il libro ritrovato
Marisha Pessl, “Teoria e pratica di ogni cosa”
Ed. Bompiani, trad. Carlo
Prosperi, pagg. 693, Euro 21,00
La sedicenne Blue van Meer ha
perso la mamma quando aveva 5 anni. Da allora è in viaggio per gli Stati Uniti
insieme al padre, professore universitario, gran seduttore, gran parlatore che
ha sempre la sua da dire, su tutto. Mentre Blue frequenta l’ultimo anno di
college e per la prima volta riesce ad avere qualche amicizia inserendosi in un
gruppo di cinque studenti, l’enigmatica insegnante che affascina tutti loro
muore in maniera misteriosa. E Blue sente che deve scoprire che cosa è
successo.
INTERVISTA A MARISHA PESSL, autrice di “Teoria e pratica di ogni cosa”
Al posto dell’indice (all’inizio del libro,
secondo l’uso inglese) un Piano di Studi di letture obbligatorie, come ultimo
capitolo un Esame Finale di verifica su quanto abbiamo compreso della vicenda
narrata, con quesiti a cui bisogna rispondere Vero o Falso, altri a risposta
multipla e un componimento libero ad illustrare la tesi che tutto quanto si è
letto o si è visto al cinema non può sostituire l’esperienza. Basta questo per
capire l’originalità di questo sorprendente esordio narrativo della giovane
americana Marisha Pessl.
“Teoria e pratica di ogni cosa” è un romanzo
di formazione “on the road”, storia di un legame tra padre e figlia che
ricorda- senza il risvolto del sesso- quello di Humbert Humbert e Lolita,
thriller alla Chandler de “Il grande sonno”, in cui non è la soluzione del
mistero quello che importa ma il modo dell’indagine, copione che ha qualcosa in
comune con il film “Picnic a Hanging Rock” di Peter Weir nella vicenda centrale
dell’escursione dei sei studenti che finisce male. Molto male, perché se è vero
che è una morte a segnare l’ingresso di un ragazzo nell’età adulta, è
certamente la morte dell’insegnante Hannah Schneider che cambierà per sempre la
vita della sedicenne Blue van Meer, già provata da quella della madre quando
era bambina. Perché Blue non si accontenta del verdetto di suicidio emesso
dalla polizia, Blue crede che Hannah abbia voluto lasciarle delle indicazioni
con il video del film “L’avventura” di Antonioni, Blue fa ricerche in rete,
rintraccia la sorella di un uomo morto annegato (era ubriaco, un incidente?)
nella piscina di Hannah, mette insieme le fila con una teoria che sembra
strampalata, così inverosimile che deve essere vera.
Ma il corpo di Hannah penzolante da un
albero viene ritrovato a pagina 450 di questo libro di quasi 700 pagine che si
leggono d’un fiato ( e non per modo di dire). Prima, in quei capitoli ognuno
intitolato come una delle letture obbligatorie a riflettere in nuce la vicenda
del romanzo, ascoltiamo dalla voce di Blue (“ho gli occhi azzurri, le
lentiggini e arrivo a un metro e sessanta circa, con i calzini”) la storia
della sua vita. Alla sua voce si sovrappone di continuo quella del padre
Gareth, presenza costante e influenza determinante nella vita di Blue, perché
forse l’unica cosa che la madre le ha lasciato è proprio solo il nome
stravagante, preso da quello dell’esemplare preferito delle farfalle che amava
collezionare. Gareth van Meer cita gli altri e cita se stesso, non c’è attimo
in cui non impartisca una goccia di lezione alla figlia- su tutti gli
argomenti, usando ogni genere di supporto, libri, film, musica, audiocassette,
video. E’ sempre presente, ingombrante ma carismatico, possiamo sospettare che
sia un cialtrone ma è sempre molto affettuoso- impossibile dubitare che, come
dice un’amica citandolo, la figlia sia stata “la cosa più bella” che gli sia
capitata nella vita. Sono tante le amiche di Gareth- nel lessico familiare di
Blue sono le “scarabee”- che si avvicendano al suo fianco, usate e poi scartate.
Sul mistero del perché Gareth non presti la minima attenzione a Hannah
Schneider (figura carismatica quanto lui, che ci ricorda la
Miss Brodie di Muriel Spark) non possiamo
dire nulla, perché fa parte del filone “thriller” del romanzo.
“Io e papà eravamo come gli
alisei,” scrive Blue, “ovunque andassimo, spazzavamo le città lasciandoci alle
spalle una greve aridità.” Anche da Stockton se ne andranno nella stessa
maniera, e se Blue citasse qualcuno, sarebbero le parole finali del Vecchio
Marinaio di Coleridge, anche lei è diventata più vecchia e più saggia. Sta a
noi lettori decidere la fine che vogliamo, come sta a noi distinguere le vere
dalle false nell’incredibile ricchezza di citazioni attraverso cui parla Blue,
che affermano e negano, ribadiscono e controbattono. Stilos ha intervistato la
giovanissima scrittrice americana.
Perdoni la curiosità: il suo nome, Marisha, sembra polacco e non riesco
ad indovinare la provenienza del suo cognome, Pessl. Da dove viene la sua
famiglia?
Mio padre è austriaco, la
sua famiglia è di Vienna e prima ancora credo venisse dalla Germania. Quanto a
Marisha, penso che abbia ragione, penso che sia polacco, una volta ho letto un
libro russo con un personaggio con questo nome. In realtà mia madre mi ha dato
il nome della sua migliore amica.
Parlando di famiglia: Gareth van Meer, il padre della protagonista del
suo romanzo, è un padre ingombrante, anche se affascinante, il tipo di padre
che forse sarebbe meglio fosse il padre di qualcun altro piuttosto che il
proprio. Com’è suo padre?
Mio padre è del tutto diverso, ho inventato il personaggio di Gareth,
l’ho modellato su delle persone che ho incontrato in università. Mio padre è un
ingegnere meccanico e non sono cresciuta con lui: i miei genitori hanno
divorziato quando avevo tre anni, perciò il nostro rapporto è stato a distanza,
conversazioni telefoniche, lettere, e poi andavo a stare da lui due o tre volte
all’anno.
I nomi: ha giocato di proposito sui due nomi di Blue, che, messi
insieme, sono “blu del mare”?
Quando do un nome ad un mio personaggio
cerco di non pensare ad altro che ad accordare il nome con la sua personalità.
Per Blue avevo pensato a parecchi nomi e poi quello è venuto fuori dagli studi
che sua madre faceva sulle farfalle e la Cassius Blue era la farfalla
che poteva prendere più spesso. Ma c’è anche una bellezza nel nome Blue, il
colore stesso può essere dolente e triste e bello e…penso che la rappresenti
molto bene.
Nel romanzo sono citati molti libri e film. Prima una domanda sui
libri: è chiaro che lei ama i libri, ha letto così tanto come Blue? Se dovesse
fare il nome del suo scrittore preferito del tempo passato e dello scrittore
contemporaneo che ama di più, chi le verrebbe in mente?
Sono cresciuta in una famiglia che amava
molto i libri e mia sorella ed io abbiamo avuto a disposizione tantissimi
libri- ricordo la lettura de “Il buio oltre la siepe” e “Le avventure di
Huckleberry Finn”: leggevamo ad alta voce e i libri hanno fatto parte della mia
infanzia come di quella di Blue. I miei autori preferiti del passato? Amo
Nabokov, Jane Austen, Dickens e poi i russi, Tolstoj e Dostojevskji. Tra gli autori
contemporanei mi piacciono Jonathan Franzen, Jeffrey Eugenides e Calvino.
Anche il cinema ha un ruolo importante nel romanzo. Sono citati molti
film italiani, mentre c’è un solo libro italiano nel Piano di Studi, “Quer
pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda: pensa che il cinema italiano
abbia avuto un ruolo più rilevante, o più innovatore, nella cultura, rispetto alla letteratura?
No, no, il fatto è che il cinema italiano è
una passione mia oltre che di Blue. Sono cresciuta guardando i film di Fellini
e di Antonioni e mi parevano- mi sembrano tuttora- così innovatori. Mi
piacciono moltissimo e ho prestato il mio amore a Blue.
Perché Blue ha così spesso la necessità di citare suo padre o frasi
prese da libri o da film?
Perché conduce questa vita itinerante,
viaggiando con il padre per dieci anni attraverso gli Stati Uniti, e questo
l’ha isolata. Faceva parte della sua caratterizzazione il fatto che i rapporti
importanti della sua vita siano con suo padre e con i libri che legge. Così, all’inizio
del libro è naturale che interpreti il mondo attraverso questi libri e poi, nel
corso del romanzo, a mano a mano che incomincia a vivere delle sue esperienze
invece che di quelle fittizie dei libri, queste citazioni diminuiscono. E
questo è uno dei temi del romanzo: che alla fine devi smettere di leggere e
devi vivere la tua vita.
Nella ricchezza delle citazioni lei mescola in maniera perfetta quelle
vere e quelle inventate: come è riuscita a farlo?
Tutto è iniziato perché cercavo una citazione
particolare da un libro che non ero neppure certa esistesse. Dopo una settimana
di ricerche, consultando testi, enciclopedie, libri di citazioni, senza trovare
quello che mi serviva- o che serviva a Blue- ho deciso che questa era per me
un’altra sfida, inventare questi libri e tutte queste altre voci, così diverse,
perché alcune erano del secolo XVIII e altre del secolo XIX e alcune erano
straniere. Era una sfida per me come scrittrice, renderle credibili e fare sì
che il lettore si domandasse quali fossero vere e quali fossero false. Che poi
è un’altra cosa fantastica del leggere libri: sfidare le voci che stai leggendo
e decidere che cosa sia importante o no, e se si debba accettare quello che si
sta leggendo.
I Nightwatchmen: questa parte della trama mi ha molto incuriosito. Da
dove li ha “presi”?
Il nome Nightwatchmen viene da un gruppo
radicale americano che ha operato fino alla fine degli anni ‘60, inizi degli
anni ‘70, gli anni delle Pantere Nere, dell’Esercito di Liberazione Simbionese,
tutti gruppi che si formarono come conseguenza del coinvolgimento americano in
Vietnam. Ho fatto un parallelo tra l’atmosfera politica di quel tempo e quella
del nostro tempo: ho scritto il libro cinque anni fa e la politica americana e
il punto di vista nazionale sono cambiati parecchio come risultato della guerra
in Iraq. Penso che il porre delle domande su dove si stia andando faccia parte
del compito di uno scrittore e credo che gli americani siano preoccupati per
quello che accadrà al paese come risultato dell’imperialismo. E questa è una
delle domande che volevo mettere nel libro.
Ci sono molte possibili soluzioni per il finale o c’è solo una risposta
giusta e noi lettori dovremmo essere in grado di collegare tutte le fila e
capire quale sia?
I test dell’esame finale hanno delle
risposte giuste e voglio che il lettore abbia una parte attiva nel rispondere,
perché Blue non è un narratore affidabile: il lettore ha un ruolo importante
quanto quello di Blue nel giudicare la storia. Ci sono, dunque, delle risposte
giuste, e si deve leggere con attenzione per trovarle.
Penso che il suo libro sia straordinario e lei è così giovane: quando
ha iniziato a scriverlo? Quanto tempo ha impiegato? E com’è “nato”?
Ho iniziato a scriverlo nel 2000 quando
lavoravo come consulente finanziaria. Avevo già scritto due romanzi che non
furono pubblicati, mentre ero al college, perciò avevo già fatto l’esperienza
di lavori lunghi e sapevo l’impegno e il tempo che avrebbe richiesto un romanzo.
Già negli altri due romanzi c’erano i personaggi di Blue e Gareth, c’era questo
legame fantastico tra padre e figlia e già avevo in mente le ultime venti
pagine del libro e sapevo come era il loro rapporto. Dovevo elaborare la parte
centrale della storia. Sapevo che avevo bisogno di motivi straordinari per
arrivare a quel punto finale. Sapevo anche che, quando scrivi, devi entrare in
quella storia; sapevo che uno scrittore deve lasciarsi coinvolgere dai suoi
personaggi e che avrei vissuto con loro per i tre anni in cui avrei scritto il romanzo.
la recensione e l'intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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