cento sfumature di giallo
vento del Nord
il libro ritrovato
Håkan Nesser, “L’uomo senza un cane”
Ed.
Guanda, trad. Carmen Giorgetti Cima, pagg. 443, Euro 18,00
Titolo originale: Människa utan kund
Era stato quando sua moglie
Helena lo aveva abbandonato- quattro anniprima, all’età di quarantun anni- che
Gunnar Barbarotti aveva fatto un patto con Dio.
Il patto riguardava l’esistenza o meno di Dio. Della propria, Gunnar
Barbarotti era anche fin troppo dolorosamente consapevole. Lui ed Helena erano
stati sposati quindici anni, avevano tre figli e scoprire all’improvviso,
praticamente da un giorno all’altro, di appartenere al Club degli Scaricati, o
CDS, l’aveva portato a dubitare di tutto.
Simpatico Gunnar Barbarotti. Simpaticissimo
Gunnar Barbarotti, l’ispettore che è il nuovo protagonista dell’ultimo romanzo
dello scrittore svedese Håkan Nesser,
sostituendo il commissario Van Veeteren che in “Carambole” partecipava
all’indagine non a pieno titolo, perché già in pensione. Lungi da noi essere
nazionalisti, perché non abbiamo molto di cui vantarci oggigiorno, ma forse
sono i geni ereditati dal padre italiano che aggiungono vivacità al
personaggio, una brillantezza, un fondo di allegria nonostante le vicissitudini
private, che il cupo Van Veeteren non possedeva. Ci ritroviamo spesso a sorridere,
leggendo “L’uomo senza un cane”, - cosa che non ci capitava con i pur molto
belli romanzi precedenti di Nesser-, perché Gunnar Barbarotti (che aveva corso
il rischio di chiamarsi Giuseppe Larsson, se non fosse stato per la madre che
voleva assolutamente un nome ‘sano e nordico’ e non ‘meridionale o da ballerino
di tango’) ha un umorismo da freddure nella gelida Svezia di dicembre in cui la
temperatura si aggira sui dodici gradi sotto zero a Kymlinge, dove si svolge il
romanzo.
Le indagini poliziesche di Håkan Nesser hanno raramente un inizio
cruento; lo scrittore preferisce irretire il lettore in un’atmosfera colma di
presagi, ammassando nere nubi foriere di tempesta. Che attendiamo, caricandoci
di elettricità come i personaggi del libro, senza sapere con quale violenza
scoppierà. C’è una famiglia al centro del romanzo, in apparenza una famiglia
modello ma, come spesso avviene, anche gli Hermansson hanno una doppia faccia-
una per gli altri e una che ognuno di loro singolarmente vede, guardandosi allo
specchio. Sia Rosemarie sia il marito Karl-Erik sono insegnanti appena andati
in pensione; la primogenita Ebba è primario chirurgo, più o meno felicemente o
infelicemente sposata e ha due figli adolescenti; il figlio Robert è separato
dalla moglie ed è da dieci anni che cerca di scrivere un romanzo; Kristina,
infine, può permettersi di non lavorare grazie ai soldi del marito.
Il 18 dicembre, due giorni prima
dei festeggiamenti per i ‘105 anni’- i 65 del marito e i 40 della figlia Ebba-
Rosemarie si sveglia soppesando due possibilità: uccidere il marito oppure se
stessa. Perché non ne può più di quel marito che, in un discorso elogiativo, è
stato definito ‘una quercia pedagogica’. Per l’appunto, è una quercia, che
nessuno riesce a smuovere da qualunque cosa decida. Ed è sempre stato lui a
decidere nella loro vita. Questa è l’unica anticipazione che facciamo al
lettore sui retroscena famigliari- gustosi, divertenti, drammatici- che
porteranno al caso di cui si occuperà Barbarotti: il 20 dicembre scompaiono sia
Robert sia il figlio maggiore di Ebba. Non insieme, ma entrambi senza lasciare
traccia.
“L’uomo senza un cane” non è soltanto
un’indagine alla ricerca di un assassino, ma anche un’indagine dentro l’anima,
un’esplorazione delle conseguenze del continuo attrito tra personalità diverse,
dei piccoli crimini coniugali che passano sotto silenzio perché non c’è un
cadavere che renda necessario l’intervento della polizia. Perché –nei versi di
OscarWilde- ogni uomo uccide la cosa che
ama/ eppure non ogni uomo muore per questo. Parlando della coppia si
finisce per forza a parlare anche dei figli e dei rapporti tra genitori e
figli- fino a che punto l’intelligentissima Ebba conosce i suoi figli? Non
c’entra proprio nulla la quercia-Karl Erik nell’esibizione di Robert al reality
show? Riuscirà Gunnar Barbarotti a creare un buon rapporto con i due figli
rimasti con la moglie, così come quello che ha con la figlia che ha scelto di
vivere con lui?
Alla fin fine, quello che ci
colpisce in questa detective story che coinvolge una famiglia, è il non detto
contenuto nel titolo del romanzo mai finito di Robert: la solitudine di ogni
personaggio. Come quella dell’uomo di cui sappiamo soltanto che non ha neppure
un cane.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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