Voci da mondi diversi. Asia
cento sfumature di giallo
Chi Wei-Jan, “L’ombra nel pozzo”
Ed. Marsilio, trad. Riccardo Moratto,
pagg. 439, Euro 19,00
Taipei, isola di Taiwan. Wu Cheng ha
cambiato vita. Ha abbandonato l’incarico di professore universitario, ha
lasciato la moglie (o è lei che ha lasciato lui andando a vivere in Canada), ha
anche detto addio alla professione di drammaturgo e si è messo a fare
l’investigatore privato. Inizia il nuovo lavoro così, alla leggera, come fosse
un gioco per ragazzi, senza nessuna idea precisa di che cosa si troverà a dover
fare, con l’unica preparazione che gli viene dalla lettura di romanzi
polizieschi e una bicicletta per spostarsi in città. In più, Wu Cheng soffre di
depressione e di attacchi di panico per cui deve seguire una terapia
farmacologica giornaliera.
Il primo caso che gli si presenta è quello di una signora che desidera
scoprire perché sua figlia eviti il padre da un po’ di tempo. No, di certo lui
non l’ha molestata- di questo è sicurissima. La ragazzina esce solo per andare
a scuola e lei non riesce a spiegarsi che cosa possa essere successo. In
maniera molto amatoriale e divertente, con l’aiuto di un tassista che diventa
suo amico, Wu Cheng risolve il caso scoprendo qualcosa che va molto al di là di
quello che si poteva pensare.
È come se questo fosse un apprendistato perché, subito dopo, succede
qualcosa di ben più grave- una, due, tre, quattro persone vengono uccise con la
stessa modalità, un colpo alla nuca. Nessun legame apparente tra le vittime,
una singolare localizzazione del posto in cui sono state aggredite: osservando
la latitudine e la longitudine dei luoghi, unendo i punti con una linea, si
forma un disegno: una svastica con le braccia rivolte a sinistra. Non è quella
adottata dai nazisti e diventata simbolo del Male ma quella che appare sul
petto del Buddha, il simbolo buddhista dell’infinito. Che intenzioni ha
l’assassino? Che messaggio vuol comunicare? Sembrerebbe soprattutto che voglia
far incriminare lo stesso Wu Cheng e che lo conosca molto bene. Le telecamere-
Taipei è piena di telecamere, impossibile sfuggire al loro occhio- mostrano un
uomo con un berretto e una folta barba, identico a Wu Cheng. Chi può avercela
con lui tanto da uccidere per farlo incolpare? Qualcuno dell’ambiente
universitario? O di quello del teatro? Wu Cheng era noto per avere una lingua
tagliente.
È stato un vero piacere leggere “L’ombra nel pozzo”, primo romanzo di
Chi Wei-Jan, drammaturgo e insegnante di storia del teatro presso la National
Taiwan University. Perché è nuovo e originale. L’ambientazione ci incuriosisce
perché credo che questo sia il primo romanzo di indagine poliziesca che si
svolge a Taipei- e niente è meglio di un romanzo per trasportarci altrove, per
farci conoscere una città o un paese. La trama è diversificata e stuzzicante e
ruota intorno al protagonista che sembra essere più interessato a se stesso e
ai suoi problemi esistenziali che a quello che si sta svolgendo intorno a lui.
Ci piace l’occhio critico con cui si guarda intorno e il tono ironico con cui
ne parla- i taiwanesi sono speciali per disobbedire a qualunque legge o divieto
(e a noi vien da pensare che gli italiani sono molto simili, devono essere
parenti stretti dei taiwanesi anche se questi sono dalla parte opposta del
mondo), i taiwanesi sono dei gran truffatori (ma com’è che i metodi per
imbrogliare la sanità non ci sembrano nuovi?). La soluzione del caso, inoltre,
traccia un parallelo intrigante tra buddhismo e cristianesimo.
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