giovedì 8 settembre 2016

Jonathan Safran Foer, "Ogni cosa è illuminata" ed.2002

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      il libro ritrovato

Il romanzo rivelazione dell' autunno 2002
Jonathan Safran Foer, "Ogni cosa è illuminata"
 Ed. Guanda, pagg.327, Euro 14,50

"Il mio nome per la legge è Alexander Perchov": un incipit di un' immediatezza che ricorda il famoso "chiamatemi Ismaele" per questo geniale primo romanzo del venticinquenne americano Jonathan Safran Foer. Due protagonisti, l' ucraino Alexander e l' ebreo americano Jonathan Safran Foer che sì, ha lo stesso nome dell' autore. Due storie per due romanzi, quello scritto da Alex del viaggio alla ricerca della ragazza che, durante la guerra, ha salvato la vita del nonno di Jonathan  e quello di Jonathan che ricostruisce la vita del villaggio Trachimbrod da quando la sua bis-bis-bis-bis-bisnonna fu salvata (come Mosé) dalle acque del fiume. Fra le due storie, le lettere che Alex scrive dall' Ucraina a Jonathan in America, un commento sui capitoli del romanzo che Jonathan  ha inviato in lettura ad Alex e viceversa, una riflessione accorata su quanto è successo durante quel viaggio, in cui "ogni cosa" è stata "illuminata" e ha reso impossibile continuare la stessa vita. 

Il padre di Alex dirige un' agenzia di Viaggi Tradizione, specializzata in tour per ebrei americani che vogliono rivisitare i luoghi da cui sono fuggite le loro famiglie per salvarsi dai nazisti. Jonathan arriva con la fotografia di una ragazza ritratta vicino a suo nonno. E' lei che devono cercare. Un viaggio di quattro giorni verso la verità. Anche se la ragazza non verrà trovata e il villaggio non esiste più.  Al volante il nonno di Alex. Un buffo cane sul sedile posteriore. Quando incontrano l' unica sopravvissuta di Trachimbrod, questa tira fuori una vecchia fotografia e adesso le fotografie sono due, e, se in quella di Jonathan suo nonno potrebbe essere scambiato per Jonathan stesso, in quella della vecchia c' è un ragazzo che è identico ad Alex, suo nonno. Non importa quando e chi ha fatto che cosa, siamo tutti colpevoli e la domanda è "che cosa avremmo fatto noi in quelle circostanze?". Del nonno Alex dice, " lui non è cattivo. Lui è un buon uomo, solo che ha vissuto in un tempo cattivo". Alex, così allegro, spaccone, che ama parlare di sesso, che non aveva mai conosciuto un ebreo senza domandarsene il perché, finisce per cambiare voce. Lui che aveva fatto da interprete, vivendo due volte quello che raccontava, finisce per parlare in prima persona, sostituendosi al nonno, come se lui stesso avesse vissuto quell' esperienza, in una confessione angosciata, una parola attaccata all'altra. 

Il romanzo di Alex procede a ritroso nel tempo, quello di Jonathan avanza, dal 1791 fino a ricongiungersi con i tempi dell' altra narrazione, in un trionfo di fantasia e colore. Cambia lo stile, in un tour de force straordinario: quello di Alex, che usa in maniera esilarante un dizionario dei sinonimi, è sapientemente ingenuo nell'uso di una lingua che non è la sua, mentre quello di Jonathan è estremamente colto, con echi biblici. Reale, a volte persino sboccato, quello di Alex - che tuttavia diviene il migliore dei due romanzieri -, e magico favolistico quello di Jonathan che deve immaginare uno shtetl cancellato dalla terra. Un finale drammatico che accettiamo nella sua giustizia prima di un ultimo ammonimento , "cerca di vivere in modo che tu possa sempre dire la verità".

la recensione e l'intervista che segue sono state pubblicate su www.stradanove.net







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