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FRESCO DI LETTURA
Serena Vitale, “Il defunto odiava i pettegolezzi”
Ed. Adelphi, pagg. 284, Euro
16,15
Vladimir Majakovskij, Volodja per gli
amici. Un poeta. Un gigante. Un gigante non soltanto perché era grande e grosso
(non è solo il notorio amore dei russi per tutto quello che è grande a far sì
che le statue che lo rappresentino siano enormi), ma perché aveva una
personalità dirompente e imponente. Guardiamo le sue foto. Naso carnoso e
pronunciato e occhi profondi e magnetici. Ti inchiodano. Come i suoi versi di
poeta ribelle e anticonformista.
Il 14 aprile 1930 Vladimir Majakovskij
morì, quando non aveva ancora compiuto trentasette anni. D’altra parte per lui
la giovinezza finiva a trent’anni. Morì suicida, sparandosi un colpo di pistola
nella stanzetta di una kommunalka,
uno di quei grandi appartamenti le cui singole stanze erano date come alloggio
a persone diverse, spesso a famiglie intere che si accalcavano in quello spazio
ristretto. Con lui c’era una delle tante donne da lui amate, l’attrice Veronika
Polonskaja. E per qualcuno che, nella lettera di addio, ha scritto, “Non
incolpate nessuno della mia morte e, per piacere, non fate pettegolezzi. Il
defunto li odiava.”, quanti pettegolezzi, quante versioni diverse di quello che
era accaduto, furono diffusi in giro. Le ultime parole della lettera contengono
un addio che ha sapore di Shakespeare, così lapidario: “L’incidente è chiuso,/
la barca dell’amore si è schiantata”.
Nel suo libro-saggio, “Il defunto odiava
i pettegolezzi”, Serena Vitale, professoressa di letteratura russa, traduttric,
scrittrice di cui ricordiamo “Il bottone di Pushkin”, ricostruisce la morte- e
la vita, soprattutto la vita, per cercare di spiegarne la morte- di Vladimir
Majakovskij. Prima la morte, come fosse un’indagine poliziesca. Le ore e i
minuti. Che cosa aveva fatto il poeta il giorno precedente. Quando era arrivato
in quella che era una delle sue due abitazioni. In taxi. Con Veronika
Polonskaja. Veronika era uscita dalla stanza prima o dopo lo sparo? Il giorno
prima aveva detto che lo avrebbe lasciato e invece, il 14 di aprile, gli aveva
detto che avrebbe lasciato il marito? Si è ucciso per amore, Volodja? Per le
critiche alla sua ultima produzione teatrale? E con quale pistola? E’ possibile
che c’entrassero i servizi segreti nella sua morte?
Veronika Polonskaja |
Leggiamo e rileggiamo le
affermazioni dei vari testimoni, spesso ci sono evidenti contraddizioni, la
voce fuori campo della scrittrice ce le fa notare, commenta per noi quanto è
stato detto (dopo l’apertura degli archivi nel 1991 si sono potute avere più
informazioni), mescola in maniera intrigante il presente dei mesi e dei giorni
che precedono la morte con il passato, i viaggi di Majakovskij all’estero, lo
strano ménage a tre con Lilja Brik e il marito di questa, l’amore per un’altra
donna ancora, Tatiana Jakovleva, la bella Tatà sposata De Plexis, e per Elly
Jones conosciuta in America da cui il poeta ebbe una figlia (la incontrò solo
una volta). Non solo. Serena Vitale inserisce stralci di poesie, o poesie
intere, nella narrazione e il lettore si trova del tutto immerso in
un’atmosfera che è poesia- le grandi
purghe di Stalin devono ancora venire e Volodja è il cantore della rivoluzione
(avverte già un filo di delusione?), è il più grande interprete di una vita che
celebra il libero amore e rifiuta i lacci dell’amore convenzionale della
società piccolo borghese: “Per me l’amore non si misura con le nozze.”. Ma poi
ne muore.
“Buona permanenza al mondo”, augura
Vladimir Majakovskij in chiusura della sua ultima lettera (perché scritta a
matita? Amava le penne stilografiche, c’è una foto in cui sembra che discosti
la falda della giacca per mostrare la penna che spunta dal taschino). E’ come
se lo dicesse anche a noi che viviamo quasi cento anni dopo la sua morte. Ma è
morto Majakovskij? Può morire la poesia? Di certo no, finché un libro bello e
appassionante come questo di Serena Vitale contribuisce a farcelo ricordare.