Voci da mondi diversi. Canada
il libro ritrovato
Miriam Toews, “Un complicato atto d’amore”
Ed. Adelphi, trad. Monica
Pareschi, pagg. 275, Euro 16,00
Nel 1540 il riformista olandese
Menno Simons diede origine ad una comunità a cui impose regole molto severe,
proibendo qualunque divertimento: la vita deve essere vissuta come una fase di
passaggio in attesa della vita eterna dopo la morte. La voce narrante del
romanzo, la sedicenne Nomi Nickels, appartiene ad una comunità mennonita che si
è stabilita nel Manitoba, in Canada, vicino al confine con l’America. Sua
sorella e sua madre se ne sono andate, incapaci di tollerare più a lungo la
mancanza di libertà e Nomi è rimasta con il padre- infelici entrambi nel
continuo ricordo di Tash e di Trudie. La ribellione di Nomi cresce lentamente
fino a quando il padre compie il “complicato atto d’amore” che può rendere Nomi
libera.
INTERVISTA A MIRIAM TOEWS, autrice di “Un complicato atto d’amore”
“Questo paese è così serio. Così
silenzioso. Mi fa impazzire questo silenzio. Chissà se di silenzio si può
morire.”: è Nomi Nickel che parla, la protagonista del romanzo “Un complicato
atto d’amore” della scrittrice canadese Miriam Toews. E’ la sua voce che
sentiamo per tutto il libro, voce fresca di adolescente che cerca di capire il
mondo che la circonda- e non le piace e lo critica mordacemente e si ribella. Facendosi
delle canne, rasandosi la testa, prendendo la pillola, saltando lezioni a scuola,
ponendo domande inopportune nella severissima comunità mennonita diretta da una
figura di grande sacerdote che è anche suo zio e che lei e la sorella hanno
soprannominato “la Bocca”.
Perché la Bocca
ha parole di proibizione per tutto, una lista infinita di cose che non si
possono fare: in pratica niente che sia piacevole si può fare. Niente cinema,
niente televisione, niente balli, niente rossetto, men che mai comportamenti
“liberi” con l’altro sesso.
Una volta Nomi, in classe, ha detto che le sembrava
un grande rischio puntare tutto quello che si poteva avere in questo mondo
nella possibilità che ce ne fosse un altro. Una volta aveva pregato, “caro Dio,
hai una pessima fama da queste parti. Salvami immediatamente. Potremmo fuggire
insieme”. La sorella di Nomi era fuggita- con la benedizione della madre-, e
poi anche la madre se n’era andata: un atto d’amore favorire la partenza della
figlia, un atto d’amore andarsene dopo essere stata “scomunicata”, per non
obbligare il marito a scegliere tra lei e la Chiesa. E adesso che manca “la
metà più bella” della famiglia, Nomi sa che non potrà mai lasciare suo padre,
che svuota la casa vendendo i mobili per ricompensare il vuoto che sente dentro
e che la sua religione non gli permette di ammettere. Eppure la metà mancante
della famiglia ritorna in ogni pagina nelle parole di Nomi, ricordi della madre
immersa nelle letture, la madre che apriva scatolette per pranzo, la sorella
che ascoltava musica “proibita”, che stava fuori la notte, che diceva di essere
atea, e ancora la madre che disegnava cavalli, che andava incontro alla vita “a
braccia aperte”. E forse faceva male- dice Nomi. Quando scompare il padre di
Nomi, nell’ultimo atto d’amore, vogliamo credere anche noi lettori, come Nomi
ci ha detto più volte, che si ritroveranno tutti a New York, nel vero East Village
da cui la cittadina mennonita ha preso il nome. Stilos ha intervistato Miriam Toews.
La mia prima domanda è di pura curiosità: il suo è un cognome insolito,
di dove è originaria la sua famiglia?
Della provincia di
Friesland, in Olanda. E’ il luogo da dove provengono i Mennoniti. Nel corso
degli anni sono stati costretti a fuggire in paesi diversi perché erano
perseguitati per il loro credo religioso. Il clan mennonita a cui appartiene la
mia famiglia è finito in Russia e poi, verso la fine dell’800, è arrivato in
Canada. Qui fu data loro della terra da coltivare, con la promessa che
sarebbero stati lasciati in pace dal governo.
Abbiamo imparato parecchio riguardo agli Amish, grazie anche a dei film
o servizi fotografici, ma non sappiamo quasi nulla dei Mennoniti, come mai?
In realtà gli Amish sono
pure mennoniti, ma se ne differenziano per la maniera di vestire e per
l’avversione totale nei confronti della tecnologia e di qualunque modernità.
Gli Amish sono arrivati nel nord dell’America nel ‘600, mentre gli altri gruppi
mennoniti giunsero più tardi, nell’800 e all’inizio del ‘900. Penso che gli
Amish siano più conosciuti perché sono arrivati prima e hanno vissuto più a
lungo nel nord degli Stati Uniti, e anche perché sono il ramo più conservatore
e più facilmente riconoscibile dei Mennoniti. Vengono anche chiamati i “Mennoniti
del Vecchio Ordine”.
In che area vivono i Mennoniti? Costituiscono una comunità grande?
I Mennoniti vivono
ovunque, ma le comunità piccole, molto conservatrici e religiose risiedono
soprattutto nelle province centrali del Canada e negli stati del mid-west
americano. I Mennoniti Amish vivono per lo più in Pennsylvania e vengono anche
chiamati “gli olandesi della Pennsylvania”. Ci sono pure molte colonie di Mennoniti
che si sono stabilite nell’America centrale e del sud, come nel Belize e nel
Paraguay. Sono colonie estremamente isolate
e primitive.
Volevo chiederle il perché del suo interesse verso i Mennoniti, ma
adesso mi pare chiaro, visto che la sua famiglia è mennonita.
Sì, sono una mennonita e
sono cresciuta in una cittadina mennonita molto conservatrice, qui, nelle
praterie canadesi. Come la Nomi
del romanzo, ho un rapporto complicato con i Mennoniti e volevo esplorarlo nel
mio libro. E tuttavia non avrei scritto questo libro se mio padre fosse stato
vivo, perché era un mennonita devoto e praticante e il mio romanzo lo avrebbe
confuso e ne sarebbe rimasto turbato. Forse una piccola parte di lui avrebbe
capito la mia frustrazione ma, ugualmente, lo avrebbe intristito. Mia madre,
invece, adesso è un membro di una Chiesa mennonita molto liberale qui in città
e mi è stata di sostegno. Ma le piccole città mennonite sono ancora molto
conservatrici e fondamentaliste- anche se ci sono vari gradi di conservatorismo
all’interno della chiesa mennonita.
Il pericolo maggiore di questo tipo di comunità è nel potere
carismatico dei capi, come sembra di capire nel suo romanzo?
Sì e no. Credo che
certamente siano i capi della chiesa a fissare il tono e il passo delle
comunità. Negli anni ‘70 ci fu una purga nella mia cittadina. Era come se fosse
sopraggiunto un nuovo regime e avesse dichiarato che la scuola pubblica era
male, ad esempio, e così, all’improvviso, tutto un gruppo di ragazzi che erano
in classe con me scomparvero, letteralmente, un giorno per l’altro. Istituirono
le loro scuole oppure semplicemente i genitori tennero i figli a casa e li
misero a lavorare nelle fattorie, e io non li vidi più. Moltissimi Mennoniti
sono remissivi, non è che necessariamente approvino le prese di posizione del
ministro, ma non si ribellano né criticano, perché sarebbe considerato caparbio
e peccaminoso. E penso che dopo un po’ gran parte di quelle stupidaggini a
proposito di fuoco e zolfo, di pene apocalittiche, venga accettata e assimilata
e la gente sia troppo spaventata o indifferente per combatterle, e quell’assenso
e quel silenzio sono altrettanto pericolosi quanto l’individuo che li ha
instillati. Molti predicatori mennoniti sono- come dice lei- persone
carismatiche con grande potere di persuasione e capacità di far sentire i
fedeli della loro chiesa colpevoli, peccatori indegni, e non appena riescono in
questo, hanno il potere di fare qualunque cosa vogliano.
Che attrattiva ha questa setta sui giovani? La maggior parte dei
giovani del suo romanzo sembra ribellarsi, tutti sognano di scappare.
Nella mia comunità
proprio i ragazzi che sembravano essere più ribelli sono stati anche quelli
che, alla fine, si sono rivelati i più conservatori e pii. E’ stata una cosa
strana. Molti dei giovani della mia generazione sono diventati persino più
fondamentalisti, con una mentalità più ristretta e con un atteggiamento più da
eterni giudici dei loro genitori. Ma ci sono stati anche molti ragazzi che se
ne sono andati e hanno abbandonato del tutto la religione oppure hanno trovato
una via di mezzo, una Chiesa che era più tollerante e tendente al perdono, dove
potessero sentirsi ben accolti. Penso che la semplicità del fondamentalismo sia
di attrattiva a un certo tipo di persone, a quelli che preferiscono seguire
degli ordini e non pensare. Fa sembrare loro la vita meno difficile, in bianco
e nero- e ci sono persone a cui questo piace.
Voleva tracciare un parallelo tra la tirannide religiosa e quella
politica? Anche qui ci sono processi e scomuniche che sono simili a spedire la
gente in un gulag.
Non l’ho fatto consapevolmente
ma c’è questo parallelismo, definitivamente sì. Entrambe le forme di tirannide
sono basate sul potere e sul controllo delle persone per mezzo della paura.
Appena la gente smette di aver paura, o smette di credere nell’inferno o in Dio
vendicatore o in qualunque altra cosa, il potere viene indebolito. Volevo
soprattutto mostrare come quel tipo di corruzione e di controllo colpisce
l’individuo, e come può distruggere una famiglia. E, poiché la mia protagonista
ha sedici anni, non è in grado di articolare queste idee, o sapere con
esattezza che cosa la opprima. Sa solo che non riesce ad inserirsi e questo la
sconcerta.
In genere, nei regimi tirannici, c’è un Occhio che vede tutto, una spia
che controlla ogni momento della vita delle persone. Qui il potere è
rappresentato dalla Bocca: la
Parola è così importante?
Sì, penso che le parole
possano veramente ingarbugliare una persona. Se ti viene ripetuto di continuo
che commetti dei peccati, che andrai all’inferno, che devi ammettere di essere
indegno e affidarti ad un potere più alto, è sicuro che ci saranno delle
conseguenze. E la Bocca
usa la Bibbia
per rinforzare le sue leggi, citando le scritture e usandole per controllare la
congregazione.
Il titolo inglese è “A complicated kindness”: perché “una gentilezza” e non un “atto d’amore” come dice il titolo italiano? E’ un enorme
atto d’amore, quello fatto dai genitori di Nomi.
E’ vero, ma in inglese
la gentilezza è un tipo di amore. La frase “Un complicato atto di gentilezza”
viene direttamente dal romanzo, quando Nomi parla della sua città e dice
qualcosa come: ‘c’è della gentilezza laggiù, ma è una gentilezza complicata ’.
Così il titolo ha due significati. Da una parte si riferisce all’atto d’amore
compiuto dai genitori di Nomi, e dall’altra si riferisce agli atti di
gentilezza compiuti nella comunità. Ci sono atti di gentilezza, ma spesso sono
in diretto conflitto con quello che vuole la Chiesa. Per esempio, se un
ragazzo si ubriaca o una ragazza resta incinta, i genitori di quei giovani
possono reagire con compassione, perdonando e sostenendo i figli, ma la Chiesa
invece ordinerebbe che venissero puniti duramente, magari scomunicati,
certamente non aiutati. Ecco come quel tipo di gentilezza viene complicata
dalla Chiesa. Decisamente, però, il significato più profondo del titolo si
riferisce all’atto d’amore compiuto dai genitori di Nomi.
la recensione e l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
a giorni metterò il post sul nuovo romanzo di Mriam Toews, "I miei piccoli dispiaceri"