ci sono anche personaggi che credono veramente, che mettono in atto le parole
di Cristo nella loro generosità verso il prossimo. C’è il bene e il male
ovunque?
Ha colto nel segno: non
c’è una posizione pro o contro, la religione non è garanzia né di bontà né
dell’opposto. L’essere buoni cattolici non vuole dire essere buoni o essere
cattivi. Il punto di vista di Michele Balistreri è quello di Nietzsche: la
religione è un freno, è un modo di non vivere, bisogna risolvere le cose in
questo mondo. E si scontra con il punto di vista del cardinale: quando la
Chiesa ritiene che una cosa sia giusta, tende a dire che è giusta per forza.
Questo è lo scontro tra Balistreri e la religione.
Nel libro c’è un’importante trama gialla con un serial killer, ma al
centro c’è anche il problema irrisolto dell’immigrazione e del razzismo. Che
prospettive pensa ci siano per un futuro di integrazione, considerando anche la
necessità della forza lavoro straniera?
Ho cercato di portare
attenzione al fatto che la paura genera il razzismo. La paura che l’altro
occupi i tuoi spazi, ti rubi il lavoro, violenti le tue donne, genera
intolleranza. Noi non riusciamo a trovare la via per essere consapevoli che la
presenza di questi immigrati è utile e necessaria all’Italia e dobbiamo
aiutarli ad integrarsi. Con la paura tutto diventa ‘tu sei il male’. La mia
intenzione era di scrivere un thriller mettendoci dentro altri argomenti su cui
riflettere.
Parliamo del suo tormentato protagonista. Perché gli ha dato un doppio
che si chiama Angelo e sembra essere il suo angelo custode?
Perché la storia del
Bene e del Male è una storia di specchi: non esistono personaggi come Michele,
come Angelo, come il fratello di Michele- sono tutti parti della stessa persona.
Michele è una parte che ciascuno di noi ha dentro se stesso. Ognuno sa che, se
si comportasse così, sarebbe fuori del contesto sociale di oggi. Accanto a
Michele ci sono personaggi opposti perché sono specchi della stessa persona: a
tratti, secondo la fase della vita, prevale l’uno sull’altro. Ci può essere il
male anche dentro persone irreprensibili. Non si può attribuire l’accusa ‘tu
sei il male’ a nessuno, il male è diffuso nella normalità, può venire fuori in
qualunque momento.
Può farci qualche anticipazione sui prossimi due volumi?
Dirò solo due cose in
breve: il personaggio della giornalista Linda Nardi, già importante in questo
romanzo, acquisterà un ruolo di primo piano in un’inchiesta per scoprire il
cuore violento dell’Italia che mescola sesso e politica- sarà sempre un giallo
con un serial killer. E poi, come nel modello de “Il padrino”, vedremo Michele
Balistreri da giovane, dove nasce la sua violenza.
l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it
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