Voci da mondi diversi. Albania
dramma
Ermal Meta, “Le camelie invernali”Ed.
La Nave di Teseo, pagg. 224, Euro 18,05
E pensare che è un fiore così bello, la
Camelia Sasanqua che fiorisce in inverno. Un fiore così bello che, però, assume
un significato tristissimo nel nuovo romanzo di Ermal Meta, lo scrittore
italiano nato in Albania, un fiore che, con quel colore rosso rubino, può
contenere un messaggio d’amore oppure di violenza e di sangue.
C’è tanta violenza, scorre tanto sangue ne
“Le camelie invernali”, un romanzo che scorre su tre fasce temporali che hanno
in comune il kanun, il codice di
leggi albanesi tramandato oralmente per secoli- il kanun pone l’accento sull’onore familiare e impone la vendetta di
sangue per il disonore.
Il prologo si svolge nell’Albania del Nord nel 1875 ed è limitato all’episodio raccontato- un giovane che si avventura fuori di notte, incontra la morte e viene rimandato a casa gettato sul suo cavallo. È un antefatto che getta l’ombra su tutto il romanzo, è qualcosa che è accaduto in un lontano passato ma che ha ubbidito ad una legge sempre valida che continua a spargere sangue.
Nel 2025 una ragazza italiana, figlia di
immigrati albanesi, si reca per la prima volta in Albania con l’intenzione di
parlare con una persona che sarà esemplare nella ricerca che sta facendo per la
tesi di laurea. E’ un cugino ad accompagnarla a Mamurras dove vive un uomo,
chiuso in casa. Se uscisse, lo ucciderebbero perché si è macchiato di una colpa
e sangue chiama sangue- è il kanun.
Nel 1992 ha inizio la faida fra due famiglie. È lui, l’uomo che vuole essere chiamato soltanto ‘il Prigioniero’ che parla e racconta. C’erano due coppie- Halil e Rozafa che avevano due figli, Uznan e Nina, e Zek e Odeta che avevano solo un figlio maschio, Samir, grande amico di Uznan. Un giorno la piccola Nina era scomparsa, era un dolore da cui i genitori non si erano più ripresi. Poi c’era stato un banale litigio tra ragazzi seguito da un litigio più aspro tra i due padri, erano venuti alle mani, Zek era caduto picchiando dalla testa ed era morto. Le lacrime della moglie nascondevano la gioia per essersi liberata da un marito che la riempiva di botte. MA i suoi due cognati esigevano vendetta, era il figlio a dover vendicare il padre. Sarebbe stato capace Samir di uccidere il suo amico? Avrebbe sopportato Uznan di vivere recluso per tutta la vita? C’è una sola via d’uscita che può salvare entrambi, liberandoli dalla tradizione del sangue- fuggire, passare il confine con la Grecia.
Non finisce tutto qui, c’è molto altro
nella trama del romanzo, c’è il motivo nascosto per cui Samir si presta ad
aiutare il suo amico, c’è la scoperta dell’atroce verità di quello che è
accaduto a Nina, i colpevoli sono più di uno, chi deve vendicarsi di chi?
Finirà mai questa scia di sangue?
Il
romanzo ha risvolti pulp e granguignoleschi e finisce per essere sovrabbondante
abbandonando il semplice filone del terribile impatto della legge del kanun, quell’obbligo alla vendetta per
salvare l’onore che perde significato con il passare del tempo e che rende
‘l’erede del sangue’ doppiamente prigioniero, in quanto segregato in casa ma
anche in quanto chiuso nella strettoia di una legge che forse neppure
condivide.
Una maggiore semplicità avrebbe giovato al
romanzo.