Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Michelle De Kretser,
“Il caso Hamilton”
Ed. Neri Pozza, pagg. 348, Euro 17,00
“Ceylon.
Ceilao, sillabe che ripeto in segreto, desiderando di trovarmi là, dove il
mondo finisce in un azzurro profondo e nel colpo di coda di un mostro marino.
Da ragazzo ne adoravo il guizzo: un’isoletta che cavalca un oceano e niente a
frenarne la caduta.” E’ ambientato a Ceylon, l’odierno Sri Lanka, il romanzo “Il
caso Hamilton” di Michelle De Kretser, nata a Colombo ed emigrata a quattordici
anni con la famiglia in Australia. E, per definirlo, vengono in mente gli
aggettivi “lussureggiante”, “ricco”, “intrigante”. Lussureggiante come la
natura dell’isola che Michelle De Kretser descrive con l’intensità appassionata
di chi ha un legame stretto con un luogo. Il linguaggio della De Kretser ha la
capacità pittorica di rappresentare le sfumature di colore delle ombre della
giungla, delle pannocchie scarlatte della poinciana e il rosa delle amarillidi,
il verde smeraldo dell’ala di un pappagallo e l’azzurro del pavone, e quella
auditiva di risvegliare il rumore delle cateratte del monsone e dei canti degli
uccelli o del frusciare delle foglie o del respiro lieve dei fantasmi.
Sono parecchi i fantasmi che si aggirano a
Lokugama, la residenza di campagna della famiglia Obeysekere che è al centro del
romanzo- “chi sono i fantasmi se non cose che non sopportiamo di ricordare?”.
C’è quello del piccolo Leo, morto in culla a sei mesi, e poi quello di Claudia,
la sorella di Sam Obeysekere, che si è uccisa dopo aver ucciso il figlio
neonato, e quello di Taylor che si è impiccato in cella. “Il caso Hamilton”, quello
che dà il titolo al libro, è la vicenda di un piantatore inglese, Hamilton,
trovato morto su un sentiero nella giungla. Erano stati accusati dei
braccianti, poi Sam Obeysekere, avvocato che aspirava alla carica di giudice,
aveva spostato i sospetti su Taylor, l’amico di Hamilton, e, durante il
processo, la moglie di Taylor aveva accelerato la sentenza, offrendo il motivo
della gelosia per l’assassinio. Ma ‘il caso Hamilton’ è soltanto una delle
trame di questo “ricco” romanzo diviso in quattro capitoli, il primo e l’ultimo
con due narratori diversi e i due centrali raccontati in terza persona.
“La vita è sopportabile solo se può essere
considerata una serie di strategie narrative”, ed è con una serie di strategie
narrative che esplorano la connessione tra causa ed effetto che veniamo a
conoscenza della storia di Sam Obeysekere, nato all’inizio del secolo da una
famiglia di mudaliyar, soldati e
diplomatici che si misero al servizio dell’Impero. Nella prima parte del
romanzo ascoltiamo la voce di Sam, pomposa e leggermente retorica, che inizia
spiegando il suo nome di cui Sam è un acronimo- Stanley Alban Marriott
Obeysekere- dicendo “la prima storia che si associa a una vita è un nome”. Sono
tutti inglesi i primi tre nomi e Sam sarà asservito agli inglesi per tutta la
vita, con l’ansia di uguagliarli senza mai poter essere uguale a loro. Tanto
che, a scuola, il suo cognome verrà usato con disprezzo, impiegandone la parte
che significa ‘obbedire’ in inglese: “Obey di nome, Obey di fatto”. E prosegue
raccontando del nonno (morto con un colpo di pagaia sulla testa mentre cercava
di salvare una ragazza inglese. Come si permetteva un indigeno di toccare
un’inglese?), del padre generoso al punto da sperperare il patrimonio, della
madre Maud “fracassatrice” di cristalli negli accessi d’ira, della sorella
andata sposa a Jayasingha, compagno di scuola e rivale di Sam, leader del
partito nazionalista. E naturalmente racconta del suo ruolo nel caso Hamilton.
Ancora il caso Hamilton in una versione
obiettiva in terza persona nella seconda parte, mentre nella terza ritorniamo a
leggere di Sam, del suo matrimonio senza amore, del figlio Harry che finirà per
dirgli, “ti ho sempre odiato”, e soprattutto della straordinaria ed eccentrica
Maud, reclusa dal figlio a Lokugama, che sprofonda in una colorita e innocua
follia, scrivendo lettere in cui “trasforma l’insopportabile nel pittoresco”,
inseguendo visioni e ascoltando bisbigli di fantasmi che parlano di vecchie
colpe.
Se
la vita è come un romanzo e se il romanzo giallo ci insegna che niente è come
sembra e nessuno è credibile, qual è la verità sul caso Hamilton? E che cosa
dicono le ombre dei fantasmi che Sam non vuole ascoltare? L’ultimo tassello-
“la storia non è una questione di fatti, ma di punti di vista”- è dato dalla
lettera che costituisce la quarta parte del libro, scritta da Shivanathan,
l’avvocato diventato giudice al posto di Sam e autore del libro che Sam stava
leggendo quando è morto. Che conteneva peraltro una versione romanzata del caso
Hamilton. E ancora un’altra versione del caso Hamilton si legge nella lettera
di Shiva, per bocca di Jayasingha. A quale dobbiamo credere?
Il libro di Shiva si intitolava “Serendipità”:
se serendipità è il processo di scoperta casuale di cose sorprendenti e
interessanti, questo è quello che sperimentiamo leggendo il libro della De
Kretser.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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