Voci da mondi diversi. Armenia
Narine Abgarjan, “E dal cielo caddero tre mele”
Ed. Brioschi, trad. Claudia Zonghetti
Venerdì subito dopo mezzogiorno, con il sole che aveva passato lo zenit e
scivolava composto verso l’estremità a ponente della vallata, Sevojants
Anatolija si coricò per prepararsi a morire.
Splendido inizio per questo bellissimo libro della scrittrice armena
Narine Abgarjan che dal 1993 vive in Russia e scrive in russo. Una frase che
contiene un’indicazione temporale che non è precisa, così impariamo subito che
il tempo a Maran- il paesino immaginario dove è ambientato il romanzo- è
labile, è un tempo che ha per coordinate il sole e la pioggia, il caldo
dell’estate e le neve dell’inverno senza fine, gli anni della siccità e quelli
della carestia. Sono gli eventi memorabili a marcare il tempo, a renderlo
indimenticabile. Un giorno verso il tramonto, dunque, Sevojants Anatolija ha
deciso che l’ora della sua morte è vicina. In genere, come vedremo, gli
abitanti di Maran hanno un sesto senso che li avvisa dell’avvicinarsi della
morte o di qualche altro evento insolito- il fratello di Vasilj (che diventerà
il secondo marito di Anatolija) vedeva colonne di luce blu nel cielo quando
qualcuno stava per morire e gli veniva un febbrone altissimo quando il paese
era minacciato da una tragedia. Questa volta, però, Anatolija si sbaglia. E si
sbaglia di grosso. Perché è lei che è, invece, portatrice di un messaggio di
vita, della ripresa della vita in un paese di vecchi e di morti.
Maran, il paese che la scrittrice ha modellato su una miriade di paesini
in Armenia. Maran che prende vita per noi come la Vigata di Montalbano o la Jovkanapawtha
County di Faulkner, o Macondo di Marquez. Cristo si è fermato molto prima di
arrivare a Maran dove il postino si arrampica due volte al mese e, se qualcuno
sta male (ma deve stare veramente molto male), bisogna scendere a valle e far
venire su un’ambulanza (se poi la strada è ingombra di neve, l’ambulanza non ce
la fa a raggiungere Maran). Costruita in alto su un cocuzzolo, un’intera metà
di Maran è scivolata a valle quando il terremoto ha fatto sprofondare il fianco
ovest del monte Manish kar. Un lutto da cui nessuna famiglia si è più ripresa.
Ci incantano, le storie di Maran. Storie che ci parlano di un passato che non
passa mai, di tradizioni sempre vive, di fatti che sono diventati leggende-
come quella dello splendido pavone bianco (e constateremo alla fine quanto sia
appropriato il suo valore simbolico di rinascita)-, di dolori e di perdite
(quanti, quanti morti per la carestia e per le malattie e per le guerre che
strappano i figli maschi), ma anche di generosità, di solidarietà, di amicizia,
di amore. Il Bene non potrebbe esistere senza il Male e c’è indubbiamente il
Male anche a Maran (il primo marito di Anatoljia è un uomo cattivo), ma
l’impressione dominante è quella di un volersi bene diffuso, di essere là per
chiunque abbia bisogno di aiuto. Noi lettori siamo come la moglie ‘straniera’
di Tigran che accompagna il marito in visita e si innamora di Maran e disegna
tutto quello che vede, tutta la bellezza nascosta che per abitudine gli
abitanti non vedono più- è significativo che lei sia l’unica a vedere le due
iniziali incise nella ringhiera sulla scarpata, una K e una V che saranno
profetiche. Siamo come sua figlia, la bambina che arriva dalla Russia e che
trova tutto squisito e chiede alla mamma di imparare le ricette.
Perché anche
di questo è fatto il romanzo: di ricette di piatti antichi cotti sotto la
cenere, di pozioni medicali, dell’arte di non sprecare nulla che possa essere
commestibile, di come fare scorte perché non si sa mai che la carestia possa
colpire di nuovo. E poi è fatto di scene tenere e anche di scene buffe- Valinka
che getta nel pozzo nero le bustine di lievito scaduto (non sa neppure che cosa
sia) e il giorno dopo una schiuma puzzolente e disgustosa tracima dal pozzo.
Proprio quando deve arrivare suo nipote con moglie e bambini. Ma qui si mette
in moto il tutti-per-uno-uno-per-tutti di Maran per salvare la situazione.
E concludiamo come le nonne armene terminavano di raccontare una fiaba: E dal cielo caddero tre mele: una per chi ha
visto, una per chi ha raccontato, una per chi ha ascoltato.
La scrittrice era presente al Festival di Letteratura di Mantova
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