lunedì 19 maggio 2025

Ermal Meta, “Le camelie invernali” ed. 2025

                                                           Voci da mondi diversi. Albania

           dramma

Ermal Meta, “Le camelie invernali”

Ed. La Nave di Teseo, pagg. 224, Euro 18,05

 

      E pensare che è un fiore così bello, la Camelia Sasanqua che fiorisce in inverno. Un fiore così bello che, però, assume un significato tristissimo nel nuovo romanzo di Ermal Meta, lo scrittore italiano nato in Albania, un fiore che, con quel colore rosso rubino, può contenere un messaggio d’amore oppure di violenza e di sangue.

     C’è tanta violenza, scorre tanto sangue ne “Le camelie invernali”, un romanzo che scorre su tre fasce temporali che hanno in comune il kanun, il codice di leggi albanesi tramandato oralmente per secoli- il kanun pone l’accento sull’onore familiare e impone la vendetta di sangue per il disonore.

    Il prologo si svolge nell’Albania del Nord nel 1875 ed è limitato all’episodio raccontato- un giovane che si avventura fuori di notte, incontra la morte e viene rimandato a casa gettato sul suo cavallo. È un antefatto che getta l’ombra su tutto il romanzo, è qualcosa che è accaduto in un lontano passato ma che ha ubbidito ad una legge sempre valida che continua a spargere sangue.


    Nel 2025 una ragazza italiana, figlia di immigrati albanesi, si reca per la prima volta in Albania con l’intenzione di parlare con una persona che sarà esemplare nella ricerca che sta facendo per la tesi di laurea. E’ un cugino ad accompagnarla a Mamurras dove vive un uomo, chiuso in casa. Se uscisse, lo ucciderebbero perché si è macchiato di una colpa e sangue chiama sangue- è il kanun.

    Nel 1992 ha inizio la faida fra due famiglie. È lui, l’uomo che vuole essere chiamato soltanto ‘il Prigioniero’ che parla e racconta. C’erano due coppie- Halil e Rozafa che avevano due figli, Uznan e Nina, e Zek e Odeta che avevano solo un figlio maschio, Samir, grande amico di Uznan. Un giorno la piccola Nina era scomparsa, era un dolore da cui i genitori non si erano più ripresi. Poi c’era stato un banale litigio tra ragazzi seguito da un litigio più aspro tra i due padri, erano venuti alle mani, Zek era caduto picchiando dalla testa ed era morto. Le lacrime della moglie nascondevano la gioia per essersi liberata da un marito che la riempiva di botte. MA i suoi due cognati esigevano vendetta, era il figlio a dover vendicare il padre. Sarebbe stato capace Samir di uccidere il suo amico? Avrebbe sopportato Uznan di vivere recluso per tutta la vita? C’è una sola via d’uscita che può salvare entrambi, liberandoli dalla tradizione del sangue- fuggire, passare il confine con la Grecia.




    Non finisce tutto qui, c’è molto altro nella trama del romanzo, c’è il motivo nascosto per cui Samir si presta ad aiutare il suo amico, c’è la scoperta dell’atroce verità di quello che è accaduto a Nina, i colpevoli sono più di uno, chi deve vendicarsi di chi? Finirà mai questa scia di sangue?

Il romanzo ha risvolti pulp e granguignoleschi e finisce per essere sovrabbondante abbandonando il semplice filone del terribile impatto della legge del kanun, quell’obbligo alla vendetta per salvare l’onore che perde significato con il passare del tempo e che rende ‘l’erede del sangue’ doppiamente prigioniero, in quanto segregato in casa ma anche in quanto chiuso nella strettoia di una legge che forse neppure condivide.

    Una maggiore semplicità avrebbe giovato al romanzo.









     

martedì 13 maggio 2025

Alessandro Robecchi, “Il tallone da killer” ed. 2025

                                                                          Casa Nostra. Qui Italia

         cento sfumature di giallo

Alessandro Robecchi, “Il tallone da killer”

Ed. Sellerio, pagg. 340, Euro 16,00

     I due protagonisti si chiamano, no, non hanno un nome perché ne hanno molti per esigenze di lavoro. Li identifichiamo come Quello con la cravatta e il Biondo, poi apprenderemo quelli che usano per copertura. Va da sé che Quello con la cravatta indossa ogni giorno una cravatta diversa, inoltre è sposato e ha un figlio adolescente. Il Biondo è single e si può permettere di avere un’amica. Sono gli unici due soci della loro ditta e si occupano di…uccidere a pagamento. Be’, immedesimandoci nello stesso humour nero dei due soci, che parola volgare ‘uccidere’! Loro tolgono di mezzo, eliminano persone scomode, persone da cui si vuole ereditare, persone di cui ci si vuole vendicare. A loro i motivi non interessano, sono dei professionisti da non confondersi con i dilettanti che fanno lavori malfatti. Le loro parcelle forse sono un poco alte, due o trecentomila euro- ‘ma che cosa non è caro a Milano?’. Loro lavorano bene, nessuno dubiterebbe che un tal coniuge si sia sparato da solo in un incidente di caccia, inciampando nel suo stesso fucile, ad esempio. Ci sono problemi di marketing- come si può reclamizzare la loro offerta? Non si può certo mettere un annuncio. Loro due si basano sul passaparola con un sistema collaudato di appuntamenti presi tramite un necrologio.


     Serena Bertamé vuole fare uccidere l’amante multimilionario che ha una famiglia regolare a Londra ma è padre di suo figlio. L’occasione sarebbe la visita di lui a Milano nei giorni di San Valentino. Il lavoro non è facile perché l’amante ha un autista che gli fa da guardia del corpo e alloggia in un albergo di super lusso in cui è difficile introdursi. E purtroppo la sua suite è al secondo piano, una accidentale caduta da una finestra non lo ammazzerebbe. E però Quello con la cravatta e il Biondo non hanno dubbi: accetteranno il lavoro perché gli permetterà un salto di qualità, anzi, un salto di introiti. È sulla fascia dei ricchi che bisogna puntare.


    Questo è solo l’inizio di un romanzo che non ci fa sentire la mancanza di Carlo Monterossi (protagonista dei romanzi seriali di Robecchi), perché la trama è piena di imprevisti, di complicazioni, di cambiamenti di strategia, scorre veloce e, soprattutto, è divertente. Ad un certo punto ai due si aggrega una ‘collega’ che gli aveva rubato un lavoro, una donna esperta che si rivelerà un valido aiuto quando le cose si complicano- c’è qualcun altro che vuole uccidere il milionario (eh no farsi fregare la vittima così!), qualcun altro che lo tallona. E i morti si moltiplicano, e così pure il divertimento del lettore.


    Non c’è mai un calo nella narrativa, le sorprese e le inventive si susseguono, la vita è un gioco che termina con la morte. È un gioco quando Quello con la cravatta si cala nel ruolo di padre che dovrebbe parlare con il figlio che forse ha messo incinta la sua ragazza sedicenne, ma è anche un gioco quando la nuova collega che loro chiamano ‘la stagista’, come se facesse un apprendistato, entra con il carrello e la bottiglia di champagne nella suite del milionario, o quando lo sciopero dei treni fa fallire il loro piano di finto suicidio da parte del suddetto milionario. Ogni situazione dà origine a battute, i dialoghi scorrono sul filo dell’ironia e dell’umorismo nero- un umorismo e un’ironia intelligenti e sottili.

    Se avete bisogno di rilassarvi, di passare un paio di ore non impegnative, questo è un libro che vi consiglio. Il divertimento è assicurato, e un divertimento noir non è da trascurare.



giovedì 8 maggio 2025

Jeremias Gotthelf, “Il ragno nero” ed. 1996

                                                                  Off the main road

Voci da mondi diversi. Svizzera

Jeremias Gotthelf, “Il ragno nero”

Ed. Adelphi (1996), trad. M. Mila, pagg. 184, Euro 13,30

 

    Era un pastore svizzero, Jeremias Gotthelf- un bellissimo cognome che si era scelto come pseudonimo, aiuto di Dio, e che ben si adattava al suo compito di pastore di anime. Il vero nome era Albert Bitzius, nato nel 1797 e morto nel 1854. Ci viene quasi un capogiro nel leggere queste date e rivolgere l’occhio all’abisso del tempo, perché poi, leggendo il suo racconto lungo “Il ragno nero”, ci stupiamo invece di quanto sia attuale, di quale monito sempre valido contenga.

    L’inizio è idilliaco- una festa di paese per un battesimo. Una natura verdeggiante, un villaggio incastonato tra le montagne, gente vestita a festa, si mangia e si beve in onore del nuovo bambino accolto nella comunità dei fedeli. Poi qualcuno fa un’osservazione sul legno scuro di una finestra, diversa da tutte le altre, e il nonno, una sorta di memoria storica, incomincia il suo racconto.

   La vita nel villaggio non è sempre stata così serena. C’era un castello sulla collina, c’era un cavaliere che spadroneggiava sui contadini. Dopo gli sforzi che questi avevano fatto per costruirgli il castello, il cavaliere non era soddisfatto. C’era troppo sole sulla salita per arrivare all’ingresso, avrebbero dovuto piantare- in breve tempo- un numero di betulle che fiancheggiassero la strada, facendo ombra. I contadini erano sgomenti. Se obbedivano avrebbero dovuto trascurare i campi e di che cosa si sarebbero nutriti? Ed ecco che arriva un cacciatore vestito di verde con una piuma rossa sul cappello, una barbetta rossa su un viso scuro, un naso ad uncino e un mento appuntito. Si dichiara pronto ad aiutarli a trasportare i tronchi con il suo carretto, il lavoro sarà finito a tempo. Si accontenterà di poco come ricompensa- un bambino non battezzato.


    È il tema eterno, ricorrente in tutte le culture, tra mito e leggenda, della lotta tra l’uomo e il diavolo, delle tentazioni a cui l’uomo è sottoposto da parte del diavolo che vuole impossessarsi della sua anima, ad iniziare dai Testi Sacri fino al dramma di Marlowe e al romanzo di Thomas Mann. È la lotta tra il Bene e il Male, una lotta senza quartiere.

   Nel racconto di Gotthelf i contadini si ritraggono inorriditi, poi una donna (ecco un’altra figura femminile che si accorda alla tradizione per suggerire l’astuzia ingannatrice) propone di accettare l’aiuto e di lasciare scornato poi il cacciatore verde al momento della consegna. Ma è così facile imbrogliare l’omino verde alias il diavolo? Anzi, le conseguenze sono terribili. Fa la sua comparsa il ragno nero a cui non si sfugge- la scelta stessa di aver rappresentato il Male sotto l’aspetto di un ragno dalle molteplici zampette che si può insinuare ovunque è significativa. Nel 1434 imperversava la Peste- ecco, il ragno nero è come quel flagello. E il ragno nero non colpisce solo il corpo dei malcapitati ma anche la loro anima- i contadini sono incattiviti e malevoli. Finché…e qui Gotthelf rispolvera un altro dettaglio delle leggende. L’astuzia e la bontà di un uomo riescono a imprigionare il ragno in un buco del legno e lo tappano dentro. C’è ancora un seguito…

dal film

    Ho letto che Elias Canetti ha scritto: ”Lessi Il Ragno Nero e mi sentii perseguitato, come se quel ragno si fosse annidato sul mio viso.” È l’impressione che ho avuto anche io leggendo il racconto, tanta è la forza descrittiva, il realismo con cui l’autore ci narra di questa eterna lotta. Colpisce, poi, il contrasto tra l’aracnide nero (ma ad un certo punto tutta la natura pullula di questi esseri neri) che contiene in sé una minaccia mortale e la quiete verdeggiante della natura che pare indifferente.

    Giustamente è stato definito un piccolo capolavoro.




    

giovedì 1 maggio 2025

Intervallo

 

Il mio computer ha bisogno di una 'ripassata', starò senza pc per una settimana (più o meno).

Mauro Mazza, “Mostruosa mente” ed. 2025

                                                                 Casa Nostra. Qui Italia

     biografia romanzata
   seconda guerra mondiale

Mauro Mazza, “Mostruosa mente”

Ed. Fazi, pagg. 312, Euro 17,10

     

    Ce lo siamo sempre domandato: come può una madre uccidere a sangue freddo i suoi sei- sei- bambini? Lo ha fatto Magda Goebbels, moglie del ministro della propaganda nazista Joseph Goebbler.

Era il primo maggio 1945, l’Armata Rossa aveva invaso Berlino, chi aveva potuto era fuggito, i ragazzini della Hitler Jugend difendevano le strade della città in macerie con il coraggio dell’incoscienza e della disperazione, il 30 aprile Hitler si era ucciso insieme a Eva Braun (l’aveva sposata il giorno prima). In quel bunker dove ormai vivevano da giorni, Magda aveva dato ai bambini da bere una bevanda con della morfina e poi aveva rotto una fiala di cianuro nella bocca di ognuno di loro. Tranne la più grande, che aveva cercato di opporre resistenza, i piccoli non si erano accorti di nulla, erano passati dolcemente da un sonno all’altro. Come aveva potuto, Magda? Dove aveva trovato la forza? Il libro di Mauro Mazza ci aiuta a capirla.


     Lo scrittore ha scelto la forma di un presunto diario o comunque di una narrazione in prima persona in cui Magda mescola passato e presente, il presente è nel bunker del Führer, costruito 8 metri sottoterra nel giardino della cancelleria. Tra i fedelissimi che si erano rifugiati lì insieme al Führer e a Eva Braun, c’era Goebbels con tutta la sua famiglia.

Magda racconta della sua infanzia, dell’allontanamento dalla madre e del suo desiderio di essere diversa da lei, degli studi nelle scuole religiose, del primo matrimonio e del primo figlio avuto quando lei era giovanissima. Poi la svolta quando Hitler era apparso sulla scena politica, la separazione dal marito con cui era rimasta in ottimi rapporti, il corteggiamento di Joseph Goebbels, un uomo che aveva un certo fascino pur con la sua zoppia e la sua fisionomia spigolosa.

Nello stesso tempo Magda racconta dell’attrattiva che Hitler esercitava su di lei, di come il suo matrimonio con Goebbels fosse stato, in un certo qual modo, un matrimonio con sostituta persona, quasi che, non potendo sposare Hitler che dichiarava apertamente che la sua totale dedizione alla Germania gli impediva di sposarsi, l’unione con il suo ministro fosse la migliore seconda scelta possibile.


    É una donna invasata, quella che parla. Se Hitler vedeva in lei il modello della donna tedesca, lei avrebbe fatto di tutto per adeguarsi, per essere la donna che il Führer vedeva in lei. Il suo aspetto, così prettamente tedesco e ariano, giocava a suo favore, alta, bionda, con gli occhi azzurri- era perfetta. Non bastava. Magda doveva anche diventare LA madre, la procreatrice che doveva dare tanti figli alla Germania. Da qui la delusione per la nascita di due femminucce prima che arrivasse il desiderato maschietto che sarebbe stato seguito da altre tre bambine. Tutti biondi, tutti perfettamente ariani, tutti con un nome che iniziava con H in onore a zio Adolf. Il prezzo da pagare per le numerose gravidanze era stato alto per Magda. La sua salute ne aveva risentito, ma l’orgoglio per essere additata come esempio, l’ammirazione e l’affetto costante di Hitler, il fatto che Eva Braun ricercasse la sua amicizia e la sua complicità, erano una valida ricompensa.

     La voce narrante di Magda è affrettata, quasi ansimante, quasi si sentisse incalzata a ricordare, a raccontare tutto prima dell’arrivo dell’Armata Rossa. La sua è una storia personale e insieme la Storia della Germania, suoi sono i primi dubbi sulla via intrapresa da Hitler, sullo smodato desiderio di conquista e sulla ‘questione ebraica’, come devono esserli stati per tutti, anche per quelli che avevano creduto ciecamente nel Führer. Per accentuare la fretta del racconto la punteggiatura è ridotta al minimo. E poi si arriva allo strazio finale, alla decisione presa di non accettare la proposta della Croce Rossa di portare i bambini in salvo- erano arrivate le voci di quello che i soldati russi facevano alle donne tedesche, vecchie e giovani e bambine, ci si poteva illudere che non avrebbero infierito sulle piccole Goebbels? Poteva esserci un mondo senza Hitler?


    “Mostruosa mente” (bello il gioco di parole del titolo) è una biografia romanzata e, come sempre avviene in questo genere di libri, dobbiamo fare la concessione allo scrittore di immedesimarsi nella sua protagonista e di prestarle anche sue riflessioni o attingere a fonti non certe per la ricostruzione del personaggio- che il legame tra Hitler e Magda sia andato al di là di una amicizia platonica è stato motivo di chiacchiere e pettegolezzi senza che ci sia niente di certo. Il romanzo di Mauro Mazza è interessante, perché accende una luce su un’altra figura femminile (moto discussa peraltro, proprio per quella scelta finale che sa di tragedia greca) che ha avuto risalto nel tragico secolo passato.