Voci da mondi diversi. Giappone
Laura Imai Messina, “Quel che affidiamo al vento”
Ed.
Piemme, pagg. 256, Euro 14,88
Un giardino, Bell Gardia, sul fianco di una montagna nel nord-est del Giappone. Una cabina telefonica. Un telefono collegato con il nulla che trasporta le voci nel vento. Chi ha perso qualcuno che gli era caro va lì per parlare con lui o con lei o con loro, le parole si perdono nell’aria, se ne trae un conforto indicibile. Bisogna crederci. Yui ci ha creduto e, ora che si prevede un forte uragano nella zona, Yui sente che deve proteggere la cabina dalla furia degli elementi. Parte da Tokyo, srotola teloni di plastica, non si rende conto che è lei stessa ad essere in pericolo, che non potrà resistere all’impeto del vento. Sarà un amico a portarla in salvo. Ma tutto questo avverrà dopo, dopo che Yui ha sperimentato la magia curativa del telefono, ha fatto amicizia con il guardiano, ha conosciuto l’uomo che ha spesso osservato parlare nella cornetta attraverso i riquadri dei vetri della cabina.
La vita di Yui era finita quando, durante lo tsunami dell’11 marzo 2011, la sua bambina e sua madre erano morte. Anzi, spazzate via, c’era voluto parecchio prima che i loro corpi fossero ritrovati e identificati. Erano morte abbracciate- unico pensiero consolante per Yui. Yui aveva sentito parlare del telefono del vento, vi si era recata, ci era tornata regolarmente. Era lì che aveva incontrato Takeshi, un medico chirurgo pure lui di Tokyo, la cui moglie era morta per un tumore e la cui bambina aveva smesso di parlare da quel momento. E dopo un poco era parso normale accordarsi per fare il viaggio insieme, e poi conoscere la bambina Hana ed una volta portarla a Bell Gardia per farla parlare alla mamma che era volata via con il vento.
Se dovessi scegliere una parola per definire lo stile narrativo di questo romanzo di Laura Imai Messina che è stato scritto e pubblicato prima degli altri due da me letti, sarebbe ‘Delicatezza’. È con incredibile delicatezza che la scrittrice affronta i temi della morte, della vita che ha perso ogni significato e poi sembra rialzare la testa e ritrovare coraggio, dell’amore che offre una seconda possibilità, nonostante tutto. La morte e l’amore erano i temi anche del libro che avevo molto amato, “Le vite nascoste dei colori”, ma in questo primo romanzo la morte è più vicina, più personale, e il libro è dedicato alla memoria delle 15.703 persone che sono morte quell’11 marzo del 2021 in cui un catastrofico maremoto si abbatté sulla costa settentrionale del Giappone provocando anche il disastro della centrale nucleare di Fukushima.
Yui ha perso la madre, ma soprattutto ha perso la sua bambina- solo la vista del mare le provoca un’ondata di nausea. Il significato del telefono del vento, però, è più ampio- Yui non ha il monopolio del dolore, Takeshi e gli altri che vanno a Bell Gardia per affidare la loro pena al telefono senza cavi, hanno subito tutti una perdita, hanno tutti bisogno di sentirsi in qualche maniera vicino a chi fisicamente non c’è più. La vita va avanti, Takeshi continua ad occuparsi dei suoi pazienti, un ragazzo si iscrive all’università, Yui inizia ad occuparsi della piccola Hana, sentendosi in colpa nel timore di ‘sostituire’ la sua bambina con un’altra. E sboccia l’amore, delicato come il primo fiore di primavera, e perché non accoglierlo, perché non concedersi la possibilità di essere di nuovo felici e di rendere qualcun altro felice?
Del libro è appena stata pubblicata una
nuova edizione, illustrata con preziose tavole di Igort, uno dei più famosi
disegnatori italiani.