Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
il libro ritrovato
Ann Patchett, “Stupori”
Ed. Ponte alle Grazie, trad.
Silvia Piraccini, pagg. 390, Euro 18,60
Stavano per incontrare la tribù. Era
sempre stato quello l’obiettivo del viaggio, quindi perché Marina non ci aveva
ancora pensato? A rendere la giungla tanto sgradevole era stata l’assenza di
persone. Finora la giungla aveva offerto soltanto piante e insetti, viticci
appiccicosi e animali invisibili, ed era stato già brutto così, ma adesso
Marina capì che il peggiore scenario possibile erano in realtà le persone.
La dottoressa Annick Swenson, finanziata
dall’azienda farmaceutica Vogel per delle ricerche in Brasile, è ‘scomparsa’ da
sette anni nella foresta amazzonica. Ogni tanto riappare a Manaus per i
rifornimenti necessari, poi nessuno sa quale dei tanti minuscoli fiumi che si
gettano nel Rio Negro imbocchi la sua barca. Sarebbe ora che rientrasse nel
Minnesota, dove ha sede l’azienda, che fornisse la formula per il tanto atteso
farmaco che farebbe volare le quotazioni della Vogel. Un altro medico biologo,
Anders Eckman, viene mandato a cercarla. E a riportarla indietro, si intende.
Il romanzo “Stupori” di Ann Patchett prende l’avvio quando un aerogramma giunge
alla Vogel con la notizia della morte di Anders Eckman. La dottoressa Swenson
non si è sprecata: nel suo scritto molto spazio è dedicato alla pioggia
torrenziale, pochissimo all’uomo che, a quanto pare, è morto di febbre ed è
stato sepolto sul posto. L’amministratore delegato della Vogel informa per
prima la dottoressa Marina Singh, che lavorava fianco a fianco con Anders nello
stesso laboratorio. Toccherà a Marina portare la notizia alla moglie Karen.
Che, spezzata in due dal dolore, si rifiuta di credere che il marito sia morto.
E, se lo è, lei rivuole il corpo. Marina deve andare a cercarlo, a portarlo
indietro. Anche l’amministratore delegato pensa che Marina debba andare in
Amazzonia- ma per portare indietro la testarda e ribelle Annick Swenson. Ed è
così che, molto, molto malvolentieri, Marina Singh parte per Manaus.
Questa era un’introduzione necessaria, la
premessa alla straordinaria avventura- di Marina ma anche, prima di lei, della
dottoressa Swenson e di Anders Eckman. Un’avventura che diventerà la nostra,
leggendo. Se il primo tempo della vicenda si svolgeva in Minnesota, il secondo
si svolge a Manaus e il terzo nel cuore della foresta amazzonica. Marina
attende a Manaus. La sua attesa
assomiglia un poco a quella di Vladimir e Estragon per un Godot che non arriva
mai. Marina attende che Annick Swenson faccia una delle sue solite puntate a
Manaus, e intanto si abitua- al clima, alle piogge, a fare a meno del suo
bagaglio che non è mai arrivato, agli insetti, alla gente. Annick Swenson fa la
sua comparsa direttamente a teatro la sera della prima di “Orfeo e Euridice” di
Gluck e tutta la scena acquista una valenza simbolica. Marina in cerca di
Eckman è Orfeo che scende nel regno
degli Inferi per tirare fuori la sua amata. Orfeo cede alle suppliche di
Euridice e si gira indietro verso di lei: che cosa farà Marina? Quando Marina
sale sulla chiatta per risalire il fiume insieme alla dottoressa Swenson e ad
uno strano bambino sordomuto, ripensiamo al Marlowe di Conrad in “Cuore di
tenebra” e ci chiediamo quale orrore possa trovare Marina all’approdo o,
comunque, al termine di questa esperienza.
Sono molte le cose che ci tengono avvinti, stregati dalla narrazione di
Ann Patchett. L’incredibile fascino della foresta amazzonica da cui si è
tentati di fuggire immediatamente- forse perché intuiamo che altrimenti ne
resteremmo prigionieri. L’attrattiva degli indigeni lakashi che, pur essendo
lontani, oppure proprio perché sono lontani da ogni norma della civiltà, hanno
mantenuto un immediato contatto con la natura. Il carisma dell’incredibile
settantatreenne dottoressa Swenson che ha tenuto gli occhi fissi sul faro della
sua ricerca per anni senza curarsi di altro, che ha eseguito su se stessa la
prima sperimentazione di un farmaco rivoluzionario per le donne, obbedendo ad
un ammirevole quanto unico codice etico. La storia personale di Marina che,
figlia di padre indiano, non sembrerebbe neppure una straniera tra gli indigeni
dalla pelle scura.
Ci sono infine, i quesiti posti dalla
ricerca scientifica che riguardano un argomento di estrema attualità: la
fertilità femminile, fino a che punto sia giusto- per tutti quelli che sono
coinvolti- forzare la procreazione. E, secondariamente, l’inconciliabilità di
etica ed interessi economici.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it