Voci da mondi diversi. Russia
la Storia nel romanzo
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Aleksandr Terechov, “Il ponte di pietra”
Ed. e/o, trad. Claudia Zonghetti, pagg. 481, Euro 22,00
Titolo originale: Kamennyi
most
E allora. Coloro
che smisero di esprimere e di scrivere le proprie idee, con ogni evidenza
cominciarono anche a pensare in modo diverso. Ma di questo dovranno occuparsi
neuropsichiatri e sociologi. A me, a noi, interessa un’altra peculiarità del
loro cervello: i delfini di Stalin, gli uomini di ferro, disimpararono a
ricordare. Non è che non ricordassero nulla, no. Non ricordavano la propria
vita.
Mosca. 3
giugno 1943. Il quindicenne Volodja Šachurin uccide la compagna di scuola
Nina Umanskij e poi rivolge la pistola contro se stesso. Lui è figlio del
commissario del popolo per l’industria aeronautica. Il padre di Nina, Konstantin
Umanskij, è appena stato nominato console del Messico. Sembra che Volodja,
innamorato di Nina, le abbia chiesto di restare con lui, di non seguire il padre,
e che lei abbia rifiutato.
Alla fine degli anni ‘90 viene chiesto ad Aleksandr,
collezionista e venditore di soldatini sovietici, ex allievo della scuola
speciale del KGB, de programmatore di vittime delle sette religiose, di fare
ricerche sul lontano omicidio-suicidio commesso sul Kamennyi most, il Ponte di
Pietra che collega il Cremlino, su una sponda del fiume, con la Casa del
Governo, dove vivono le famiglie dei delfini di Stalin, sulla sponda opposta.
Aleksandr accetta, la ricerca della verità diventerà un’ossessione per lui,
occuperà sette anni della sua vita. Perché? Non era forse tutto chiaro? Ma poteva
essere tutto chiaro all’epoca di Stalin, che aveva scelto per sé un nome che
significa ‘d’acciaio’ e che era circondato da ‘uomini di ferro’, pronti a
sacrificare la propria madre o la propria figlia piuttosto che la propria testa?
Mikojan |
No, non era chiaro. Perché la pistola
apparteneva ad un terzo ragazzo, Vano Mikojan, figlio di quel Mikojan, compagno d’armi di Stalin nonché membro del Consiglio
militare alla Difesa. Era sul ponte anche Vano? Perché si era ripreso la pistola?
Come mai Konstantin Umanskij era partito ugualmente per il Messico, il giorno
seguente? Nel 1945 l’aereo che doveva portare Umanskij e la moglie in Costa
Rica esplose dopo il decollo: fatalità? O il console era stato tolto di mezzo? Perché
e da chi? dal KGB o dagli USA? Altro ancora: era saltato fuori un diario di
Volodja. Risultava che aveva fondato una società segreta di stampo nazista insieme
a cinque compagni. L’Imperatore (come viene chiamato Stalin nel romanzo) aveva
detto, “Hai capito i lupacchiotti. Hanno bisogno di una raddrizzata”. I
ragazzini erano stati imprigionati per sei mesi nella Lubjanka e poi condannati
ad un anno lontani da Mosca. Stranamente, i genitori non erano stati toccati.
Non subito, almeno.
Umanskij con la figlia Nina |
Questi i fatti e le speculazioni sul delitto
d’amore che è al centro del romanzo- bellissimo, russamente russo- di Aleksandr
Terechov che si imbatté nel ‘caso dei lupacchiotti’ mentre lavorava come
giornalista per un tabloid investigativo. Un romanzo affascinante che procede
in maniera erratica, scavando nel passato, seguendo un percorso e poi deviando
verso una traccia che appare secondaria, interrogando testimoni superstiti e
restii a parlare (la paura non si dimentica, anche quando non c’è più motivo di
aver paura), inseguendo amici di testimoni, amanti conclamate e amanti segrete,
visitando cimiteri (anche le tombe hanno un linguaggio?), scrutando vecchie
foto (era proprio bella, Nina), scartabellando negli archivi del KGB, con una
scoperta che ne trascina con sé un’altra.
Insieme ad altri investigatori dagli
incarichi dubbi- Boris, la donna che perseguita il narratore (la cui seconda
ossessione è il sesso) con le sue profferte d’amore, un altro ex agente del KGB
(e osservo che il suo cognome, Holzmann, significa uomo di legno- bella ironia), mentre sempre, sullo sfondo, c’è il
massiccio Ponte di Pietra, metafora per il collegamento tra l’uomo d’acciaio e
i suoi ‘sudditi’, gli uomini di ferro,
ma anche tra passato e presente. Un passato a cui- e non sembri strano- si
guarda con una certa qual nostalgia perché allora si credeva in un ideale che
giustificava tutto, rendeva sopportabile tutto, anche di essere burattini
azionati da un mastro burattinaio che accendeva una torcia sul futuro. Il Ponte
di Pietra è rimasto di sentinella, il fiume continua a scorrere, anche se ‘il
padrone del tempo’ (così Gor’kij chiamò Stalin) è scomparso da tempo, il
narratore ha terminato la sua ricerca (esiste una sola verità? e si può
scoprire?) ed è sulla riva della Moldava. Non guarda il ponte, ma un battello che
scivola sull’acqua- la vita prosegue.Kamennyi most |
Soltanto un romanzo russo può avere una
simile ampiezza di respiro. “Il ponte di pietra” è un libro di storia reso
enormemente godibile perché ha l’andamento di un thriller e perché riesce a
ridare vita ad una folla di personaggi memorabili. E’ la ricostruzione insolita
e straordinaria di un’epoca, che procede per frammenti e ripetizioni che
finiscono per ossessionare il lettore tanto quanto il narratore. Ed è, nello
stesso tempo, un libro di indagine personale, sul ruolo dell’individuo nella
nuova società e di un paese nato sulle ceneri degli ideali.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Lo sto leggendo. È un libro affascinante. Certo, a chi nella prosa cerca un soggetto, un verbo e un complemento oggetto, a chi sa poco o nulla di cosa fu l'URSS dentro e fuori i suoi confini geografici, questa narrazione non dice nulla. Da qui molte recensioni superficiali/negative che girano in rete. Peccato
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