Voci di mondi diversi
il libro ritrovato
Jean-Marie Blas de Roblès, “Alcântara”
Ed. Frassinelli, trad. Marcella
Maffi, pagg. 718, Euro 22,00
Titolo originale, Là où les tigres sont chez eux
“I suoi genitori stanno divorziando. Anzi, può darsi che ormai l’abbiano
già fatto. Da quello che ho capito, hanno dei problemi con la ragazza. La madre
è brasiliana, una professoressa di Brasili che si sta facendo un nome come
paleontologa. Sempre in giro per monti e per valli…E’ stata lei ad andarsene.
In quanto al padre, a me piace, ma è piuttosto insopportabile. Il genere d’uomo
concentrato sul mondo e su se stesso, uno che non ci capisce molto di
psicologia. Però è un tipo brillante. Non ho mai capito perché si rovinasse la
vita con tanta ostinazione. E, stando a quello che dici tu, anche la figlia è
messa male…”
Athanasius
Kircher, un geniale gesuita del secolo XVII. Eléazard von Wogau, giornalista
francese che vive ad Alcântara, nel nord-est del Brasile. Elaine, moglie in
attesa di divorzio da Eléazard, paleontologa dell’università di Brasilia. Moéma,
la loro figlia diciottenne, studentessa che fa tutt’altro che studiare
etnologia. Nelson l’aleijadinho,
l’handicappato senza gambe che vive nella favela di Pirambù. Il colonnello José
Moreira che trama lucrosi investimenti in connivenza con americani e
giapponesi, approfittando della semi-incoscienza della moglie quasi sempre
ubriaca. L’italiana Loredana, che passa da Alcântara come una meteora. Sono
queste le tracce che si dipanano in “Alcântara”, dello scrittore Jean-Marie
Blas de Roblès, nato in Algeria nel 1954. Un romanzo straordinario per
ricchezza, erudizione, potenza narrativa: non riusciamo ad immaginare altra
maniera per scrivere del Brasile (uno stato con una superficie solo di poco
inferiore a quella di tutta l’Europa, Russia inclusa) che non quella impiegata
da Blas de Roblès, con una miriade di personaggi- e non abbiate timore, non c’è
nessun rischio di confonderli o di faticare a ricordarli- che ci mostrano facce
diverse del Brasile,
trasportandoci dentro le misere favelas, sulle spiagge
dove i pescatori sono sfruttati e fanno la fame mentre giovani viziati ballano,
si ubriacano, sniffano, si fanno delle canne, si accoppiano, e poi nel profondo
del Mato Grosso, ad accompagnare la spedizione avventurosa di Elaine e un
gruppo di colleghi alla ricerca di fossili, e nella fazenda dove l’odioso
governatore Moreira colleziona auto d’epoca, senza sospettare che l’aleijadinho aspetta l’occasione di
vendicare il padre, morto in uno degli altiforni di Moreira dove nessuna norma
di sicurezza viene rispettata. Suo padre era caduto in una vasca di metallo
fuso. Di lui era rimasta una sbarra del peso di 65 chili, tanto quanto pesava
lui stesso.
Ogni capitolo
di “Alcântara” è diviso in sezioni che seguono i diversi filoni che,
naturalmente, finiscono per intrecciarsi in una maniera arcana. E ogni capitolo
inizia con la biografia di Athanasius Kircher filtrata attraverso due autori:
un manoscritto ritrovato nella Biblioteca di Palermo, con la vita del gesuita
Kircher scritta da un altro gesuita, viene inviato a Eléazard perché ne curi
una stesura e un commento. Al di là di essere un espediente narrativo, in una
maniera intrigante e sorprendente, la vita avventurosa del geniale Kircher
(veramente esistito) pare quasi mostrare che non c’è mai niente di nuovo sotto
il sole e si instaura un parallelismo singolare tra quello che avviene a
Kircher e quanto succede ai personaggi del romanzo.
Mentre il pappagallo Heidegger ripete la sua frase
preferita e storpiata, ‘Porcamente abita l’uomo’, Eléazard si accanisce sul
testo kircheriano, rimpiange la moglie, è preoccupato per la figlia, attratto
da Loredana e si lascia coinvolgere, infine, in un giornalismo di denuncia;
Elaine parte per la spedizione che terminerà in una tragedia; il colonnello
Moreira, sorpreso da un’alzata di capo della moglie, gioca sempre più sporco;
Nelson porta a termine un attentato, senza sapere che i suoi risparmi per la
sognata sedia a rotelle sono serviti per la polvere bianca che uccide la sua
‘principessa’. Perché questo è un romanzo dal finale drammatico, e poi non rimase nessuno…
Jean-Marie Blas de Roblés è un grande affabulatore che
padroneggia perfettamente il racconto, mescolando verità e finzione, suspense e
colore, in un mirabolante equilibrio di storie. Un bellissimo romanzo che ha
vinto il premio Médicis nel 2008.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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