Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Tarun J. Tejpal, “L’alchimia del desiderio”
Ed. Garzanti, trad. Barbara
Bagliano, pagg. 504, Euro 18,60
Una coppia giovane e innamorata,
lui è un aspirante scrittore in crisi di ispirazione. Quando si trasferiscono a
vivere in una splendida casa ai piedi dell’Himalaya, la scoperta dei diari
della donna che aveva abitato là in passato aiuterà lo scrittore a forzare il
blocco che gli impedisce di scrivere, ma causerà pure il suo allontanamento
dalla moglie. Il tempo di immergersi nelle storie di vite di altri, seguendoli
dall’America in Europa e poi in India. Per poi ritrovare la donna che ha sempre
amato.
INTERVISTA A TARUN J. TEJPAL, autore de “L’alchimia del desiderio”
“Non è l’amore il collante più forte tra
due persone, ma il sesso”: inizia con questa frase il romanzo di Tarun Tejpal,
lo scrittore indiano nato a Nuova Delhi nel 1963 che ha vent’anni di carriera
giornalistica alle spalle. E c’è molto sesso in tutta la prima parte- peraltro
intitolata “Amore”- de “L’alchimia del desiderio”, in cui l’io narrante,
aspirante scrittore, celebra i suoi quindici anni di amore per Fizz con pagine
che sono un inno all’unione fisica, un’esplorazione del corpo della donna,
un’indagine su quella che è l’alchimia del desiderio: una combinazione infinita
di elementi diversi che conducono tutti alla vetta del piacere. Non si riescono
a contare le descrizioni degli accoppiamenti dei due giovani, li conterà per
noi lo stesso protagonista, quando inizia a scrivere il libro e indica con una
stella a margine delle pagine le volte che ha interrotto la scrittura perché
preso dalla voglia di Fizz. Ma resterà deluso chi si accinge a leggere il
romanzo con curiosità morbosa, perché capita raramente di leggere di rapporti
sessuali così espliciti eppure nel contempo così elegantemente poetici, come se
Tejpal obbedisse disobbedendo ad una delle leggi che il giovane protagonista
fissa per sé, come base per la sua attività di scrittore, “Evita l’argomento
sesso: è difficile cavarci qualcosa ed è facile scadere.” E poi, ad un certo punto,
la voglia di Fizz scema, scompare. In mezzo ci sono stati altri due capitoli,
“Azione”- l’attività del protagonista come giornalista, opportunità ottima per
una panoramica sulla politica in India dopo la perdita dell’innocenza che segue
la morte di Gandhi- e “Denaro”- l’eredità che permette alla coppia di comprare
una casa in montagna, amore a prima vista per “l’unico posto al mondo a cui le
nostre caviglie sono incatenate e al quale dobbiamo tornare, per quanta strada
ci sia da percorrere”.
Nel quarto capitolo, “Desiderio”, viene trovato un baule
murato in una parete della casa. Contiene 64 quaderni rilegati in pelle, sono i
diari di Catherine, la donna bianca che mezzo secolo prima è stata la
proprietaria della casa alle pendici dell’Himalaya, e la sua storia diventa un
romanzo dentro il romanzo, l’ossessione del protagonista che non riesce a
staccarsi da quelle pagine. Alla coppia narratore-Fizz si sostituisce un’altra
coppia, Catherine-Gaj Singh- o erano loro stessi in una vita precedente? O sono
una reincarnazione di Shiva e Parvati, la coppia primigenia, creatori e
distruttori? E si tratta poi dello stesso tipo di rapporto, o questo è fatto di
puro desiderio, con conseguenze drammatiche che scopriremo nel seguente
capitolo, “Verità”, mentre si trattava di amore nell’altro? Perché la frase che
termina il romanzo è il capovolgimento di quella d’inizio, “Non è il sesso il
collante più forte tra due persone, ma l’amore.”
Ma c’è ancora un’altra alchimia del
desiderio in questo romanzo esuberante di storie, quasi come un romanzo di
Rushdie, ed è proprio quella creata dalla magia delle parole che intessono una
storia: come noi lettori siamo stregati da quella che leggiamo, così la
diciassettenne Fizz era stata incantata dai racconti del futuro amante, marito,
scrittore, e Catherine aveva addirittura accettato di sposare l’uomo che sul
filo delle parole l’aveva portata in India, pur sapendo che era omosessuale. E
lei, a sua volta e attraverso le pagine scritte, avrebbe ammaliato il
protagonista, fornendogli il soggetto di questo romanzo. Stilos ha intervistato
Tarun Tejpal.
Il suo romanzo è stato pubblicato in India nel 2005 e sappiamo che il
2001 è stato per lei un anno cruciale, dopo che ha denunciato per corruzione il
Ministero della Difesa tramite il suo giornale on line Tehelka.com. Stava già
scrivendo il libro all’epoca dei fatti in cui è stato coinvolto? Come riusciva
a concentrarsi con tutte le difficoltà che stava affrontando?
E’ da vent’anni che cerco di trovare il
tono per questo romanzo: l’anima della letteratura è nelle storie intime, ma io
cercavo un tono che mi permettesse di dire non solo la storia intima ma anche
di parlare dei temi più vasti che mi preoccupano. E nel 2001 avevo avuto questa
grossa storia, è stata una lotta quotidiana, perseguitato dal governo che avevo
accusato di corruzione attraverso le pagine del mio giornale. Avevamo dovuto
chiudere gli uffici, eravamo in difficoltà, e poi a metà del 2002 ho avuto come
un’illuminazione, quel tono che cercavo mi è venuto con chiarezza e ho iniziato
a scrivere. Ho scritto per sedici mesi senza interruzione, ogni giorno,
dovunque mi trovassi: il libro mi cantava in testa. E’ stata una cosa
straordinaria: era il periodo più difficile della mia vita, lottavo contro il
governo, nessuno sapeva che scrivevo, tranne mia moglie e le mie figlie, e il
libro mi cantava in testa: in poco più di 500 giorni avevo finito quel libro
che mi cresceva dentro da vent’anni.
Non possiamo fare a meno di osservare delle somiglianze tra lei e il
narratore della storia: anche lei ha studiato economia a Chandigarh, anche il
suo personaggio fa il giornalista…Come è successo che dagli studi di economia è
passato a fare il giornalista e lo scrittore?
Fin da quando ero al college la mia prima
ambizione era di scrivere un libro, ero un grande lettore, a sedici anni avevo
già letto tutto il canone della letteratura occidentale. Ma a quei tempi in
India non era possibile essere uno scrittore a tempo pieno e così a vent’anni
sono diventato giornalista. In realtà ho scelto il giornalismo per due motivi:
primo, perché lo vedevo come la strada per diventare uno scrittore, secondo,
perché volevo sposarmi e avevo paura che, se non mi sbrigavo, i suoi genitori
avrebbero dato in sposa a qualcun altro la ragazza che amavo. Così sono
diventato giornalista e mi sono sposato. E ho avuto tanto successo come
giornalista che ho dovuto aspettare prima di diventare uno scrittore. E poi,
poco prima dei trent’anni, mi è passata la voglia di scrivere tanto per
scrivere: volevo scrivere un libro che avrebbe esplorato territori inesplorati,
che avrebbe portato cose nuove.
Ad un primo livello di lettura, il libro è sull’amore e il sesso e la
dipendenza dal sesso, ma, ad un altro livello è un libro sull’amore per le
parole e sulla dipendenza dalla scrittura e dalla lettura: qual è la
connessione tra le due cose?
La connessione è quella dell’arte, l’arte e il desiderio che è collegato
con l’arte. Il desiderio crea la bellezza e il mondo, ma il desiderio può anche
distruggere. Il desiderio è al centro dell’esistenza, desiderio per l’arte, per
la bellezza, ma anche per il potere e la gloria: noi cerchiamo un equilibrio
tra queste cose. Penso che il libro sia meno sulla sessualità che sull’amore,
sull’arte, il dolore, la sofferenza, il colonialismo, la verità. E’ su quello
che le persone fanno l’una all’altra.
E’ per via di questa connessione, perché il fascino delle storie è
forte, che Catherine si innamora di Syed e Fizz del narratore, proprio come
Desdemona si è innamorata di Othello ascoltando i suoi racconti?
La cosa più potente di qualsiasi altra
cosa è l’amore che è costruito sulle storie. Tutti noi, come persone e come
nazioni, ci costruiamo una vita sulle storie che ci raccontiamo su chi siamo,
da dove veniamo, che cosa vogliamo diventare. E alla fine sono queste storie
che ci fanno diventare come siamo. La storia che mi dico è quella che io
diventerò: ogni paese ha la sua storia ed è
la storia che ha. E’ così anche per l’amore: le storie che gli amanti si dicono
li formano come amanti. La storia che faccio su di me mi fa diventare quello
che sono: alla fine del giorno noi siamo la storia che ci siamo raccontati.
Le storie del romanzo ruotano intorno a tre donne straordinarie:
Catherine, Fizz e Bibi Lahori. Fa parte della sua esperienza, l’essere venuto a
contatto con delle donne eccezionali con una forte personalità?
Assolutamente sì: credo che le donne siano
il sesso forte, sono più intelligenti emozionalmente, hanno più sfumature, una
maggiore abilità di sopravvivere. Nella mia vita sono circondato da donne
straordinarie: mia moglie, le mie figlie, madre, sorelle, amiche, colleghe.
Sono più splendide degli uomini che conosco. Penso che le donne abbiano di più
da dare al mondo e che il futuro appartenga a loro. Anche sessualmente le donne
sono più ricche, quello della sessualità maschile è un mito.
E poi c’è un altro personaggio importante, in apparenza muto, in realtà
con più di una voce: la casa alle pendici dell’Himalaya.
Prima di tutto devo dire che la casa
esiste: se il lettore segue le indicazioni stradali del libro, arriva alla
casa. E sì, la casa è un personaggio. E adesso devo dire come è nato il
romanzo: mia moglie ed io abbiamo comprato quella casa molti anni fa e gli
abitanti del luogo ci avevano detto che era stata costruita verso il 1890, ma
nessuno sapeva nulla della donna che aveva vissuto là. Non sapevano da dove
venisse, solo che era bianca e che era morta lì. E ho iniziato a pensare a
questa donna e mi è parso che ci potessero essere solo due motivi per spiegare
come fosse possibile che una persona avesse attraversato mezzo mondo per vivere
in un villaggio alla base dell’Himalaya. Poteva essere per inseguire il potere
e il denaro oppure per un grande amore. Non poteva essere per il primo motivo,
non c’erano né potere né ricchezza lì; restava il secondo, l’amore. Mesi dopo
il libro è diventato la storia del narratore in cui inserii anche questa storia
insieme ad altre.
Il narratore stabilisce per sé delle regole quando inizia a scrivere:
una è “scrivi in terza persona, con l’onniscienza dello scrittore”. Lei ha
scelto la prima persona narrante ed è passato alla terza quando avrebbe potuto
usare la prima, con i diari di Catherine.
Non c’era nessuna altra maniera che la
prima persona narrativa per rendere l’intimità del viaggio dentro e fuori di sé
del protagonista. Non si può afferrare
la qualità provvisoria della verità se non con la prima persona, proprio perché
non è onnisciente. La realtà è provvisoria, dipende da dove la si guarda. La
vita ha sempre dei lati che non conosciamo, ma questo è difficile da catturare
nella narrativa perché non si vuole diventare astratti. La verità è che
cerchiamo sempre la verità ma ci sono cose che non sapremo mai. Io stesso, come
scrittore, non so che cosa accadrà al mio personaggio. E invece Catherine
doveva essere capita attraverso la sensibilità del narratore, perché lui legge
i diari e racconta la storia e la storia deve dunque essere filtrata da lui,
dalla sua sensibilità.
“Evita il sesso: è difficile cavarci qualcosa ed è facile scadere”, è
un’altra delle regole. C’è molto sesso nel suo libro, eppure lei evita le
trappole dello “scadere”. E’ come se lei- come il suo personaggio- fosse
consapevole del pericolo e riuscisse ad evitarlo: come ci è riuscito?
La cosa più difficile in assoluto di cui scrivere sono i piccoli gesti
dell’amore e la seconda cosa più difficile è il sesso. L’amore è accompagnato
da piccoli gesti che sono l’anima dell’amore, eppure, basta sbagliare una
parola e diventano goffi e vuoti. Il sesso: vedo la sessualità come
l’esperienza centrale della vita, l’esperienza più forte, più potente e più
trascendente della condizione umana. Spero di essere stato capace di rendere
nel libro l’anima della sessualità, il suo lirismo. E’ un’emozione di cui è difficile
scrivere- volutamente non ho mai menzionato nessuna parte del corpo.
Il personaggio ha idee molto negative sul giornalismo: qual è la sua
opinione? Che cosa è il giornalismo per lei? Qual è la funzione del
giornalismo?
Io dedico la vita al giornalismo e non lo
farei se non pensassi che ha una funzione molto importante. Doppiamente
importante nel mio paese dove ci sono ancora molte battaglie da combattere,
dell’uguaglianza, della discriminazione, dell’estremismo religioso, della
corruzione. E’ quello che faccio ogni giorno nel mio giornale. Certo, c’è
giornalismo buono e giornalismo cattivo, la lotta è per fare del buon
giornalismo, come fare della buona letteratura, d’altra parte. Il giornalismo è
sul presente, la letteratura è fare un passo indietro. Il giornalismo è tenersi
vicino alla costa, la letteratura è veleggiare al largo: si può affogare, ma se
si è capaci di manovrare e salpare, si possono trovare terre fantastiche, più
soddisfacenti di quelle del giornalismo.
Nella maggior parte dei romanzi di scrittori indiani troviamo una
visione molto negativa dei britannici durante l’Impero. Lei, tuttavia, è
persino più severo nel suo giudizio verso i ricchi indiani dei tempi
pre-coloniali e coloniali.
Sono contento che lo abbia osservato, perché
penso che i sovrani che hanno dominato le risorse indiane per secoli hanno
avuto un comportamento infame nei confronti dei poveri. I grandi impulsi della
scienza e dell’Illuminismo che cambiarono l’Europa sono passati al largo
dell’India perché i governanti indiani erano felici di lasciare la gente
nell’ignoranza. Hanno favorito solo quello che dava loro piacere: i grandi
palazzi, la musica, l’arte, ma solo per il loro piacere. Non hanno fondato
scuole o università, nessun sistema sanitario, hanno preferito lasciar la gente
nell’ignoranza per poterla dominare. Anche sotto la dominazione britannica,
quelli che si sono alleati con i britannici lo hanno fatto alla ricerca del
proprio vantaggio. Ed è per quello che mi piace il personaggio di Syed, il
marito omosessuale di Catherine: perché lui è il tipo di persona che poteva
cambiare l’India: Syed è l’uomo nobile tradito dal suo corpo.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos