martedì 12 agosto 2014

Meir Shalev. "Il ragazzo e la colomba" ed. 2008

                                                        Voci da mondi diversi. Medio Oriente
   il libro ritrovato


Meir Shalev, “Il ragazzo e la colomba”
Ed. Frassinelli, trad. Elena Loewenthal, pagg. 403, Euro 17,50

   Meir Shalev ha ritrovato la penna felice dei suoi libri più belli, nel nuovo romanzo “Il ragazzo e la colomba”. La capacità affabulatoria che ci incanta, tanto più che c’è una maggiore semplicità in questo libro, un minor numero di storie che si srotolano l’una dall’altra. Quella sorta di realismo magico in versione israeliana che è, a volte, pura poesia, come un guardare il mondo con occhi lavati dall’innocenza. E non ci pesa affatto se, a volte, lo scrittore ci chiede la sospensione dell’incredulità, perché quello che dice è bello, sarebbe bellissimo se fosse possibile, e perché no, in fin dei conti, se questo può alleviare la nostra vita.
    Sono due le storie che Meir Shalev ci racconta, e quanto l’una, quella che si svolge nel passato, abbia un significato per l’altra, che si svolge nel presente, lo sapremo alla fine, anche se sospettiamo qualcosa- non tutto, non quel tocco di straordinario in più- fin dall’inizio. E siccome entrambe le storie ci parlano d’amore, siccome c’è un’affinità nella diversità tra i personaggi di ieri e quelli di oggi, ci sembra spesso di leggere un’unica splendida storia sotto il simbolo della colomba, uccello di pace in un paese da sempre in guerra, “l’Ulisse degli uccelli” che conosce solo la direzione verso casa- come l’intero popolo di Israele, ritornato ‘a casa’ dalla diaspora.        

     Quand’ecco che, sopra tutto questo inferno volò tutt’a un tratto una colomba- inizia a raccontare un anziano turista americano alla guida Yair che ha portato il gruppo sul sito di un monastero. Perché il vecchio americano è un ebreo che ha combattuto nella guerra d’Indipendenza di Israele, l’inferno di spari e di schegge di granata e di rombo del cannone su cui si era levata in volo la colomba. L’aveva lanciata un colombofilo prima di morire, un ragazzo ventenne che non avrebbe dovuto essere coinvolto nei combattimenti. Piccolo, un po’ tozzo, molto scuro di pelle e di capelli- lo chiamavano il Pupo. La prima storia d’amore, la più bella, la più struggente, come tutte le storie d’amore che si concludono con la morte, è la sua, quella del Pupo e della ragazza che viene sempre chiamata ‘la bimba’, perché la prima volta che il Pupo la incontra, nella colombaia di Tel Aviv, lei è una bambina bionda e bianca, con gli occhi azzurri- l’opposto di lui. Mentre crescono, cresce anche il sentimento che li unisce, nato insieme a questa insolita loro passione per le colombe, come sono insolite e di una bellezza singolare le pagine che Shalev dedica alle cure per gli homing pigeons e alle maniere per addestrarli. C’è un che di essenziale nei messaggi ultra brevi che i due innamorati si scambiano affidandoli alle colombe, mentre il frullo delle ali replica quello del cuore, gli occhi seguono l’uccello e lo vedono svanire quando appare, invece, agli occhi dell’altro che attende (vogliamo fare un confronto con gli sms inviati con il cellulare o il tasto di invio della posta elettronica?). E l’ultimo messaggio- così stupendamente vitale sulla soglia della morte- sarà quello che collega la vicenda del passato a quella del presente, con il tema conduttore della ‘casa’ come luogo di ogni ritorno del cuore. Yair cerca una casa, una specie di ‘stanza tutta per sé’, per dirlo con le parole di Virginia Woolf, perché si sente respinto dalla casa che sente come proprietà della moglie. Ed è sua madre che, prima di morire gli ha dato i soldi per comprarla. Una madre molto amata che cela un segreto. Che si rivolge al marito chiamandolo ‘Padrevostro’. Che ad un certo punto se ne va di casa. Così, perché non ce la fa più. La ricerca della casa, allora, diventa anche ricerca delle origini e questo filone si arricchisce di frammenti di ricordi- dell’infanzia di Yair, del Padrevostro che è pediatra e salva la vita del figlio del ricco imprenditore Meshullam (uno dei più bei personaggi creati dalla penna di Shalev), dell’amore di Yair per la ragazza americana che assomiglia così tanto a sua madre, dell’amicizia  e poi dell’amore per la figlia di Meshullam che sembra la gemella di Yair. E intanto la casa riprende vita, respira, parla. A Yair che era andato da lei “come uno che torna, non che viene”. Come la colomba che il Pupo aveva lanciato e che era tornato dalla bimba. E così i due ritorni diventano uno solo, riallacciando storie e personaggi.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net



     

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