venerdì 30 settembre 2016

Yishai Sarid, “Il poeta di Gaza” ed. 2012

                                           Voci da mondi diversi. Medio Oriente
         il libro ritrovato


Yishai Sarid, “Il poeta di Gaza”
Ed. e/o, trad. Alessandra Shomroni, pagg. 178, Euro 14,00

      Ci sono dei libri bellissimi perché riescono ad essere armonicamente belli in ogni aspetto che rende tale un romanzo: una storia forte che unisca il quotidiano con l’eccezionale, un personaggio che abbia uno spessore, non astrusamente complesso ma neppure banale, degli interrogativi etici che coinvolgano ogni lettore nel profondo, uno stile con il giusto equilibrio tra schietto realismo e poesia. “Il poeta di Gaza” dell’israeliano Yishai Sarid ha tutto questo ed è un romanzo bellissimo.
    Non conosciamo il nome del protagonista che narra in prima persona e non ci pare strano che nessuno lo chiami mai con il suo nome: è un ufficiale del Mossad, i servizi segreti israeliani, ed è sotto copertura che si presenta a casa della scrittrice Daphna. Dice di essere stato amministratore delegato di una società finanziaria, di avere ora abbastanza soldi per dedicarsi a quello che vuole. E vuole scrivere un romanzo su un mercante ebreo dei tempi antichi che si reca in un’isola greca per importare cedri- è una storia vera che appare in vecchi testi. Da Daphna vuole lezioni di scrittura, che è il suo mestiere. In realtà vuole altro. Daphna, una donna di mezza età ma sempre molto bella, è amica di Hani, un poeta palestinese ormai gravemente ammalato che vive nella striscia di Gaza. Al Mossad interessa il figlio di Hani di cui si sono perse le tracce ma che è noto come un intelligente programmatore di attentati terroristici. E’ necessario avvicinare Hani per arrivare a suo figlio e bloccare l’attentato che sta preparando- colpire la mente per immobilizzare il corpo, insomma.

    La storia si svolge serrata, ricca di sfaccettature. Il lato oscuro del nostro protagonista rivela un uomo freddo che usa la forza bruta per estorcere confessioni dagli arabi arrestati. Come nel caso di quello che si trova prigioniero nei sotterranei dei servizi e che finisce per morire, pur di non tradire il fratello. Il quale, però, è in giro per Gerusalemme o Tel Aviv imbottito di esplosivo, pronto a farsi saltare in aria in un qualche luogo pubblico. E allora il fine giustifica i mezzi, quando si tratta di prevenire un’ennesima strage.
C’è poi l’altro lato della personalità di questo ufficiale dei servizi: a casa ha una moglie e un figlio di quattro anni, i momenti più belli della sua vita sono quelli in cui gioca con il figlio, quando gli insegna a nuotare tra spruzzi e urletti di gioia. La moglie, però, è stanca di aspettare i suoi rientri ad ora imprevedibile, non tollera più i suoi segreti, le telefonate che giungono ad interrompere le brevi vacanze insieme, il lato buio che non conosceva dell’uomo che ha sposato e che finisce a poco a poco per prendere il sopravvento sull’altro.
   Il nostro uomo continua a fingersi un aspirante scrittore con Daphna recandosi regolarmente da lei e scoprendo l’infelicità nascosta dietro il suo aspetto affascinante: suo figlio è un tossicodipendente che le succhia i soldi e la vita. Quando si scoprono le carte, per amore del figlio Daphna farà un patto con l’agente del Mossad. Una vita per un’altra, quell’altra per salvarne molte altre. Eppure…che cosa mette in crisi il protagonista? Che cosa lo spinge a mettere in dubbio quello che sta facendo, a far vacillare la sua fedeltà a Israele?

     Yishai Sarid riesce con rara maestria a fare il ritratto di un uomo tormentato, diviso tra i punti saldi della sua vita- patria e famiglia- e nuove sollecitazioni che smuovono qualcosa dentro di lui. C’è una saggezza antica, una rassegnazione pacata, un’aurea di grandezza nel poeta palestinese prossimo alla morte che ha saputo creare con il figlio un legame di affetto strettissimo. Questo figlio terrorista che è l’antitesi dell’infelice figlio drogato di Daphna, che suscita interrogativi impensati e inconsci nel protagonista riguardo al suo bambino e al suo ruolo di padre. Che, soprattutto, è un figlio, così come Hani è un padre. E può un figlio morire prima del padre e davanti ai suoi occhi?

    Il dramma dell’ufficiale del Mossad non è solo un tormento personale: è quello di un intero paese che ogni giorno si domanda, ‘sarà bene restare in casa oggi? Ci sarà un kamikaze tra la folla?’, e nello stesso tempo si indaga sulla giustizia dei metodi adottati per impedire il massacro, sulle condizioni di esistenza degli arabi sul loro stesso suolo.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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