Voci da mondi diversi. Medio Oriente
INTERVISTA
A ESMAHAN AYKOL
Hanno la
faccia allegra, questi ragazzi carichi di entusiasmo giovanile che sfilano in
corteo per Istiklal Caddesi, a Istanbul. Come se andassero a fare un pic nic in
piazza Taksim e non a sfidare gli idranti della polizia. Se non fosse per le
bandiere che sventolano, se non fosse perché cantano “Bella ciao” (ed è
stranamente emozionante sentire la canzone dei nostri partigiani in turco), se
non fosse che indossano tutti magliettine nere (è l’ordine del giorno, ci dirà
poi Esmahan Aykol, magliette nere contro il fascismo), se non fosse per
quest’atmosfera leggermente sessantottina, faremmo fatica ad immaginare che
questo è il quarto giorno di quella che era iniziata come una manifestazione di
protesta per la distruzione di una zona verde ed è diventata uno scontro con le
forze dell’ordine in una ribellione contro un regime sempre meno democratico.
D’altronde le prove sono ovunque: nelle scritte sui muri (solerti operai le
stanno grattando via), nei vetri infranti delle vetrine (alcuni negozi stanno
già provvedendo alla sostituzione). E il fatto che non si veda passare il
mitico tram rosso tanto amato dal regista Özpetek è un segnale che forse la calma non è ancora tornata in
piazza Taksim.
L’appuntamento con Esmahan Aykol, la
scrittrice di cui la casa editrice Sellerio ha pubblicato tre romanzi con la
protagonista Kati Hirschel, simpaticissima libraia che si improvvisa detective,
è in un caffé su Istiklal Caddesi, non lontano da piazza Taksim, e ho temuto di
non riuscire ad arrivare. Oggi, lunedì 3 giugno, è un giorno pieno di canti e
di slogan e di braccia alzate, ma due giorni fa, quando sono salita per la
prima volta a piazza Taksim come turista, l’atmosfera era ben diversa. Non mi
ero insospettita per il fatto che la funicolare fosse ferma- pensavo ad un
guasto, come da noi è normale, come la scala mobile alla fermata metropolitana
di Porta Venezia che non funziona dal settembre dello scorso anno. Avevo visto
sulla CNN la manifestazione di venerdì 31 maggio, ma pensavo fosse finita.
Poi
sono apparse le prime persone con una mascherina sul naso e sulla bocca. ‘Come
i giapponesi a Milano’, ho pensato. Poi, per fortuna, due studenti
universitari, individuandomi immediatamente come una turista sprovveduta, mi
hanno fermato, consigliandomi di tornare indietro. “Spero che sarà tutto finito
domani”, ho detto inavvertitamente. “Speriamo di no”, mi ha risposto la
ragazza, aggiungendo con orgoglio, “Questa è la rivoluzione turca!”.
Ne parliamo con Esmahan Aykol, prendendo lo
spunto dai suoi libri.
So che il suo prossimo romanzo, in corso di traduzione in Germania, si
intitola “Tango Istanbul” e ha a che fare con la corruzione nell’ambiente dei
mezzi di comunicazione in Turchia. E’ un argomento quanto mai attuale, a
giudicare dai disordini di piazza Taksim di questi giorni. Perché il punto di
partenza della manifestazione- la protesta contro la costruzione di un centro
commerciale in un’area verde- è solo come la punta di un iceberg, c’è molto di
più al di sotto, vero?
Esattamente.
Già c’erano state delle manifestazioni per rivendicare il diritto di parola,
per protestare contro l’imbavagliamento dei media, contro il fermo di alcuni
giornalisti. Ora, nei primi tre giorni di questa ‘rivoluzione di piazza Taksim’,
non è apparsa nessuna notizia sui disordini, né sui giornali, né attraverso i
canali televisivi. Non se ne è parlato affatto. La televisione ha continuato a
trasmettere documentari sui pinguini. E’ questo il punto della protesta, contro
un governo autoritario.
Ho visto tanti ragazzi giovani in corteo,
alcuni giovanissimi.
E’ vero, ci sono tanti universitari ma
anche tantissimi liceali. E poi ci sono tantissime donne giovani che aderiscono
a questa manifestazione in cui- così era l’accordo per oggi- tutti indossano
una maglietta nera per protestare contro il fascismo. E ci sono tante ragazze
perché sono loro ad essere le più oppresse nei paesi conservatori. Quindi sì,
la protesta non è solo per gli
alberi che devono essere abbattuti per fare un centro commerciale, I giovani
gridano contro l’oppressione.
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piazza Taksim |
Spero che
potremo riparlare di “Tango Istanbul” quando uscirà la traduzione italiana.
Intanto mi piacerebbe confrontarmi con Lei su qualcosa che ho osservato
rileggendo i suoi tre romanzi. Mi è parso che il primo, “Hotel Bosforo”, sia
diverso dagli altri due, che sia più tradizionale, che ci sia un minor
coinvolgimento nei problemi vivi del paese. In “Appartamento a Istanbul” e in
“Divorzio alla turca” la trama gialla ha qualcosa a che fare con la realtà nera
della Turchia, gli appalti, la corruzione, l’inquinamento. Mi chiedevo se fosse
sua intenzione fare qualcosa come si sono proposti di fare i maestri del giallo
svedese, Maj Sjöwall e Per Walöö,
con la serie dei dieci romanzi con il commissario Beck, una sorta di indagine sui
mali della società del loro tempo.
E’ vero. Il mio primo romanzo, “Hotel Bosforo” era un romanzo sulla
rabbia, un libro personale sulla vendetta. Ero io a volermi vendicare dei
tedeschi perché mi sono sentita discriminata quando sono andata a studiare in
Germania, nei primi anni che ho vissuto lì. E volevo che il libro fosse
tradotto in tedesco perché era sull’essere straniero e sentirsi diverso perché
ti facevano sentire diverso: ecco, ho scritto come ci si sente, rovesciando la
situazione con il personaggio di Kati, una tedesca che vive a Istanbul, che
dice di essere straniera dappertutto- considerata un’ebrea in Germania e una
tedesca a Istanbul.
In
un certo senso il mio primo libro era più internazionale, i personaggi erano
internazionali. I due libri seguenti sono, invece, con personaggi locali, sono
più sulla Turchia e sulla politica turca e la vita sociale turca, perché la
vita sociale non può escludere la politica: se scrivi romanzi sulla vita
sociale non puoi non parlare di politica. I due romanzi sono quadri della
società turca nel tempo in cui sono stati scritti.
Creare una protagonista tedesca che,
però, vive a Istanbul, Le ha dato
un’opportunità migliore per vedere la società turca da un altro punto di vista?
Andare in Germania è stata per me una
grande opportunità. Ho avuto la possibilità di vedere la società turca da un
punto di vista esterno, è stato un cambiamento di prospettiva radicale. E’
stata una sensazione strana, quella di sentirsi turca per la prima volta,
perché naturalmente non ci si può sentire turchi in mezzo ai turchi.
Non pensa che sarebbe stato lo stesso anche
per un italiano, sentirsi discriminato in mezzo ai tedeschi? Gli italiani non
godono di una buona reputazione in Germania.
Ma no! Non è vero! (Esmahan Aykol sorride) Gli uomini italiani sono
molto apprezzati dalle donne tedesche, glielo assicuro!
Istanbul è una città con un piede in
Occidente ed uno in Oriente. Nei giorni che ho passato qui ho sentito tutto il
fascino di questo doppio volto di Istanbul. Tra un quartiere e l’altro ci sono
differenze sconcertanti. Mi pare che il personaggio di Kati Hirschel, la
ragazza tedesca che ama questa città, tanto da averla scelta per viverci,
riassuma in un certo senso le due facce di Istanbul.
A
dire il vero, io vedo soprattutto l’aspetto orientale di Istanbul, non vedo
quello occidentale. E’ del tutto orientale se paragonata ad Ankara o a Smirne.
E poi dieci anni fa era molto più affascinante: sono state fatte tante opere di
restauro in malo modo. Hanno trasformato la moschea di Solimano in qualcosa di
disneyano. Si continuano a fare cose mal fatte: il terzo ponte attualmnte in
costruzione sul Bosforo, ad esempio. A che cosa serve un terzo ponte nei tempi
in cui viviamo? Verranno abbattuti chissà quanti alberi e non servirà a
snellire il traffico. Sarebbe stato meglio costruire un tunnel sotto il
Bosforo. E costruiranno anche l’aeroporto più grande del mondo: scherziamo? A
che cosa ci serve l’aeroporto più grande del mondo?
Anche Lei si divide tra due mondi, come
Kati, come questa città. Che cosa le manca di Istanbul quando vive a Berlino e
che cosa le manca, invece, di Berlino quando si trova qui?
In Germania sento la mancanza dei miei amici di Istanbul. A Berlino
ho una carissima amica che però è così impegnata nel lavoro che non riesco
quasi a vederla. E però mi manca quando sono a Istanbul. A Berlino vado per
essere sola, per lavorare, per leggere. Istanbul è caotica e ogni tanto ho
bisogno di fuggire. Di Berlino mi manca la tranquillità e la qualità della
vita- ad esempio, a Berlino si può andare ovunque con i mezzi pubblici, c’è
molto meno traffico. D’altra parte ci sono anche molti meno abitanti.
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Berlino. Unter den Linden |
La voce di Kati nei romanzi è così vivace e
spontanea che è inevitabile, per il lettore, identificarla con Lei. Assomiglia
a Lei, Kati Hirschel?
No,
Kati non è come me. Forse è, per alcune cose, come io vorrei essere. A Kati
invidio l’essere socievole, affettuosa, generosa. Io non sono così, lei è il
mio doppio. Non condividiamo neppure gli stessi gusti: a me non piace il té
verde che beve Kati. Però neppure a me piace il raki, come non piace a Kati.
Nel nuovo romanzo ci sarà un cambiamento: Kati inizia a bere raki in “Tango
Istanbul”.
In “Appartamento a Istanbul” un personaggio
appartiene ad un partito religioso: quanto è importante qui la religione?
L’integralismo religioso può essere un pericolo?
No,
non penso che l’integralismo costituisca un pericolo, gli islamici sono nel
governo, dopotutto. E sì, la maggior parte dei musulmani di Istanbul è
religiosa osservante e tradizionalista- infatti il numero delle donne per le
strade è inferiore a quello degli uomini e quasi tutte portano il velo.
Un’ultima domanda ‘letteraria’: secondo
Lei, gli scritti di Orhan Pamuk rappresentano
bene l’essenza turca, o l’anima turca? Voglio dire, sono veramente
‘turchi’ i suoi romanzi?
Se
devo essere sincera, la risposta è no, non penso che i romanzi di Pamuk
esprimano al meglio l’essere turchi. Nel conferimento del Nobel a Orhan Pamuk
ha avuto un certo peso la sua presa di posizione a favore degli armeni e dei
curdi nei confronti dei quali il nostro governo ha sempre negato di avere delle
colpe. A mio parere, il più grande scrittore turco contemporaneo è Yaser Kamal,
l’autore di “Mehmet il Falco”.