Voci da mondi diversi. Medio Oriente
il libro ritrovato
Meir Shalev, “Il ragazzo e la colomba”
Ed. Frassinelli, trad. Elena
Loewenthal, pagg. 403, Euro 17,50
Meir Shalev ha ritrovato la penna felice dei suoi libri più belli, nel
nuovo romanzo “Il ragazzo e la colomba”. La capacità affabulatoria che ci incanta,
tanto più che c’è una maggiore semplicità in questo libro, un minor numero di
storie che si srotolano l’una dall’altra. Quella sorta di realismo magico in
versione israeliana che è, a volte, pura poesia, come un guardare il mondo con
occhi lavati dall’innocenza. E non ci pesa affatto se, a volte, lo scrittore ci
chiede la sospensione dell’incredulità, perché quello che dice è bello, sarebbe
bellissimo se fosse possibile, e perché no, in fin dei conti, se questo può
alleviare la nostra vita.
Sono due le storie che Meir Shalev ci
racconta, e quanto l’una, quella che si svolge nel passato, abbia un
significato per l’altra, che si svolge nel presente, lo sapremo alla fine,
anche se sospettiamo qualcosa- non tutto, non quel tocco di straordinario in
più- fin dall’inizio. E siccome entrambe le storie ci parlano d’amore, siccome
c’è un’affinità nella diversità tra i personaggi di ieri e quelli di oggi, ci
sembra spesso di leggere un’unica splendida storia sotto il simbolo della
colomba, uccello di pace in un paese da sempre in guerra, “l’Ulisse degli
uccelli” che conosce solo la direzione verso casa- come l’intero popolo di
Israele, ritornato ‘a casa’ dalla diaspora.
Quand’ecco che, sopra tutto
questo inferno volò tutt’a un tratto una colomba- inizia a raccontare un
anziano turista americano alla guida Yair che ha portato il gruppo sul sito di
un monastero. Perché il vecchio americano è un ebreo che ha combattuto nella
guerra d’Indipendenza di Israele, l’inferno di spari e di schegge di granata e
di rombo del cannone su cui si era levata in volo la colomba. L’aveva lanciata
un colombofilo prima di morire, un ragazzo ventenne che non avrebbe dovuto
essere coinvolto nei combattimenti. Piccolo, un po’ tozzo, molto scuro di pelle
e di capelli- lo chiamavano il Pupo. La prima storia d’amore, la più bella, la
più struggente, come tutte le storie d’amore che si concludono con la morte, è
la sua, quella del Pupo e della ragazza che viene sempre chiamata ‘la bimba’,
perché la prima volta che il Pupo la incontra, nella colombaia di Tel Aviv, lei
è una bambina bionda e bianca, con gli occhi azzurri- l’opposto di lui. Mentre
crescono, cresce anche il sentimento che li unisce, nato insieme a questa
insolita loro passione per le colombe, come sono insolite e di una bellezza
singolare le pagine che Shalev dedica alle cure per gli homing pigeons e alle maniere per addestrarli. C’è un che di
essenziale nei messaggi ultra brevi che i due innamorati si scambiano
affidandoli alle colombe, mentre il frullo delle ali replica quello del cuore,
gli occhi seguono l’uccello e lo vedono svanire quando appare, invece, agli
occhi dell’altro che attende (vogliamo fare un confronto con gli sms inviati
con il cellulare o il tasto di invio della posta elettronica?). E l’ultimo
messaggio- così stupendamente vitale sulla soglia della morte- sarà quello che
collega la vicenda del passato a quella del presente, con il tema conduttore
della ‘casa’ come luogo di ogni ritorno del cuore. Yair cerca una casa, una
specie di ‘stanza tutta per sé’, per dirlo con le parole di Virginia Woolf,
perché si sente respinto dalla casa che sente come proprietà della moglie. Ed è
sua madre che, prima di morire gli ha dato i soldi per comprarla. Una madre
molto amata che cela un segreto. Che si rivolge al marito chiamandolo
‘Padrevostro’. Che ad un certo punto se ne va di casa. Così, perché non ce la
fa più. La ricerca della casa, allora, diventa anche ricerca delle origini e
questo filone si arricchisce di frammenti di ricordi- dell’infanzia di Yair,
del Padrevostro che è pediatra e salva la vita del figlio del ricco
imprenditore Meshullam (uno dei più bei personaggi creati dalla penna di
Shalev), dell’amore di Yair per la ragazza americana che assomiglia così tanto
a sua madre, dell’amicizia e poi
dell’amore per la figlia di Meshullam che sembra la gemella di Yair. E intanto
la casa riprende vita, respira, parla. A Yair che era andato da lei “come uno
che torna, non che viene”. Come la colomba che il Pupo aveva lanciato e che era
tornato dalla bimba. E così i due ritorni diventano uno solo, riallacciando
storie e personaggi.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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