il libro ritrovato
Kim Young-Ha,
“L’impero delle luci”
Ed. Metropoli d’Asia, trad. Andrea De Benedittis, pagg. 372,
Euro 16,50
Titolo originale: Pich’ui
cheguk
Aveva
trascorso i primi suoi ventun anni in Corea del Nord e gli altri ventuno in
Corea del Sud. Cronologicamente la sua vita poteva essere, dunque, divisa in
due metà uguali. La prima vissuta nei panni di uno studente del Dipartimento di
inglese nella prestigiosa università di Lingue Straniere di Pyongyang, l’altra
nei panni di un immigrato illegale. Quelle due metà sembravano pezzi di uno
stesso puzzle, ma non combaciavano. Quando era a Pyongyang non avrebbe mai
potuto prevedere che la sua vita sarebbe cambiata in quel modo, quando invece era
approdato a Seoul aveva dovuto dimenticarsi di quella prima fase, che ormai
pareva un’esistenza vissuta ancora prima di nascere.
15 marzo 2006. Le idi di marzo- e non è un
caso che sia questa la data scelta, “guardati dalle idi di marzo” aveva
avvisato l’indovino rivolgendosi a Cesare nella tragedia di Shakespeare-, una
giornata particolare nella vita di Kim Kiyŏng, quarantaduenne abitante a Seoul, proprietario di una
piccola società di importazione di film stranieri. Potrebbe proprio essere questo,
“Una giornata particolare”, il titolo del romanzo dello scrittore coreano Kim
Young-Ha invece de “L’impero delle luci” derivato da un famoso quadro di
Magritte- uno dei tanti riferimenti alla cultura occidentale che si incontrano
nel romanzo, insieme a quelli a Huxley, a Oscar Wilde, a Camus, ai film di
grandi registi. Come nell’”Ulisse” di Joyce, noi seguiamo il protagonista dal
suo risveglio alle 7 del mattino fino alla stessa ora del giorno seguente.
Accanto a lui, la moglie Mari e la figlia Hyŏnmi al posto di Molly e Stephen Dedalus.
il quadro di Magritte |
Il mal di
testa con cui si sveglia Kim Kiyŏng
è il primo segnale di qualcosa di diverso- Kiyŏng non ha mai mal di testa. Quando arriva in ufficio e accende
il computer, con la posta elettronica arriva il secondo segnale, quello che
sconvolgerà la sua giornata: un messaggio criptato in una poesia del poeta
giapponese Bashō che gli
ordina il rientro immediato nella Corea del Nord. Da ventun anni Kim Kiyŏng è una spia nordcoreana
infiltrata al Sud. Da dieci anni è inattivo e quel suo ultimo intervento,
l’ordine di uccidere un amico, era stato un trauma- pensava si fossero ormai dimenticati
di lui. Ora questo ordine che scatena in lui domande senza risposta (perché?
che cosa vorranno? che cosa succederebbe se non obbedisse?), che fa rinascere
il suo doppio che era stato addestrato per fare la spia- sospettoso,
previdente, che non si fida di nessuno, con tutti i sensi all’erta. Kiyŏng distrugge il disco fisso del
computer, si riappropria di una borsa contenente il passaporto (scaduto, ma non
lo sa ancora), la pistola (debitamente nascosta dentro una Bibbia le cui pagine
sono state ritagliate per creare un alloggiamento) e dei soldi, si sbarazza del
cellulare e se ne procura uno nuovo con carta prepagata (di conseguenza la
moglie non gli risponde, non riconoscendo il numero), incontra un’ex amante
(insegnante di sua figlia che lo vede nel cortile della scuola) e un compagno
che era stato infiltrato insieme a lui, apprende che un altro di loro è
scomparso senza lasciare alcuna indicazione.
La
citazione in copertina, “una spy story mozzafiato”, tratta da Publishers Weekly, non rende giustizia
al romanzo di Kim Young-Ha. E’ inevitabile definire “L’impero delle luci” una
‘spy story’, proprio perché il protagonista è
una spia, ma il romanzo non è mozzafiato nel senso più banale e il cuore del
libro è un altro. “L’impero delle luci” è la storia di un uomo spaccato a metà,
proprio come gli anni della sua esistenza- ventun anni nella Corea del Nord e
ventuno in quella del Sud-, che adesso ha solo ventiquattro ore di tempo per
ridiventare uno: quale dei due sé vuole essere? Il confronto fra le sue due
identità di spia e di commerciante esperto di cinema diventa inevitabilmente un
confronto fra la vita nelle due Coree, fra due governi e due ideologie, fra
presente e passato, del singolo e delle due nazioni. C’è molto di negativo
nella società consumista e superficiale di modello americano della Corea del
Sud (la giornata della moglie di Kiyŏng,
con la sua tresca con due ragazzi ventenni, ne è un esempio), ma sarebbe capace
Kiyŏng di tornare a vivere in un
paese in cui esiste una sola verità, un solo tipo di comportamento, obbedienza
cieca? Un paese in cui la musica è solo quella delle marce, i bambini vengono
istruiti per grandiosi scenari coreografici di massa e la gente ha fame?
Sarebbe capace, Kiyŏng, di
rinunciare alle belle scarpe e agli abiti che si è abituato ad indossare? E,
soprattutto, crede ancora, Kiyŏng,
all’ideologia socialista?
La storia
di quest’uomo diviso che si trova a dover fronteggiare i ricordi del suo
passato (straordinarie le scene nella città-copia di Seoul, costruita
sottoterra nel Nord e abitata da sudcoreani rapiti, dove le spie vengono
addestrate prima di essere inviate oltre il confine) mentre si appresta ad
abbandonare quello che ha costruito nella seconda metà della sua vita, scorre
parallelamente alle piccole storie della moglie, della figlia e di altri
personaggi minori. Ognuno di loro ha una doppia identità, anche se non in senso
politico come Kiyŏng. Ognuno
di loro nasconde qualcosa di sé, ognuno deve fare delle scelte- niente è come
appare: è il romanzo stesso di Kim Young-Ha ad essere spaccato in due, come la
Corea, come il quadro di Magritte a cui si riferisce il titolo, con le sue due
zone di luce e d’ombra che attirano lo sguardo per motivi diversi.
Questo è un romanzo psicologico molto bello, ricco di
tutta la tensione che vibra in una spy
story.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Kim Young-Ha |
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