Voci da mondi diversi. Asia
il libro ritrovato
Duong Thu Huong, “Dalla terra di nessuno”
Ed. Garzanti, trad. Serena Lauzi,
pagg. 455, Euro 19,00
Se avevamo dei dubbi sul fatto che certi temi siano universali, che ci
siano degli archetipi ricorrenti in tutte le culture, che i sentimenti che gli
uomini provano siano gli stessi sulla faccia della terra, senza distinzione di
colore della pelle, di lingua o di paese di appartenenza, il romanzo della
scrittrice vietnamita Duong Thu Huong li dissolve tutti. Perché al centro della
vicenda di “Dalla terra di nessuno” è ancora ‘la nostalgia del ritorno’ di cui
parlava il tedesco Bernhard Schlink nel suo recente romanzo, anche se vista da
un’altra prospettiva, con personaggi diversi e una storia differente. Ma è pur
sempre il ritorno di Ulisse dalla guerra ed è passato tanto tempo e la Penelope di Duong Thu
Huong non poteva aspettare per sempre, si è risposata e ha un figlio.
La prima cosa che ammiriamo nel romanzo
della scrittrice vietnamita è l’equilibrio con cui è costruito: una prima parte
in cui veniamo introdotti ai tre personaggi principali, una parte centrale in
cui seguiamo il dramma di ognuno di loro e li conosciamo più in profondità
attraverso la storia del loro passato, e infine la conclusione dove si
riuniscono tutte le fila. E ci domandiamo se abbiamo letto una storia d’amore o
una storia di guerra e di quello che fa la guerra agli uomini, e riflettiamo
che è proprio vero, che nessuno torna mai da una guerra.
Il veterano Bon è tornato, dopo
quattordici anni- si era perso nella giungla, come e perché e che cosa gli sia
accaduto lo apprendiamo in seguito. E’ un rottame di uomo, inabile al lavoro,
con una sola idea in mente, quella che lo ha sostenuto in vita: riprendersi
Mien, la moglie che ha dovuto lasciare quasi subito dopo averla sposata, l’amore
della sua giovinezza, la donna più bella del Villaggio della Montagna. Mien
potrebbe rifiutarsi di seguirlo: Bon è stato dichiarato morto, adesso lei è la
moglie del ricco proprietario terriero Hoan, hanno un bambino. E invece si
veste di nero e lo segue nella catapecchia che condividono con la sorella di
lui e i suoi sporchi marmocchi, perché - come riflette Hoan alla fine- “anche
se si distruggessero tutti i tribunali del mondo, rimarrebbe pur sempre il
giudizio di quello che ci siamo costruiti nel cuore.” Mien segue la sua
coscienza, obbedisce ad un codice d’onore non scritto- se Bon è diventato una
larva, è stato per servire il suo paese, si è sacrificato per tutti loro, anche
per lei. Che poi la coscienza non sia il cuore e che il cuore si rifiuti di
provare alcunché per quello che era stato il suo primo amore, questo è il
dramma che Mien si porta dentro, moglie silenziosa che si lava dopo ogni
sterile amplesso che la disgusta.
Abbiamo parlato dell’equilibrio del romanzo
e in questa parola possiamo includere pure la magistrale trattazione dei
personaggi, come la scrittrice riesca a trasformare lentamente la figura di
Bon, il “cattivo” che rovina la felicità di una coppia, in un personaggio
drammatico: i capitoli della guerra in Vietnam, di cui abbiamo letto per lo più
da parte americana, sono un inferno di follia, indimenticabili le pagine di Bon
che si addentra nella giungla con l’unica compagnia del cadavere del sergente e
degli avvoltoi. Neppure Bon dimenticherà mai, il mondo sarà per sempre per lui
una terra di nessuno.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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