Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora ebraica
Shoah
il libro ritrovato
Il romanzo rivelazione dell' autunno 2002
Jonathan Safran Foer, "Ogni cosa è illuminata"
Ed. Guanda, pagg.327, Euro 14,50
"Il mio nome per la legge è
Alexander Perchov": un incipit di un' immediatezza che ricorda il famoso
"chiamatemi Ismaele" per questo geniale primo romanzo del venticinquenne
americano Jonathan Safran Foer. Due protagonisti, l' ucraino Alexander e l'
ebreo americano Jonathan Safran Foer che sì, ha lo stesso nome dell' autore.
Due storie per due romanzi, quello scritto da Alex del viaggio alla ricerca
della ragazza che, durante la guerra, ha salvato la vita del nonno di
Jonathan e quello di Jonathan che
ricostruisce la vita del villaggio Trachimbrod da quando la sua
bis-bis-bis-bis-bisnonna fu salvata (come Mosé) dalle acque del fiume. Fra le
due storie, le lettere che Alex scrive dall' Ucraina a Jonathan in America, un
commento sui capitoli del romanzo che Jonathan
ha inviato in lettura ad Alex e viceversa, una riflessione accorata su
quanto è successo durante quel viaggio, in cui "ogni cosa" è stata
"illuminata" e ha reso impossibile continuare la stessa vita.
Il
padre di Alex dirige un' agenzia di Viaggi Tradizione, specializzata in tour
per ebrei americani che vogliono rivisitare i luoghi da cui sono fuggite le
loro famiglie per salvarsi dai nazisti. Jonathan arriva con la fotografia di
una ragazza ritratta vicino a suo nonno. E' lei che devono cercare. Un viaggio
di quattro giorni verso la verità. Anche se la ragazza non verrà trovata e il
villaggio non esiste più. Al volante il
nonno di Alex. Un buffo cane sul sedile posteriore. Quando incontrano l' unica
sopravvissuta di Trachimbrod, questa tira fuori una vecchia fotografia e adesso
le fotografie sono due, e, se in quella di Jonathan suo nonno potrebbe essere
scambiato per Jonathan stesso, in quella della vecchia c' è un ragazzo che è
identico ad Alex, suo nonno. Non importa quando e chi ha fatto che cosa, siamo
tutti colpevoli e la domanda è "che cosa avremmo fatto noi in quelle
circostanze?". Del nonno Alex dice, " lui non è cattivo. Lui è un
buon uomo, solo che ha vissuto in un tempo cattivo". Alex, così allegro,
spaccone, che ama parlare di sesso, che non aveva mai conosciuto un ebreo senza
domandarsene il perché, finisce per cambiare voce. Lui che aveva fatto da
interprete, vivendo due volte quello che raccontava, finisce per parlare in
prima persona, sostituendosi al nonno, come se lui stesso avesse vissuto quell'
esperienza, in una confessione angosciata, una parola attaccata all'altra.
Il
romanzo di Alex procede a ritroso nel tempo, quello di Jonathan avanza, dal 1791
fino a ricongiungersi con i tempi dell' altra narrazione, in un trionfo di
fantasia e colore. Cambia lo stile, in un tour de force straordinario: quello
di Alex, che usa in maniera esilarante un dizionario dei sinonimi, è
sapientemente ingenuo nell'uso di una lingua che non è la sua, mentre quello
di Jonathan è estremamente colto, con echi biblici. Reale, a volte persino
sboccato, quello di Alex - che tuttavia diviene il migliore dei due romanzieri
-, e magico favolistico quello di Jonathan che deve immaginare uno shtetl
cancellato dalla terra. Un finale drammatico che accettiamo nella sua giustizia
prima di un ultimo ammonimento , "cerca di vivere in modo che tu possa
sempre dire la verità".
la recensione e l'intervista che segue sono state pubblicate su www.stradanove.net
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