venerdì 31 maggio 2024

Yu Hua, “La città che non c’è” ed. 2024

                                                            Voci da mondi diversi. Cina


Yu Hua, “La città che non c’è”

Ed. Feltrinelli, trad. Silvia Pozzi, pagg. 384, Euro 20,90

   Ci sono tre romanzi in questo ultimo libro di Yu Hua, uno dei più noti scrittori cinesi della nuova generazione, con un nome che è l’insieme di due cognomi- Yu, quello della madre, e Hua, quello del padre. La prima e l’ultima storia del romanzo sono speculari, la stessa vicenda vissuta e raccontata dall’uomo e dalla donna che ne sono protagonisti. Il ‘romanzo’ centrale è, invece, un affresco storico, direi quasi una storia di ‘cappa e spada’ in veste cinese, una storia di guerre tra briganti grondante sangue.

   Inizi del Novecento. Lin Xiangfu vive a Xizhen. È un uomo molto ricco che, oltre a possedere terre fertili, fa il falegname, con una abilità che lo rende famoso. Eppure nessuno sa niente di lui. Ricordano però quando è arrivato, diciassette anni prima, sotto una tormenta di neve, con una bimba piccolissima sulle spalle. Entrava in ogni casa da dove provenisse il pianto di un bambino, chiedendo che la mamma allattasse anche la sua, di bambina. L’avrebbe chiamata Lin Baijia, Lin delle Centofamiglie, “perché ha succhiato il latte da chiunque”. Chiedeva anche a tutti dove fosse la città di Wencheng (nessuno lo sapeva) e se conoscessero una donna di nome Xiaomei e un uomo che si chiamava Qiang (nessuno li conosceva).


     Il filo della storia si riavvolge indietro, alla vita precedente di Lin Xiangfu, figlio devoto che aveva perso i genitori e che si era innamorato di Xiaomei che era apparsa dal nulla alla sua casa, accompagnata da quello che diceva essere suo fratello. Il fratello Qiang se ne era poi andato e non era mai tornato a riprendere la sorella (ma era veramente sua sorella?). Questa è una storia d’amore di cui non voglio dire altro, la storia di un uomo troppo buono che si fidava troppo degli altri, forse un po’ troppo ingenuo come avviene spesso per chi non pensa che gli altri possano essere diversi. Fatto sta che Xiaomei se ne era andata (ed era la seconda volta), Lin Xiangfu si era ritrovato con una figlia e si era messo in cammino verso Sud perché voleva ritrovare la moglie.                                                                                                                            Aveva una meta, la città di Wencheng da cui fratello e sorella avevano detto di venire. L’irraggiungibile Wencheng diventa l’utopia, diventa il luogo dove l’amore fiorirà un’altra volta, dove una bambina troverà una madre, dove una spiegazione verrà data e tutto sarà appianato. Sul suo cammino, però, a Xizhen che non era Wencheng, il nostro Lin Xiangfu trova un amico, e forse l’amicizia vale di più dell’amore, e noi seguiremo questa seconda puntata della storia della sua vita.

simbolo della doppia felicità

   La seconda storia, che è la controparte di questa, è dal punto di vista di Xiaomei, sposa bambina, sposa ripudiata, sposa ripresa dal marito. E come era finita nella casa di Lin Xiangfu? Era veramente una madre snaturata che aveva abbandonato la sua bambina?

   Tra le due storie, collegate e separate, la Cina turbolenta degli inizi del ‘900 con guerre tra bande di briganti, saccheggi e stupri, violenze inaudite che ricordano quelle descritte da Mo Yan ne “Il supplizio del legno di sandalo”, rapimenti a scopo di riscatto, orecchi mozzati restituiti alle famiglie, tutta una serie di orrori che mettono in risalto la bella figura di Lin Xiangfu e del suo amico.

    Non troviamo, in questo romanzo di Yu Hua, il tono grottesco e paradossale che era la caratteristica dei suoi libri precedenti, ma il cambiamento piace proprio per questo. Piace leggere la quotidianità di due storie d’amore, di legami profondi di amicizia e di lealtà, piace leggere della vita comunitaria della cittadina di Xizhen, tanto più che questi valori sono fortemente contrastati dall’ondata di violenza che sembra travolgerli.  


 

    

mercoledì 29 maggio 2024

Alan Hlad, “I cacciatori di libri nascosti” ed. 2024

                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

                                             seconda guerra mondiale

   spy story

Alan Hlad, “I cacciatori di libri nascosti”

Ed. Piemme, trad. Annalisa Carena, pagg. 412, Euro 22,00

 

     È un romanzo. È una storia vera. E’ una storia vera coinvolgente e affascinante come un romanzo. È una spy story e anche una storia d’amore. Una storia di coraggio e di integrità, di quando si è chiamati a mettere in gioco la nostra vita per salvare la vita di altri, per poterci ancora guardare allo specchio senza vergogna.

    Inizia il 22 dicembre 1941, due settimane dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour, quando il presidente Roosevelt, su suggerimento del colonnello Donovan, dà il via libera per una missione speciale in Europa. Dei bibliotecari specializzati in microfilmaggio saranno mandati nei paesi neutrali con il compito di salvare giornali, manoscritti e libri contenuti nelle biblioteche, prima che possano essere distrutti come è già successo a Berlino nel rogo del 10 maggio 1933. Se poi riusciranno a mettere le mani su pubblicazioni del Reich con informazioni che potrebbero servire per cambiare l’esito della guerra, saranno tenuti a microfilmare pure quelli e a inoltrarli a Washington tramite voli speciali.


    Maria Alves (il personaggio vero si chiamava Adele Kibre e operava da Stoccolma), figlia di due fotografi, poliglotta, unica donna esperta di microfilm nella Public Library di New York, riesce ad essere tra i prescelti che andranno a Lisbona, in Portogallo (paese neutrale anche se più o meno apertamente simpatizzante con il nazismo). Il modo in cui Maria riesce a spuntarla per riuscire a vincere la diffidenza che porta a scartare le donne per una simile missione, la sua audacia e prontezza di spirito, la sua sfacciataggine nell’assumere una falsa identità pur di raggiungere il suo scopo, conquistano il colonnello Donovan e anche noi. La sua creatività nel prendere l’iniziativa è la sua carta vincente, più che la sua indiscussa abilità nel suo lavoro.

Adele Kibre

    Maria parte per Lisbona a bordo di un Clipper Yankee, un massiccio idrovolante della Pan Am che si schiantò sul fiume Tago il 22 febbraio 1943 (un disastro aereo vero anche se dimenticato). Maria si salva, anche se avrà sempre paura degli aerei e dell’acqua, ed inizia la sua avventura, così ricca di avvenimenti e di incontri e di trame segrete che lascio a voi scoprire.

    La traccia principale del libro è la missione dei bibliotecari, ma, ad un certo punto diventa una storia di spionaggio e di controspionaggio, sempre più pericolosa. È sufficiente dire che Maria conoscerà Eva Braun e verrà portata al Nido dell’Aquila (avrebbe rifiutato di accompagnare il suo nuovo ‘amico’, se avesse saputo).

Clipper Yankee

   Ci sono però altre due tracce che possono essere considerate una sola, una il risvolto dolce dell’altra che invece è dolorosa e rischiosa.

Tiago è il libraio che riesce a procurare più libri interessanti a Maria, però è nel mirino del PIDE, la polizia politica di Salazar. Perché nella sua piccola libreria c’è un andirivieni di persone che destano sospetto. È facile intuire che cosa si celi nella libreria di Tiago, che cosa nasconda sotto una piastrella del suo ufficio, perché l’anziana signora che lo aiuta in negozio accenda la radio per avvisarlo quando entra il temuto agente del PIDE. Durante il conflitto Lisbona era il trampolino che permetteva il salto verso la libertà, il porto da cui salpare per l’America. Vi confluivano ebrei in fuga dal nazismo, senza documenti validi, disposti ad attendere dormendo all’addiaccio. Molti arrivavano dalla Francia, dalla zona di Bordeaux dove i nonni ebrei di Tiago avevano dei vitigni. Era la ‘via della vite’ che seguivano, perché a loro volta i genitori di Tiago avevano delle vigne nei dintorni di Porto.


Questa è l’altra traccia piena di rischi del romanzo e la sua controparte, unico soffio di leggerezza nei tempi bui, è quella dell’amore tra Tiago e Maria.

    “I cacciatori di libri nascosti”, The Book Spy il titolo originale, colma una lacuna- sapevamo della fuga degli ebrei attraverso il Portogallo, sapevamo dei Monuments Men che avevano il compito di salvare le opere d’arte, non eravamo a conoscenza, invece, dell’IDC, in italiano Commissione Interdipartimentale per l’Acquisizione di Pubblicazioni Straniere.



lunedì 27 maggio 2024

Andrea Camilleri, “Un sabato, con gli amici” ed. 2024

                                                                           Casa Nostra. Qui Italia


Andrea Camilleri, “Un sabato, con gli amici”

Ed. Sellerio, pagg. 184, Euro 14,00

     Non è un ‘nuovo’ libro di Camilleri (è stato pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 2009), non è un romanzo ambientato a Vigata (piuttosto in un non-luogo senza nome), non ha Montalbano per protagonista (tre coppie e un amico in comune), non è un thriller (c’è però un morto), non c’è l’uso del dialetto che Andrea Camilleri ci ha insegnato ad amare e conoscere nei suoi libri.

    “Un sabato, con gli amici” è un breve romanzo con l’andamento e lo stile di un dramma teatrale, basato com’è sui dialoghi da cui dobbiamo indovinare i retroscena. Il titolo, con l’articolo indeterminativo e la virgola dopo il nome, lascia intendere che quanto è successo è accaduto di sabato, un sabato come un altro secondo le abitudini dei personaggi, gli amici che si incontrano con questa scadenza settimanale, e non per una semplice cena.


Nel capitolo iniziale la nostra comprensione non è immediata, in sequenza parecchi bambini sono, uno per volta, i protagonisti. Non sono ancora capaci di parlare bene, sono piccoli. Guardano, bussano a una porta chiusa, salgono sulle ginocchia di uno zio, molto spesso non capiscono quello che hanno visto ed è ancora peggio, perché serberanno un ricordo confuso e indelebile di quei momenti. E quello che hanno visto e vissuto in maniera infantile influenzerà pesantemente i loro comportamenti.

   Niente viene mai detto apertamente, molto è sottinteso, dei flash back ci mostrano scene di quando i sei erano tre ragazzi e tre ragazze che frequentavano la stessa scuola. Si conoscono da sempre, quindi, sanno quello che ognuno di loro vorrebbe tenere nascosto, ricordano i pettegolezzi e le chiacchiere su di loro, chi era stata la ragazza di chi, chi aveva lasciato chi.

   E poi, annunciato da una telefonata, si fa vivo un altro compagno di scuola. Come riusciranno a inserirlo nella loro serata, così socialmente diverso, gay dichiarato e comunista? Certamente tutti ricorderanno l’amicizia ‘speciale’ che lo legava a uno di loro. Il quale ora sa che il vecchio amico ha ricevuto per posta delle fotografie molto compromettenti di loro due in un tempo che si pensava morto e sepolto.


  È questo amico rispuntato dal nulla (è lui che viene ricattato o è lui che vuole ricattare perché non ha soldi?) che cade dal balcone. Aveva bevuto, aveva sniffato cocaina, il parapetto era basso. Un incidente. Sarà la versione ufficiale, non ci saranno conseguenze. Ma chi lo ha spinto?

    Il finale è doppio. Uno è sconvolgente per il cinismo, l’altro è una sorta di conclusione e di spiegazione che termina, questa volta con i nomi di ogni bambino che ora abbiamo conosciuto come adulto, le diverse situazioni in cui si erano trovati i piccoli dell’inizio.

    Si legge velocemente anche se, diciamo la verità, la nostra preferenza va al Camilleri di Montalbano o degli altri romanzi più corposi.



sabato 25 maggio 2024

Anita Likmeta, “Le favole del comunismo” ed. 2024

                                    Voci da mondi diversi. Albania

romanzo autobiografico
romanzo di formazione

Anita Likmeta, “Le favole del comunismo”

Ed. Marsilio, pagg.160, Euro 15,20

 

    Il Paese delle Aquile è il più felice che ci sia- è quello che viene detto di continuo agli albanesi, è come un mantra che, se continui a ripetertelo, ti incanta, agisce come una sorta di ipnosi e finisci per credere in quello che dici, vero o falso che sia. Manca l’acqua corrente, mancano le infrastrutture, mancano i soldi per comperare le scarpe per i piedini dei bambini che crescono in fretta, nelle case non c’è riscaldamento e ci si mette un maglione sopra l’altro, nessuno possiede un televisore e, quando la mamma ne manda uno in regalo dall’Italia, resta lì come un mobile perché non c’è l’elettricità. Ma che cosa importa se si vive nel paese più felice del mondo?


    Ari ha cinque anni e vive con i nonni, la mamma è andata in Italia con altri due bambini, tornerà poi a prenderla. I nonni sono affettuosi, ma Ari non fa che ripetere la domanda- quando verrà a prenderla la mamma?

Il libro autobiografico di Anita Likmeta, nata a Durazzo nel 1985 e arrivata in Italia nel 1997 per ricongiungersi con la madre che era giunta a Bari nel 1991 sulla nave Vlora, è diviso in due parti inframmezzate da ‘favole’.

Nella prima parte- la più lunga- la scrittrice rievoca la se stessa bambina e la vita quotidiana di uno squallore e una miseria che trovano un paragone in una Italia di mezzo secolo prima degli anni in cui cresce Ari. Non per niente l’Italia, dirimpettaia dell’Albania, appare come un paese mitico, il paese di Bengodi. È solo il nonno che non crede affatto che tutto sia così roseo in Italia, che, quando tutti incominciano ad andarsene, dice che lui resterà.

750.000 bunker in Albania

   Ari va con l’asino e le taniche a prendere l’acqua, Ari va a scuola (e la fanno sentire inferiore perché non ha i genitori), Ari deve bere l’uovo crudo che la fa vomitare perché sa di merda di gallina, Ari e i compagni di scuola rispondono alle domande dei giornalisti italiani, Ari difende l’amichetta a cui il maestro dà brutti voti perché è rom, Ari picchiata dal maestro, Ari che ascolta le storie di quando c’erano italiani e nazisti in Albania…fino all’entusiasmo per la caduta del muro di Berlino.

    Alternate a questa narrativa, che è sempre definita nel tempo con una data, ci sono- in corsivo- le favole in cui riappaiono personaggi che abbiamo già conosciuto nelle pagine precedenti, uguali eppure diversi. È come girare una medaglia, come sbirciare nel lato nascosto del felice Paese delle Aquile. Leggiamo della fine della ragazzina rom, del pittore che non voleva sposarsi e arrestato perché gay, del programma spaziale albanese che ti fa volare nello spazio vuotando una bottiglia di rakija, leggiamo perfino della nascita di Ariela, rifiutata dal padre ingegnere (se fosse stata un maschietto ‘se ne sarebbe potuto parlare’). Il tono è favolistico, ironico, mordace, quasi swiftiano, l’effetto che si ottiene calcando sull’esaltare la bontà delle scelte di partito è esattamente il contrario. Da una parte la narrazione disincantata e venata di tristezza della bambina lasciata indietro dalla mamma, dall’altra il racconto di una realtà camuffata da favola per rispondere a quello che si vuol fare credere, che il Paese delle Aquile è il più felice del mondo.


    Poi Ari raggiunge la mamma in Italia, l’inizio non è facile, anzi tutto è difficile. Difficile imparare a conoscere la mamma, imparare una nuova lingua, inserirsi in un altro mondo che ha il gusto squisito della cioccolata. Poi…Ari frequenta il liceo classico, si laurea, diventa imprenditrice nel ramo digital tramite le start up. Ma questa è storia nota, è una favola dei nostri tempi. A questa Cenerentola, che nel libro ha un nome doppiamente significativo, Ariela, che significa ‘Leone di Dio’ (e il leone, anzi, la leonessa in questo caso, è un animale battagliero), ed è anche lo spiritello che Prospero libera dagli incantesimi di una strega nella ‘Tempesta’ di Shakespeare, va il nostro rispetto.



mercoledì 22 maggio 2024

Lin Hierse, “Sogni di giada” ed. 2024

                         Voci da mondi diversi. Area germanica


                      Voci da mondi diversi. Cina
    Storia di famiglia

Lin Hierse, “Sogni di giada”

Ed. ObarraO, trad. Federica Garlaschelli, pagg. 160, Euro 15,20

    In una lingua il mio nome è composto da tre lettere, in un’altra da dodici tratti. In una lingua non indica nient’altro che me. In un’altra lingua significa giada.

    Due lingue, due culture, distanti tra di loro quanto possono essere i due numeri- 3 e 12- delle lettere e dei tratti per scrivere il suo nome, Lin. Che è quello della scrittrice nonché voce narrante di questo romanzo autobiografico in cui il trauma dell’emigrazione viene trasfigurato in sogni, “Sogni di giada” è il titolo in italiano. Potremmo scrivere la lettera g maiuscola, e allora sarebbero “Sogni di Giada”, in un gioco di parole che mette l’autrice al centro della nostra attenzione. Per non dire che i braccialetti di giada sono una traccia da seguire nel romanzo- il braccialetto che viene sepolto insieme alle ceneri di A’bu, quello di Mā, il suo, quelli che indossano tutte le donne cinesi, perché la giada porta fortuna, perché nei tempi antichi la gente credeva di poter entrare in contatto con gli dei tramite la giada. Il braccialetto di giada è diventato un segno distintivo per le donne che hanno lasciato la Cina- lei, Lin, che non ha mai lasciato la Cina, che è sempre e solo andata avanti e indietro per incontrare i parenti rimasti a Shanghai, lei ha il diritto di portare il braccialetto di giada al polso?


   Sembra essere un interrogativo di poca importanza, ma il suo significato è più ampio: è cinese, lei? o è tedesca? Dove sono le sue radici? Dove colloca la sua appartenenza? E il romanzo è, allora, una storia di famiglia, una storia che scava alla ricerca della propria identità, la storia di un rapporto- strettissimo- tra madre e figlia. Un romanzo sincero, onesto, percorso da una vena di poesia, tra passato e presente.

   È anche un romanzo di donne, “Sogni di giada”. Ci sono degli zii cinesi che Lin incontra quando va a Shanghai o con cui parla al telefono, ma prevalgono le figure femminili, A’bu (sempre chiamata così e non è il suo vero nome, è la nonna materna), la nonna (chiaramente è la madre del padre, tedesca), una zia (sorella della madre), Mā e lei stessa. E il padre è del tutto assente, di lui non sappiamo nulla, neppure che cosa in lui abbia fatto innamorare Mā, quando era arrivata in Germania.

    Il libro inizia con il funerale della nonna cinese, con un’arrampicata verso il cimitero, in alto su una montagna. Da qui, senza un ordine cronologico, con leggerezza, Lin Hierse intreccia storie del passato con storie del presente, storie di famiglia che sono state condizionate dalla grande Storia- A’bu che ammirava i piedini ‘fior di loto’ di un’altra bambina finché non aveva visto i suoi piedi nudi, con le ossa spezzate, la zia che aveva passato dieci anni nei campi di rieducazione di Mao, Mā che aveva studiato tedesco e aveva lasciato la Cina perché voleva un’altra vita.


Lin ammira sua madre, la ammira così tanto che deve fare uno sforzo per staccarsi da lei, per differenziarsi da lei, per trovare la sua identità. Per questo va a vivere da sola, per questo si taglia i capelli incorrendo nella sua disapprovazione. Il loro rapporto, la loro intesa, la comprensione reciproca, l’affetto che le lega, sono speciali. C’è come un elastico che tiene unite Lin e sua madre, Lin e la Cina, un elastico che, se tirato, le allontana e poi, lasciato andare, le avvicina di nuovo. E allora pensiamo che, nella sua ricerca dell’identità, la scrittrice si sia avvicinata di più a quella di provenienza materna, almeno affettivamente e sentimentalmente, anche se l’immagine che lo specchio le rimanda mostra i segni di un’appartenenza diversa, in un bellissimo incrocio di tratti somatici, in quello che è, in definitiva, uno straordinario arricchimento di culture.



   

 

lunedì 20 maggio 2024

Stephen Crane, “Il segno rosso del coraggio” ed. 2023

                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

                                            guerra di secessione americana

                                                     romanzo di formazione

Stephen Crane, “Il segno rosso del coraggio”

Ed. Sellerio, trad. Alessandro Barbero, pagg. 253, Euro 14.00

      Si chiama Henry Fleming, il giovane protagonista di questo classico (assolutamente da leggere) della letteratura americana. E tuttavia di lui si parlerà sempre come de ‘il ragazzo’, così come gli altri personaggi saranno identificati come ‘il soldato alto’, ‘il soldato stracciato’, ‘il soldato che parlava forte’. 

Il breve romanzo inizia quando il ragazzo decide di arruolarsi. “Non fare lo scemo”, gli dice la madre incredula, per poi fargli le raccomandazioni di ogni madre, “non dimenticarti i calzini e le camicie”, “pensa solo a fare la cosa giusta”, “stai attento e fai il bravo”.

    Poi Henry si trova catapultato in un altro mondo fatto di rumori e colori, di giubbe blu e di giubbe grigie. Fatto di colori, prima di tutto, e il colore dominante è il rosso. Il sole al tramonto tinge il cielo di rosso, l’aria stessa sembra essere colorata di rosso, perfino il rumore dei cannoni è rosso, rosso è il sangue dei feriti- quanto vorrebbe, il ragazzo, essere ferito e avere anche lui, come un’insegna al valore, una traccia di sangue, “il segno rosso del coraggio”. Il ragazzo scopre di non essere affatto coraggioso e, nella battaglia che dura due giorni e una notte, arriva a convincersi che non è certo l’unico ad avere paura, anzi, forse è una manovra intelligente, ripiegare avendo capito che gli unionisti stanno perdendo.


Dovrà mentire, il ragazzo, dovrà fingere di aver perso il suo reggimento, di essere stato ferito di striscio alla testa da una pallottola (è stato invece un banale incidente) lasciandosi fasciare e accudire. Il suo diventare grande passa per lo spettacolo sconvolgente della morte, da quella del soldato che stava camminando al suo fianco alla marea di corpi accasciati sul campo di battaglia, passa per la rivelazione che non c’è eroismo nella guerra, che la parte più facile è quella dei generali o degli alti gradi dell’esercito che non si espongono in prima linea, e che, se c’è eroismo, è nel vincere la paura.

   Sono due le battaglie che si stanno combattendo su quel campo su cui aleggia il fumo degli spari- quella dei blu contro i grigi (il volto del nemico non è mai messo a fuoco) e quella contro il se stesso oscuro, la parte di sé che si vorrebbe tenere nascosta. Dopo la vittoria il ragazzo sente di essersi ‘liberato dal rosso malessere della battaglia’- la battaglia è come una malattia e il colore (sempre il rosso del sangue) è lavato dalla pioggia che scende, il paesaggio riprende i suoi colori mentre ‘sopra il fiume un raggio di sole si aprì una strada dorata attraverso il plumbeo ammasso di nuvole.’


    “Il segno rosso del coraggio” fu dapprima pubblicato a puntate nel 1894 e poi in volume l’anno seguente. La guerra di secessione si era svolta tra il 1861 e il 1865 e Stephen Crane era nato nel 1871- non aveva una conoscenza diretta della guerra e ne scrisse un trentennio dopo la fine. Il fatto che non ci sia niente di precisato, né il tempo, né il luogo, né alcun nome dei generali, rende questo romanzo universale, lo trasforma in un classico della letteratura di guerra, una voce potente quanto il ruggito dei cannoni contro ogni guerra.



venerdì 17 maggio 2024

Charlotte Gneuss, “I confidenti” ed. 2024

                                 Voci da mondi diversi. Area germanica

     romanzo di formazione

Charlotte Gneuss, “I confidenti”

Ed. Iperborea, trad. Silvia Albesano, pagg. 219, Euro 17,00

 

    “I confidenti”. Questo non è il titolo originale del romanzo che a noi non avrebbe detto nulla: “Gittersee”, un sobborgo di Dresda. Il titolo italiano, però, coglie appieno la sottile ambiguità del libro. Perché il primo significato della parola ‘confidente’ è colui a cui si dice un segreto, qualcosa di molto intimo, mentre il secondo si riferisce a chi fa la spia, a chi è a pagamento per fare l’informatore. Sempre di segreti si tratta, ma quanto diversi! Adesso sappiamo che la Stasi, il Ministero per la Sicurezza dello Stato, cioè l’apparato di polizia segreta della DDR, aveva circa 180.000 informatori negli ultimi anni.  Charlotte Gneuss, nata nel 1992, non ha una conoscenza diretta del tempo della divisione della Germania, ma costruisce il suo romanzo sui racconti dell’esperienza di vita dei suoi nonni e dei suoi genitori- questo libro sarebbe stato impensabile senza i loro ricordi, dice lei stessa alla fine. E il suo merito è nell’aver trasformato la grigia realtà di quegli anni in un fresco romanzo di formazione in cui la subdola strategia della polizia segreta ha buon gioco sull’ingenuità dei giovani, già sbalestrati da conflitti familiari e amori adolescenziali.

    1976, un anno importante per la Germania dell’Est, un punto di svolta, un nascere di speranze in un cambiamento. Speranze frustrate dall’espatrio del cantante Wolf Bierman, colpevole di aver tenuto un concerto in Occidente,e dal suicidio di un prete che si era dato fuoco per protesta politica.


La voce narrante è quella di Karin, 16 anni, che vive con il padre, una madre molto giovane che soffre in quella vita ristretta, la nonna e una sorellina piccolissima di cui è lei ad occuparsi molto più spesso della madre. L’esistenza di Karin sembra essere quella di una qualsiasi adolescente, divisa tra la scuola, le chiacchiere con l’amica Marie, e soprattutto il suo primo amore, Paul, che lavora in miniera insieme all’amico Rühle. E tuttavia comprendiamo presto che la loro vita non è del tutto normale, perché c’è un divario tra le loro aspirazioni e quello che invece dovranno accettare di fare, perché è lo Stato che decide per loro, che indirizza il loro futuro verso studi o un lavoro di cui lo Stato ha bisogno. Paul vorrebbe fare l’artista, Marie vuole addirittura essere la prima donna che sbarca sulla luna. L’irrealizzabilità di questo desiderio esprime meglio di ogni cosa le pastoie che tengono legati i cittadini della DDR. E poi c’è Berlino, il sogno di Berlino. Berlino rappresenta il primo passo verso l’Occidente a cui si guarda non più come al paese dell’egoistico capitalismo ma come al luogo delle possibilità.

   Tutto inizia con la proposta di Paul di andare in Cecoslovacchia


sulla sua moto (una Schwalbe che, guarda caso, ha un nome che significa ‘rondine’) per il solstizio d’estate. Karin non ha il permesso di andare con lui, ma si stupisce nel vedere Paul che nasconde dei soldi sotto il copertone. È proibito uscire con dei soldi dal paese, non lo sa? Ma è Karin che non sa, che non capisce che Paul ha in mente di passare all’Ovest. Infatti non ritorna. E la Stasi arriva a casa di Karin e inizia a fare domande. È impossibile che lei non sapesse, che non lo abbia aiutato, che lei non sappia adesso dove sia Paul.

    Mentre la famiglia di Karin si disgrega, con la madre che va a stare da un’amica a Dresda, il padre che incomincia a bere, la nonna che accusa Karin di essere tale e quale a sua madre, la piccola che resta sempre più affidata alle cure della sorella maggiore e Karin che non sa capacitarsi che il ragazzo che la chiamava ‘Virgola’ abbia potuto lasciarla così, entra in scena il funzionario Wickwalz. Fa sempre più spesso visita a Karin, la consola, si comporta un po’ come un padre, un po’ come un amico, in una maniera subdola che però la ragazza non capisce. Le fa delle promesse, la lusinga, come se quello che lei dice abbia un grande valore per il socialismo, per la loro Germania. Karin non capisce, le piccole cose che racconta, del padre che Marie non ha mai conosciuto e che vive all’Ovest, del pacco che è stato fatto arrivare a Paul, le sembrano di nessuna importanza. Ma l’onnipotente Stasi che vede pericoli dappertutto, giudica diversamente. La ragazza che si è sentita tradita, finisce per tradire. Finché si accorge di essere stata intrappolata, tutto viene riequilibrato, a sorpresa. Dopo aver letto l’ultima pagina, vi consiglio di andare a rileggere la prima.



   

   

mercoledì 15 maggio 2024

David Nicholls, “Tu sei qui” ed. 2024

                       Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

        love story

David Nicholls, “Tu sei qui”

Ed. Neri Pozza, trad. Scilla Forti, pagg. 371, Euro 19,00

    David Nicholls ha una sensibilità speciale per raccontarci una storia d’amore, per scrivere un romanzo di genere sentimentale che, detto così, potrebbe essere ‘sciropposo’ e banale. E invece non lo è, il suo è un genere sentimentale con eleganza e con umorismo garbato e, in “Tu sei qui”, ambientato in un paesaggio splendido (nonché piovoso- ma ci si può aspettare altro dall’Inghilterra?), con una storia d’amore che nasce durante un viaggio che non è propriamente un viaggio, ma un percorso a piedi coast-to-coast attraverso le brughiere e le colline della Cumbria e dello York, dal Mare d’Irlanda al mare del Nord.

   Ci sono un lui e una lei, quindi. E c’è un’amica ‘galeotta’. Senza di lei Michael e Marnie non si incontrerebbero mai, perché Michael, 42 anni, è un professore di geografia a York e Marnie (38 anni) lavora da casa, a Londra, editando romanzi di ogni tipo. Entrambi sono dei solitari, scottati da esperienze precedenti. Michael è stato lasciato dalla moglie di cui è ancora innamorato, Marnie ha alle spalle un divorzio da un marito del tipo ‘meglio perderlo per trovarlo’. Cleo è amica di entrambi e ha insistito con entrambi perché uscissero dal loro guscio e si unissero al piccolo gruppo che aveva messo insieme per questo trekking di circa 300 km. In realtà Cleo aveva immaginato di combinare due coppie diverse, ma la ragazza che aveva destinato a Michael non era venuta e il giovane uomo (piuttosto presuntuoso) che avrebbe dovuto fare coppia con Marnie abbandonerà il gruppo dopo il primo giorno. Anche Cleo e il figlio si sarebbero defilati, lasciando Michael e Marnie da soli.


    Michael non è nuovo a questa esperienza, ama camminare, è la sua valvola di sicurezza. Però ama camminare da solo e dapprima mal sopporta la compagnia di Marnie, non vede l’ora che lei, scoraggiata dalle obiettive difficoltà del percorso, aumentate dalla pioggia e dal peso dello zaino, decida di tornare a Londra. Già, il peso dello zaino. Perché Marnie, camminatrice del tutto inesperta, aveva portato ben dodici paia di pantaloni, tre abiti da sera, scarpe con il tacco, mentre Michael viaggia leggero, lavando la biancheria ogni sera e indossando ogni sera la stessa camicia. Una situazione che sarà lo spunto per battute ironiche- Michael è piuttosto ‘ingessato’, ma Marnie è spiritosa e pronta a cogliere il lato buffo delle situazioni, Michael è il professore e anche il poeta che sa decifrare l’età delle rocce, riconosce alberi e uccelli, coglie la bellezza del paesaggio, Marnie è troppo affaticata per guardarsi attorno, sbuffa e inveisce contro la pioggia, contro il povero Michael che l’avrebbe ingannata sulla difficoltà del percorso. Però, nonostante tutto, Marnie è vitale, ha un’allegria di fondo, uno spiccato senso dell’umorismo. Lei inizia a trovare bello il profilo di lui, lui incomincia ad apprezzare le battute di lei, la trova bella, le propone di camminare ancora un giorno quando quella che si conclude dovrebbe essere la sua ultima tappa.


    A questo punto uno penserebbe ad un finale facile e scontato, ma non è così. Avete presente i cartelli che indicano un percorso, con la freccia che punta su ‘Voi siete qui’? “Tu sei qui”, dice il titolo del libro- dove sono i due protagonisti? Chi dice all’altro, ‘tu sei qui’? la storia del trekking coast-to-coast (affascinante di per sé, il racconto di questo percorso, viene voglia di farlo anche noi, la mappa è già tracciata sul libro) è raccontata alternativamente dai due punti di vista che quindi si sovrappongono, a volte simili e a volte molto diversi.

    “Tu sei qui” forse non ha la magia di “Un giorno”- forse è del tutto impossibile, quando si è scritto un libro di grande successo, ritrovare la stessa alchimia, ma è una lettura piacevolissima, distensiva, intelligente, ricca di riferimenti ai Lake Poets. Mi sono posta però una domanda- come hanno fatto i due personaggi a non prendersi neppure un raffreddore con tutta l’acqua che li ha inzuppati? Non viene mai detto che abbiano preso neanche un’aspirina.



 

domenica 12 maggio 2024

Alexandra Lapierre, “Belle Greene” ed. 2021

                                                  Voci da mondi diversi. Francia

biografia romanzata
il libro dimenticato (2021)

Alexandra Lapierre, “Belle Greene”

Ed. e/o, trad. Alberto Bracci Testasecca, pagg. 507, Euro 19,00

 

    Inventarsi una nuova identità, prima di tutto. Era assolutamente necessario se si voleva fare Passing, cioè nascondere le origini di colore e passare per bianchi. Perché no? Gli afro-americani dalla pelle scura erano cittadini di serie B nonostante la guerra di secessione li avesse liberati, limitati nelle scelte lavorative, trattati con disprezzo dalla società bianca. E i meticci, quelli con la pelle che poteva avere sfumature diverse, dal candido al miele, al caffelatte, perché discendenti da qualche capriccio di un padrone bianco? A meno che non facessero Passing, non avevano una vita migliore degli altri. Pene terribili erano riservate, però, a chi veniva scoperto.

    I genitori di Belle Greene, la protagonista del romanzo di Alexandra Lapierre, non erano persone comuni. La madre Geneviève era insegnante di musica, il padre Richard Theodore Greener era stato il primo studente nero e il primo laureato nero a Harvard, avrebbe esercitato come avvocato, sarebbe stato un attivista per la giustizia razziale e infine console a Vladivostock. Per quell’epoca, però, aveva già lasciato moglie e figli- ecco perché questi si sarebbero inventati una nuova ascendenza e un nuovo nome. Sarebbero diventati i da Costa Greene, di origine portoghese (il che avrebbe giustificato l’aspetto ‘mediterraneo’ di Belle), provenienti dalla Virginia dove avevano perso le piantagioni. E dovevano giurare di non mettere mai al mondo dei figli- se il gene nero fosse rispuntato, sarebbero stati rovinati. Tutti. E dovevano far perdere le tracce al padre, perché non li smascherasse.


    Di tutti i Greene era Belle ad avere la personalità più forte, più volitiva, più ardita. Aveva solo 22 anni quando iniziò a lavorare nella biblioteca della Princeton University. Un po’ di fortuna (la conoscenza occasionale di Junius Morgan, nipote di J.P. Morgan), un po’ di fascino personale, molta bravura e competenza nel suo lavoro, ed eccola nel 1905 assunta come bibliotecaria dal ricchissimo banchiere e imprenditore John Pierpont Morgan.

    Alexandra Lapierre segue passo passo l’ascesa di Belle, come conquisti la totale fiducia del suo datore di lavoro che finirà per mettere nelle sue mani ogni acquisto che avrebbe valorizzato la sua biblioteca, gli incontri, le amicizie, gli amori, i rapporti non sempre facili con la sua famiglia. Era Belle a tenere in mano le redini di tutto, era lei a mantenere la madre, le sorelle e il fratello, sarà lei ad affrontare il padre quando questi li rintraccia e potrebbe smascherarli. In realtà l’incontro tardivo con il padre, quando lei è ormai molto conosciuta e foto che la ritraggono sono apparse sui giornali, insinua in lei un tarlo. C’è molto di vero nel rimprovero paterno- sono molto simili, lui e lei, ma hanno combattuto su due fronti opposti per rivendicare l’uguaglianza tra neri e bianchi, per mostrare che l’intelligenza dei neri è pari a quella dei bianchi. Richard Greener si è distinto elevandosi tra i neri, Belle Greene lo ha fatto prendendosi gioco dei bianchi.

Richard T. Greener

   Una vita come quella di Belle trabocca di esperienze in ogni campo e, avendo vissuto fino al 1950, è passata anche attraverso tragici momenti storici- l’affondamento del Titanic (la White Star Line era di proprietà di J.P.Morgan che fu accusato di aver provocato il disastro per suo tornaconto personale), il crollo della borsa del ‘29, la prima guerra mondiale in cui perse la vita il giovane marito della sorella minore, la seconda guerra mondiale a causa della quale morì l’adorato nipote, figlio adottivo di Belle. Questi non era morto in battaglia- il che sarebbe stato già duro da sopportare-, ma la proposta di matrimonio che aveva fatto ad una ragazza bianca prima di essere inviato oltreoceano aveva scatenato conseguenze che lo avevano portato al suicidio. E Belle ne era stata distrutta. Mai avrebbe immaginato una cosa del genere quando, baldanzosamente, avevano saltato la linea di confine tra neri e bianchi.

    La precisione della ricostruzione storica e ambientale di Alexandra Lapierre è quella che già conosciamo, alla ricca documentazione la scrittrice aggiunge la capacità di far vivere i suoi personaggi sulla carta, di farli brillare, di farceli conoscere con i loro pregi e difetti, con le loro reazioni, con i loro sentimenti, i momenti di gioia, di dolore, di estasi. E, nel caso di Belle Greene, con il suo amore per la cultura, la venerazione per i libri antichi che impariamo a valutare insieme a lei.