domenica 17 agosto 2014

Ha Jin, "Una vita libera" ed.2008

                                                        Voci da mondi diversi. Cina
 
 il libro ritrovato


Ha Jin, “Una vita libera”
Ed. Neri Pozza, trad. Monica Morzenti, pagg. 702, Euro 22,00
titolo originale: A Free Life


Nel caso di Nan, era chiaro che scrivere in cinese l'avrebbe portato a un punto morto. Poteva farlo in inglese? In quel periodo la solita domanda era tornata a tormentarlo. Sapeva che per lui il cinese rappresentava il passato e l'inglese il futuro, l'identificazione con suo figlio. Capiva anche che adottando un'altra lingua si sarebbe allontanato ancor di più dall'eredità cinese e si sarebbe trovato ad affrontare una solitudine più grande e un rischio maggiore...

      “Una vita libera” è un libro diverso da quelli precedenti di Ha Jin. Non per lo stile, che ha mantenuto la sua limpida asciuttezza, ma per i contenuti. Perché questo è il primo libro 'americano' dello scrittore cinese che si trovava a studiare negli Stati Uniti nel 1989, all'epoca del massacro di piazza Tienanmen a Pechino, e decise di non tornare più in patria (la stessa scelta fatta da Qiu Xiaolong, il noto scrittore di romanzi che hanno l'ispettore Chen Cao come protagonista). E allora il titolo stesso acquista il significato di una rinascita, che è stata lunga, travagliata, difficile. La libertà della nuova vita, per Nan Wu, il protagonista che è una sorta di alter ego dello scrittore, è certamente- e prima di tutto- quella politica, garantita dalla democrazia, ma è anche qualcosa di molto più complesso. E' scrollarsi di dosso tutto il passato, compreso il ricordo della donna che ha amato e che lo ha fatto soffrire; è cercare di mantenere la sua cultura e nello stesso tempo aprirsi a quella del paese in cui ormai vivrà per sempre; è- infine- fare un salto nel vuoto e abbandonare il ghetto linguistico del cinese e scrivere in inglese. Altri scrittori lo hanno fatto, scrivere in una lingua che non era la loro- Conrad o Nabokov, ad esempio. Ma Nan Wu/ Ha Jin adotta una lingua che non appartiene al ceppo linguistico della sua e segue meccanismi totalmente diversi- non è solo come spostare la leva di un interruttore, ma cambiare l'intero generatore.
      Finalmente Taotao aveva ottenuto passaporto e visto- è la frase che inizia il romanzo e anche la nuova vita di Nan Wu e della moglie Pingping che non vedevano il bambino da tre anni. Un figlio cambia le prospettive, rende insufficiente il presente, obbliga a pensare al futuro. E Taotao ha un ruolo importante di continuo confronto, nel romanzo. Appena arrivato in America, Taotao (6 anni) vorrebbe tornare dai nonni in Cina: non sa l'inglese, non gli piace il cibo, quasi non conosce i genitori. Eppure è l'immigrato ideale, senza passato, aperto a tutto. Quanto gli è facile adattarsi, imparare ad usare il computer, padroneggiare la lingua, dimenticare il cinese: il giorno in cui Nan Wu si accorge di aver parlato in inglese (anzi di aver litigato in inglese) con il figlio, è quello in cui si accorge che si sono americanizzati. Con perplessità e lacerazioni. Perché Nan Wu non ammira incondizionatamente gli Stati Uniti. Se Pingping rimpiange di non aver avuto un'infanzia come quella di suo figlio, Nan Wu odia l'imperativo del divertimento che regola la vita americana. Se la realizzazione del sogno americano significa che Nan Wu debba chiudere in scatoloni i suoi 3000 libri e fare il cuoco per quattordici ore al giorno, una volta che ha estinto i debiti dell'acquisto della casa Nan Wu vende il ristorante e accetta un lavoro che gli permetta di rispolverare il suo sogno, quello di scrivere. Una vita libera è anche non lasciarsi schiavizzare dal successo economico.  

     Ha tanto da dire, Ha Jin, in questo primo romanzo americano. Tante conquiste quotidiane, difficoltà pratiche da risolvere, problemi di coppia e di vecchie e nuove amicizie, rapporti con i genitori lontani con cui è arduo mantenere un legame e quelli con un figlio nel quale non ci si riesce a riconoscere, perché cresciuto in una società che ha valori diversi. E poi ci sono vecchi sogni che ritornano, il confronto con altri immigrati cinesi, il dilemma della lealtà ad una patria che uccide i suoi figli: la Cina non è più il mio paese. La disprezzo, perché tratta i suoi cittadini come fossero bambini creduloni, impedendo loro di diventare veri individui. Pretende solo obbedienza. Per me la lealtà è una strada a doppio senso. La Cina mi ha tradito, perciò io mi rifiuto di continuare a essere suo cittadino.

     Un'osservazione linguistica, per terminare, considerata l'importanza che la scelta della lingua in cui scrivere ha per il protagonista: nessuna nota lo spiega, ma i dialoghi tra i personaggi appaiono in corsivo quando questi parlano in cinese tra di loro. Sono tutte persone colte e possiamo supporre che l'inglese usato da Ha Jin rispecchi l'aulicità del mandarino e si discosti dagli altri dialoghi in cui gli stessi personaggi parlano nella lingua che non è la loro: quanto più ricco deve essere il sottotesto del romanzo in originale!

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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