la Storia nel romanzo
Peter Fröberg Idling, “Il sorriso di Pol Pot”
Ed. Iperborea, trad. Laura
Cangemi, pagg. 323, Euro 17,00
Titolo originale: Pol Pots leende
“Non c’è modo di tornare indietro. E
d’altra parte è evidente che, in linea di principio, abbiamo dato il nostro
sostegno alla parte sbagliata. E, indirettamente, molto indirettamente, al
genocidio. Ma cosa posso farci, oggi?”
I fatti, per prima cosa. Nel 1970, in Cambogia, un
colpo di stato guidato dal generale Lon Nol depose il principe Sihanouk. Poco dopo
iniziò la guerra civile tra il regime di Lon Nol, appoggiato dagli americani, e
i guerriglieri comunisti che avevano preso il nome di ‘khmer rossi’. Nel 1975
gli americani si ritirarono dal Vietnam del Sud, cadde il corrotto governo
cambogiano e i khmer rossi, capeggiati da Pol Pot, presero il potere, avviando
una trasformazione sociale radicale nel paese che avevano rinominato Kampuchea
Democratica. All’epoca di Sihanouk la Cambogia aveva l’aspetto di un paese dell’occidente:
Phnom Penh era una città moderna dagli ampli viali, migliaia di chilometri di
autostrade percorrevano il paese, la rete ferroviaria era estesa,
l’alfabetizzazione era ad un buon livello. Lo stato comunista e contadino che
Pol Pot aveva in mente era agli opposti. La prima misura fu svuotare le città,
ordinandone l’evacuazione di massa. Tutti i simboli della civiltà occidentale
vennero distrutti: automobili e macchinari, elettrodomestici e case. Abolite le
scuole: gli intellettuali erano al bando, chiunque venisse sorpreso a scrivere,
o fosse semplicemente in possesso di matite, veniva ucciso. Bastava avere gli
occhiali per essere smascherato come qualcuno che aveva studiato e che doveva
essere eliminato. Una giacca nera abbottonata fino al collo era la divisa per
tutti. La Cambogia-
anzi, la Kampuchea Democratica-
divenne un immenso campo di lavori forzati. Arresti, torture, morte, erano in
agguato per la minima trasgressione. E il complesso-prigione S-21 era la
destinazione più temuta dagli arrestati: S-21 come Auschwitz, sinonimo di morte.
Quando la dittatura di Pol Pot fu rovesciata dal vicino Vietnam nel 1979, uno
su quattro cambogiani erano morti, il 25% della popolazione.
Ancora fatti: nell’agosto del 1978 una
delegazione di quattro svedesi guidati da Jan Myrdal (non un intellettuale
qualunque, era figlio di Alva, premio Nobel per la pace, e di Gunnar, premio
Nobel per l’economia) visitò la Cambogia. Al
ritorno i quattro non ebbero che espressioni di ammirazione, opinioni
entusiastiche di quanto avevano visto, smentite di voci negative che
circolavano e che, a parer loro, erano tendenziose. La Kampuchea Democratica
era uno stato modello, una vera e propria rivoluzione dei modelli di vita
occidentale.
Partendo da
queste premesse, Peter Fröberg Idling, giornalista, scrittore e critico
letterario svedese, ha scritto il suo libro di indagine, “Il sorriso di Pol
Pot”. C’è una domanda centrale nel libro: come è stato possibile? Se, secondo
le statistiche, un milione e trecentotrentamila persone erano già morte al
momento in cui gli svedesi atterravano a Phnom Penh, come è stato possibile,
primo: che i khmer rossi siano stati in grado di organizzare quell’enorme
finzione di ordine, lindore, produttività, soddisfazione (perché ci sono anche
fotografie che parlano chiaro), quella sceneggiata orchestrata per gli occhi e
gli orecchi dei visitatori; secondo: che i quattro svedesi si siano lasciati
ingannare, non si siano insospettiti (dalla città deserta, ad esempio), non
abbiano fatto domande (sulla sorte di parecchi scomparsi di loro conoscenza,
compreso il marito di una della delegazione).
Forse gli svedesi hanno visto ma non hanno voluto rivelare nulla per non
danneggiare una rivoluzione giusta? Oppure hanno visto e non hanno compreso del
tutto, hanno visto cose che non sono stati capaci di porre nel giusto contesto?
Hanno visto e non hanno voluto vedere?
Incomincia così il viaggio di indagine di Peter Fröberg
Idling. Viaggio sul posto, in una Cambogia ancora segnata dalle cicatrici di
guerra, sulle tracce dei sopravvissuti di quei tempi, di coloro che apparivano
nelle foto insieme agli svedesi (l’interprete, ad esempio), di quelli che erano
vicini a Pol Pot, delle guardie della prigione. Viaggio nei ricordi dei membri
della delegazione- e non tutti accettano di parlare con limpidezza. Viaggio
nelle biblioteche e negli archivi. Nella famigerata S-21 con le fotografie
degli arrestati morituri- occhi allucinati, cartoncino identificativo appuntato
direttamente sulla pelle. Viaggio nella biografia di Pol Pot, studente alla
Sorbona con il nome di Saloth Sar. Capitoli nel passato con il titolo Come un bianco sfarfallio, raccolta di
testimonianze intitolate Ho visto quello
che ho visto. E sempre, in primo piano, ossessive, le domande: come è stato
possibile? Come si passa ad essere, da studente, un assassino di masse? Quante
verità ci possono essere? Dietro, il sorriso di Pol Pot, uguale a quello di
altri, uguale a quello di Mao, che scopriva solo l’arcata superiore dei denti.
Un sorriso enigmatico come quello della Gioconda.
Un libro molto bello,
molto intenso, molto appassionante, con frasi secche come staffilate.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Peter Fröberg Idling |
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