il libro ritrovato
Elizabeth von Arnim, “Vera”
Ed. Bollati Boringhieri, trad.
Mia Peluso, pagg. 242, Euro 17,00
Si chiamino Ingeborg, come la protagonista
de “La moglie del pastore”, o Rose-Marie (“Lettere di una donna indipendente”),
Anna Rose o Anna Felicita (“Cristoforo e Colombo”), Fanny (“Mr. Skeffington”), Lucy
(nel romanzo appena uscito, “Vera”), siano sposate o no, giovani o di mezza età,
sono sempre deliziose le protagoniste dei romanzi di Elizabeth von Arnim. Hanno
delle qualità di freschezza, di intelligenza curiosa, di integrità e di
profonda innocenza che le rendono uniche; sono figure di donne che vivono nel
loro tempo- l’inizio del ‘900- e tuttavia sono al di fuori di qualunque tempo,
con quello sguardo così limpido che va dritto al cuore delle cose, trapassando
le barriere delle convenzioni o degli stereotipi. Sono indimenticabili.
Il titolo dell’ultimo romanzo pubblicato da Bollati Boringhieri (e ci
piace sottolineare che fu dato alle stampe per la prima volta nel 1921) è “Vera”,
e tuttavia Vera è già morta quando il libro inizia e la vicenda è quella della
giovane Lucy: nomi simbolici entrambi? Quando Everard Wemyss incontra Lucy, lui ha appena perso la moglie
Vera e a lei è appena morto il padre. E il carattere dei due personaggi è già
tutto nel loro primo scambio di parole, nella loro diversa reazione al lutto.
Tristezza forzata quella di Wemyss, seccato da un isolamento imposto dalle
convenzioni sociali e desideroso di sfogarsi con qualcuno nell’egocentrica
convinzione di essere l’uomo più disgraziato della terra- che sciocca era stata
Vera, a scivolare sul parquet e a cadere fuori dalla finestra! E che infami i
sospetti messi in giro da una delle cameriere: perché mai Vera avrebbe dovuto
suicidarsi? Tocca a Lucy, luminosa come il suo nome, consolarlo, lei che è muta
davanti alla perdita di un padre molto amato.
Che poi Lucy si innamori di
Wemyss e lui di lei, è scontato. Niente di più naturale per la ventiduenne che
sembra una bambina subire il fascino dell’uomo più anziano- che sollievo che ci
sia qualcuno che si prenda cura di lei al posto di suo padre, e Wemyss è
persino meglio di suo padre che la faceva sempre sentire poco intelligente e
poco colta. Niente di più ovvio anche per Wemyss, che trova qualcuno da dominare
con una tirannia camuffata da dolcezza e da affetto mielato.
Sembra un minuetto il romanzo della von
Arnim, ma quello che ci può essere di lezioso nella danza di questi personaggi
viene annullato da una sorridente ironia, da un umorismo gentile come quello
della Jane Austen. E’ come una leggera commedia in tre tempi: il
corteggiamento, il viaggio di nozze che è quasi una fuga, il ritorno a casa.
L’insinuarsi di Wemyss nella vita quotidiana di Lucy, la scoperta del sesso
(accennata con discrezione squisita dalla scrittrice) e una strana sonnolenza
continua, le prime sorprese al ritorno. E qui la commedia prende i colori del
dramma, perché Wemyss porta la giovane sposa nella casa che è stata di Vera,
quella in cui Vera è morta. Elizabeth von Arnim è troppo brava per non averci
sottilmente preparato al cambiamento dell’uomo, le avvisaglie c’erano già:
quando era che Lucy aveva iniziato a temere i suoi umori, a capire che non si
poteva contraddirlo, ad annoiarsi un poco davanti ai suoi bamboleggiamenti? Ma
Lucy è fragile, Lucy si ammala e si lascia imprigionare, ed allora Vera diventa
la vera eroina del romanzo a cui dà
il titolo, la donna che ha combattuto con tutte le sue armi contro i soprusi,
fino ad un gesto estremo che noi comprendiamo appieno e Lucy forse solo in
parte.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
Romanzo meraviglioso e agghiacciante: ti coinvolge in una spirale tremenda, che nella freschezza e nell'ingenuità della protagonista trova il terreno per condurre all'annientamento di sè. Una prosa talmente potente, che ti fa rivivere, come se tu fossi Lucy, la disperazione di sentirsi a poco a poco condurre, inesorabilmente, verso l'abisso ...
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