premio Nobel
Voci da mondi diversi. Medio Oriente
il libro ritrovato
Orhan Pamuk, “Il museo dell’innocenza”
Ed. Einaudi, trad. Barbara La
Rosa Salim , pagg. 575, Euro 24,00
Titolo originale: Masumiyet Müzesi
A volte ce ne stavamo seduti in silenzio,
senza fare nulla. A volte zio Tarik, annoiato da un programma televisivo, si
metteva a leggere il giornale. A volte ascoltavamo attenti il clacson di una
macchina che percorreva la discesa. A volte, quando pioveva, ascoltavamo il
ticchettio della pioggia sui vetri senza proferire verbo. A volte dicevamo
soltanto: “Fa caldo oggi!”. A volte zia Nesibe si dimenticava di aver
appoggiato la sigaretta sul posacenere e ne accendeva una in cucina. A volte
fissavo inosservato la mano di Füsun per quindici, venti secondi e ne rimanevo
estasiato. A volte…..
Raramente un
romanzo è così fedele al suo titolo: leggere “Il museo dell’innocenza”, il
primo libro scritto da Orhan Pamuk dopo il conferimento del Premio Nobel nel
2006, è come varcare la soglia di un museo; voltiamo le pagine ed è come se ci
aggirassimo per sale in cui ammiriamo oggetti esposti nelle teche, chinandoci
un poco per leggere la dicitura delle targhette esplicative. E, proprio come un
museo ricostruisce un mondo, salvandolo dall’oblio per fissarlo nella memoria,
distillando gli istanti nello scorrere del Tempo, così il romanzo di Pamuk ci
restituisce la storia d’amore tra il trentenne Kemal e la diciottenne Füsun-
ogni singolo dettaglio della vicenda, per quanto possa essere ripetitivo o
apparire insignificante, impreziosito dalla luce soffusa del ricordo- e, nello
stesso tempo, ricrea la vita di una città, Istanbul, negli anni ‘70.
il museo dell'innocenza di Pamuk |
Le date sono
importanti in qualunque museo: in questo la prima è del 26 aprile 1975 e
l’ultima sarà di nove anni e quattro mesi dopo. La prima è la data del giorno
in cui Kemal entra nel negozio in cui Füsun lavora come commessa e l’ultima è
di quello in cui Kemal e Füsun partono per l’Europa: non sciupiamo nulla
dicendo che è anche la data del giorno quando tutto finisce, e che terminasse
in dramma lo avvertivamo fin dall’inizio. La pura e semplice storia di quest’amore
è banale.
Prima puntata: Kemal è in procinto di fidanzarsi con Sibel
quando conosce Füsun e se ne innamora. Ricco, attraente, con una laurea presa
in America, Kemal è il tipico ragazzo ‘d’oro’ viziato, egocentrico ed egoista a
cui la vita non ha mai negato niente e che è incapace di negarsi alcunché.
Füsun è giovane e bella, più sensuale e
provocante di Sibel, forse è una finta ingenua e comunque ‘ci sta’. Kemal si
incontra con lei in un appartamento di sua madre ogni giorno, per
quarantacinque giorni, facendo l’amore con furia e passione.
Seconda puntata: Kemal si fidanza ufficialmente con Sibel,
durante una festa sfarzosa all’Hilton, dove pure Füsun è invitata. Dopo di che
Füsun scompare. Inizia il mal d’amore di Kemal. Più tardi, parlando con Füsun,
Kemal definirà l’amore come il sentimento che prova quando la vede e,
all’obiezione di lei, “Ma allora quando non mi vedi non è più amore?”,
risponde: “Quando non ti vedo il mio amore si trasforma in un’ossessione, una
sorta di malattia.” E la storia d’amore
si trasforma nella storia di un’ossessione, con Kemal che vaga in cerca di
Füsun per la città, tracciando una mappa e segnando con vari colori le strade
da evitare per non soffrire di ricordi, molto, troppo spesso ubriaco,
trascinando con sé nella spirale dell’infelicità e dell’ebbrezza costante anche
la povera Sibel che non sa o non vuole sapere, che si gioca la reputazione
andando a vivere con lui senza essere sposati.
Terza puntata: Sibel tronca il fidanzamento; Kemal ritrova
Füsun- sposata, anzi fatta sposare per convenienza, ed inizia il folle periodo
di una frequentazione quasi quotidiana a tre e poi a cinque, quando Kemal va in
visita (‘a sedersi’, come si dice in Turchia) dai genitori di Füsun presso cui
la coppia abita. Per sette anni, dieci mesi e tre giorni, durante 409
settimane, Kemal va a cena “dai Füsun” 1593 volte.
Ho riportato le
cifre apposta, per dare al lettore un metro della meticolosità ammalata con cui
Kemal ha conservato nella memoria ogni traccia del suo amore. A questo punto
non sa ancora che, dopo aver visitato 5723 musei, avrebbe dedicato un museo a
Füsun, eppure inizia ad accumulare oggetti che le appartengono, rubacchiando in
casa sua fazzoletti o mollette, soprammobili o saliere. In seguito allargherà
il campo della collezione, perché Füsun non è più solo Füsun, è la città in cui
si sono amati, è nella nave su cui si sono posati i suoi occhi sul Bosforo,
nella bottiglietta di gassosa, nei cartelloni pubblicitari, nel pacchetto di
sigarette, negli spettacoli televisivi, negli orari del coprifuoco dopo il
golpe, in una miriade di articoli e di immagini che finiscono per ricomporsi,
come in un caleidoscopio, dentro il Museo dell’Innocenza che è un poco come il
Giardino dell’Eden prima della caduta.
Tuttavia, anche
se dovrebbe esserci Füsun al centro della memoria, è invece di Kemal che Kemal
parla sempre, personaggio narcisista, spesso irritante, che chiude il racconto
dicendo, “Ho avuto una vita felice”, senza chiedersi a quanti l’abbia resa
infelice, e che- con una pirandelliana svolta narrativa- chiede allo scrittore
Orhan Pamuk (che già avevamo visto ballare con Füsun durante la festa di
fidanzamento di Kemal) di scrivere il libro che stiamo leggendo. Cosicché c’è
una stregante sovrapposizione delle due voci- dapprima Pamuk mette in chiaro di
aver scelto la prima persona narrante in vece di Kemal; poi, da quando Orhan
Pamuk e Kemal incominciano a incontrarsi spesso e a bere raki insieme, il
lettore inizia a confondersi, domandandosi chi sia chi, fino a quando- chini
entrambi su una foto di Füsun- ci paiono il capitano de “Il compagno segreto”
di Conrad e il suo doppio che confabulano al buio.
Nelle ultime
pagine c’è una piantina per arrivare facilmente al museo, insieme ad un facsimile
di biglietto per l’ingresso: sarà un percorso lento, a tratti noioso, a volte
ci verrà la tentazione di saltare qualche sala e trascurare qualche reliquia
che ci pare di avere già visto. Eppure ne usciremo con la sensazione che
abbiamo guardato la vita, che è una collezione di istanti felici. Una
collezione di oggetti che ricordano momenti di pienezza.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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