Voci da mondi diversi. Medio Oriente
premio Nobel
il libro ritrovato
Ohran Pamuk, “Neve”
Ed. Einaudi, trad. Marta Bertolini e Semsa Gezgin, pagg. 462, Euro 19,00
La lettera K, resa famosa ed
emblematica dal personaggio kafkiano, è presente almeno in quattro parole
chiave di “Neve”, il nuovo romanzo dello scrittore turco Ohran Pamuk, di cui
abbiamo letto due anni fa “Il mio nome è rosso”. Si chiama Ka il poeta che è il
protagonista principale del romanzo, Kars è la cittadina turca in cui si svolge
la vicenda, “kar” è la parola turca per “neve”, Kadife è il nome di uno dei due
personaggi femminili. Il poeta Ka, dunque, ritorna in Turchia dalla Germania
dove vive da anni in esilio per scrivere degli articoli su una serie di suicidi
avvenuti a Kars: parecchie ragazze si sono tolte la vita piuttosto che
togliersi il velo per continuare a frequentare l’università. Un viaggio di
ritorno, quello di Ka, che è un ritorno alle origini e alla propria cultura,
senza però cancellare la sua esperienza di vita all’estero, in quell’Occidente
a cui si guarda con un sentimento misto di ammirazione, desiderio di emulazione
e disprezzo: si ammira la ricchezza, l’abbondanza di beni materiali, la
libertà, e si disprezza la controparte di tutto questo, la mancanza di
spiritualità e la licenziosità. E Ka viene riassorbito dal suo ambiente, complice
una fitta nevicata che blocca le strade di accesso a Kars, si innamora, o si
riinnamora, o vuole innamorarsi, di Ipek che già ammirava per la sua bellezza e
che si è appena separata dal marito, resta coinvolto, nel suo ruolo di poeta
famoso e di giornalista, in una rete di trame in cui operano fazioni avverse-
nazionalisti islamici e integralisti religiosi che vorrebbero strumentalizzarlo
per farne il loro portavoce. Per conquistarsi l’amore di Ipek, Ka è pronto a
parlamentare con questo e con quello, mentre tutti i suoi movimenti sono
sorvegliati dalla polizia segreta, la sua vita è in pericolo e infine tradisce
chi non dovrebbe. Gli spareranno tre colpi quattro anni dopo il suo rientro in
Germania. Verso la metà del libro scopriamo che è lo scrittore Ohran Pamuk che
ricostruisce la storia di Ka, seguendone le tracce alla ricerca del quaderno
verde misteriosamente scomparso in cui il poeta ha scritto le poesie composte a
Kars, preso da una furia creativa in quella situazione estrema nella cittadina
che si trova- significativamente- in una zona di confine. Un personaggio
confuso, Ka, in un periodo confuso
avvolto nel biancore della neve che toglie i contorni alle cose.
E l’immagine
della neve che cade (l’esagono stilizzato di un fiocco di neve è la struttura
su cui Ka ha costruito le sue poesie), con il silenzio ovattato che contrasta
con lo strepito della rivoluzione e tutto quel bianco che sarà poi macchiato di
sangue, è forse la cosa più bella del libro, quella che ci rimane più impressa,
come di una indifferenza ambientale, una atemporalità nel vortice degli
avvenimenti, una quiete intorno a tutto quel parlare del velo. E’ singolare
come questo pezzo di stoffa sia diventato all’improvviso così importante,
strumentalizzato politicamente, bandiera della libertà o dell’oppressione. In
Francia è diventato un caso, nel bel libro dell’iraniana Azar Nafisi, “Leggere
Lolita a Teheran”, si smette di frequentare l’università perché ci si rifiuta
di mettere il velo, nel romanzo di Pamuk avviene il contrario. E a noi
occidentali resta tutto un po’ difficile da capire- come a Ka d’altra parte- e
forse per questo la rivoluzione a Kars avviene durante una rappresentazione
teatrale, sul palcoscenico, assumendo un tono di farsa.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
Ohran Pamuk |
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