cento sfumature di giallo
vento del Nord
il libro ritrovato
Håkan Nesser, “Carambole”
Ed.
Guanda, trad. Carmen Giorgetti Cima, pagg. 291, Euro 15,00
Titolo originale, “Carambole”
ISBN 88- 8246-746-5
Da qualche parte aveva letto che un uomo deve fare tre cose nel corso
della sua esistenza. Crescere un figlio, scrivere un libro e piantare un
albero.
“La vita è una
faccenda molto sopravvalutata. Anche se è meglio non scoprirlo troppo presto.”,
dice Van Veeteren, il commissario protagonista dei romanzi polizieschi dello
scrittore svedese Håkan Nesser. Una frase che rispecchia il carattere
introverso e malinconico di questo personaggio che abbiamo lasciato ne “Il
commissario e il silenzio” sul punto di ritirarsi in pensione. E infatti in
“Carambole” Van Veeteren lavora in una libreria antiquaria di cui è comproprietario,
quasi che sia meglio vivere la vita espressa a parole su pagine ingiallite dal
tempo che combatterla nelle lacrime e nel sangue per le strade di Maardam,
l’immaginaria cittadina in cui è stato capo della squadra omicidi per quindici
anni. Eppure, anche se il commissario-
come continuano a chiamarlo i colleghi con rispetto- non è il protagonista
centrale, “Carambole” è forse il più bello della serie finora pubblicata. Non
spetta al commissario svolgere l’inchiesta, anche se il suo contributo è importante,
addirittura quasi risolutivo; questa volta Van Veeteren è coinvolto in quanto
padre di una delle vittime, quel figlio Erich con esperienza di droga e di
prigione per cui si addolorava nei romanzi precedenti. E per la prima volta non
è solo per desiderio di giustizia che Van Veeteren vuole che il caso venga
risolto- si tratta di suo figlio, impossibile non provare l’istinto di farla
pagare al colpevole.
La prima anomalia che riscontriamo in
“Carambole” è nel fatto che sappiamo subito chi è l’assassino e ne conosciamo i
meccanismi mentali, possiamo prevedere quali saranno le sue mosse. Inevitabili
e concatenate. Tutto ha inizio ad una cena di amici, si beve di più di quello che
passerebbe al test del palloncino, il futuro assassino che per ora è una
normale persona rispettabilissima si mette ugualmente al volante- e neppure con
incoscienza, forse più per pigrizia, perché è difficile trovare un taxi-, il
tempo è brutto, pazienza, andrà piano. E però urta qualcuno, un tonfo leggero,
si ferma. Il ragazzo è morto perché ha battuto la testa cadendo, non c’è niente
da fare: perché mettere fine anche alla sua, di vita, costituendosi?
Ecco come
il colpevole di un omicidio involontario diventa un assassino. Perché arriverà
una lettera, lui metterà a tacere una persona (il figlio del commissario).
Pensa sia tutto finito, e invece l’incubo continua. Il sapere chi sia
l’assassino dovrebbe eliminare o quantomeno diminuire la tensione che è la
molla dei romanzi polizieschi. Niente affatto, e qui sta l’abilità di Nesser,
nel costruire una rete di suspense sottile intorno al doppio interrogativo
sull’identità nominale dell’insospettabile assassino e del suo ricattatore, su
quale posizione occupino nella scala sociale. Nello stesso tempo seguiamo il
“farsi” di un assassino, siamo testimoni del dolore che non trova parole di Van
Veeteren colpito in prima persona da questa morte violenta, impariamo a
conoscere meglio i suoi colleghi che finora erano stati messi in ombra da lui. E
concludiamo che è vero, che la nostra vita è come un tappeto verde da biliardo
su cui rotoliamo come palle a cui è data velocità e direzione ma della cui
traiettoria è impossibile sapere, una volta che si scontrano e girano impazzite
e cambiano rotta in una carambola.
la recensione è stata pubblicata su www.alice.it
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