Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
fresco di lettura
Anna Quindlen, “Natura morta con briciole”
Ed. Cavallo di ferro, trad.
Annarita Guarnieri, pagg 286, Euro 15,30
Titolo originale: Still Life with
Bread Crumbs
La sua seconda mostra fotografica era stata
intitolata Piano di cucina, ed era stata vista come un monumento iconico
dell’arte femminile, ma in effetti all’epoca in cui aveva scattato quelle
fotografie era soltanto stanca…stanca nel modo in cui lo diventa una donna che
ha un figlio e un marito e una casa e un lavoro e una vita, al punto che la
stanchezza comincia ad essere avvertita come una latente malattia cronica.
Una casa piuttosto malandata in un luogo
sperduto, tra i boschi. Una donna di sessant’anni, Rebecca Winter. Come si fa a
scrivere un romanzo su elementi così scarni? Eppure Anna Quindlen ci riesce
benissimo, regalandoci uno splendido libro di quieta bellezza.
Rebecca Winter era famosa. Era quella
Rebecca Winter che aveva scattato la fotografia che l’aveva resa famosa, Natura Morta con Briciole, che si vedeva
appesa un po’ ovunque, nei college, nei negozi, nei ristoranti. Era stata
scattata in un momento di quotidiana ispirazione, piatti sporchi in cucina, uno
strofinaccio strinato di bruciato accanto, resti di cibo. Eppure i critici,
‘gli altri’, ci avevano letto il messaggio di una casalinga sconfortata- a quel
tempo Rebecca era, di fatto, una casalinga con un bambino piccolo e un marito
intellettuale e donnaiolo che l’avrebbe presto lasciata per una terza moglie.
Da allora Rebecca aveva proseguito la sua carriera di fotografa, senza riuscire
a riconoscersi nei colleghi che parlavano della fatica del mestiere, implicando
che era il loro genio a trasformare la realtà in uno scatto d’arte. Per Rebecca
era piuttosto il contrario: la meraviglia di qualcosa che colpiva la sua
attenzione impressionava, in qualche modo, la pellicola.
Poi: il divorzio, un figlio da crescere da
sola e che, ora adulto, lei doveva ancora aiutare economicamente, la madre,
ammalata di Alzheimer, che suonava un immaginario pianoforte in una casa di
cura, il padre in un appartamentino con la badante, la sua casa di New York che
era diventata troppo dispendiosa. E la sua ispirazione che pareva essersi
dissolta, mentre la sua mente fotografava le cifre delle entrate e delle uscite
sul conto corrente. Per questo aveva deciso di affittare l’appartamento di New
York che tanto amava e prendere in affitto quella casetta che, secondo
l’inserzione, aveva “un panorama incantevole”. Peccato che avesse solo quello.
Rebecca non era preparata a sentire gli strani rumori provocati da un procione
che si era infilato nel suo sottotetto, ad esempio. Né a doversi accendere il
fuoco con la legna. E neppure a non riuscire ad aprire la porta di casa per il cumulo
di neve che si era accatasta.
“Natura morta con briciole”, Still Life with Bread Crumbs: c’è una differenza
fra la definizione ‘natura morta’ e ‘still life’. L’italiano sottolinea l’idea
di morte, l’inglese quello di vita, di un momento di vita fissato
nell’immobilità. Ed è come se osservassimo- invece della fotografia- la vita di
Rebecca Winter colta in un periodo di stasi, mentre lei raccoglie le briciole
della sua esistenza. A sessant’anni si può- forse si deve- iniziare a fare una
resa dei conti. Rebecca ricorda- l’innamoramento, il matrimonio, il tradimento
di lui. Come si può cadere nella trappola dell’amore? Come si può essere così
ciechi? Come si può lasciarsi annullare da un uomo? E poi rivede se stessa bambina,
il suo rapporto con il padre e con una madre anaffettiva. Ora che i soldi si
sono volatizzati, Rebecca riscopre l’essenzialità. Conosce un uomo molto più
giovane di lei, il riparatore di tetti che non ha frequentato l’università ma
che le insegna i segreti degli animali. Rebecca cambia e cambiano le sue
fotografie. Ma c’è ancora qualcosa che Rebecca deve imparare e che ha a che
fare con l’eticità dell’arte.
La nuova serie di foto che la riporta alla
ribalta della notorietà ritrae una serie di croci in cui si è imbattuta nel
bosco. Croci che parlano di un qualche dolore straziante, adorne di una foto, o
di una bambola, o di un nastro. Aveva il diritto, Rebecca, di appropriarsi di
quelle croci, trasformandole in arte visiva e sfruttando una tragedia che
ignora?
Il finale è tinteggiato di rosa, ne avrei
preferito uno più realistico per questo romanzo molto bello che mi ha fatto
pensare all’impareggiabile “Stoner” di John Williams, forse per la pacatezza
della narrazione, per la sensazione di una stanca pienezza che ci comunica una
protagonista non più giovane, per la profonda lezione di vita che apprendiamo
senza accorgercene, leggendo il libro.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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