Voci da mondi diversi. Nepal
love story
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Samrat Upadhyay, “Buddha’s orphans”
Ed.
Mariner’s Book, pagg. 453, formato kindle Euro 13,10
Kathmandu 1961. Un vecchietto con una barba
a punta come quella di una capra trova un neonato abbandonato vicino al grande
stagno di Rani Pokhari, suppone che la madre si sia suicidata buttandosi in
acqua- diventerà un altro fantasma che si aggira su quelle sponde. Porta il
bambino da Kaki, una donna che vende pannocchie con chutney, al mercato- sarà
lei ad allevarlo. E a dargli un nome di buon auspicio, Raja, Re.
Seguiremo la vita di Raja per più di mezzo secolo, fortunato nella sua sfortuna. Fortunato per non essere stato consegnato ad un orfanotrofio ma per aver ricevuto invece tutto l’affetto di Kaki. Fortunato anche per essere stato poi “adottato” dal benestante Ganga Da che con carte false lo sottrae a Kaki con il pretesto che offrirà a Raja la possibilità di andare a scuola, in realtà sperando di rallentare la follia della moglie che si è incapricciata del bambino e che, se si dedica a lui, ha episodi meno frequenti di stranezza paranoide.
La fortuna di Raja continua: la sedicenne
Nilu, che lo aveva conosciuto da bambino e poi lo aveva perso di vista, è
innamorata di lui e ha deciso che solo lui può essere il compagno della sua
vita. Si sposeranno, avranno un figlio… succederanno tante altre cose. La
fortuna smetterà di arridere a Raja.
Nonostante l’apparenza, non è Raja ad
essere il protagonista di “Budda’s orphans”. È Nilu. E mentre incominciamo a
disprezzare Raja per la sua indolenza, per la mancanza di senso di
responsabilità, per lasciar lavorare Nilu senza dare il minimo contributo, per
spendere soldi non suoi come fosse veramente un re prodigo, ammiriamo sempre di
più Nilu per la sua resilienza, per la sua forza.
Raja continua (e continuerà fino alla
fine, quando ha superato la mezza età) a rimuginare sull’assenza della sua vera
madre dalla sua vita, ma ha forse un’eredità migliore Nilu, orfana di padre e
cresciuta con una madre che si asserragliava nella sua stanza, sempre ubriaca e
drogata, succube di un giovane amante che ha sperperato tutti i suoi soldi e
che ha cercato di molestare Nilu?
Sono entrambi senza genitori, Raja e Nilu, orfani sotto gli occhi del Budda del grande tempio di Swayambunath che dall’alto di una collina domina Katmandhu, che tutto vede e tutto comprende. Che sembra osservare impassibile come Raja e Nilu si allontanino l’uno dall’altro per poi tornare insieme, ed essere di nuovo felici, affrontare un dramma che gli avrebbe risucchiato le forze e infine accogliere un altro piccolo orfano di Budda che ridarà loro la serenità.
Un finale
catartico, la ruota del Dharma ha fatto un giro completo, l’equilibrio si è
ristabilito.
Mi sono imbattuta nel romanzo di Samrat
Upadhyay mentre cercavo un libro di uno scrittore nepalese dopo un mio viaggio
in Nepal. E’ stata una ricerca difficile e ho trovato solo due scrittori,
entrambi nati in Nepal ma che vivono all’estero- Upadhyay negli Stati Uniti e
Manjushree Thapa in Canada.
Non ho trovato quello che cercavo in “Buddha’s
orphans”. I cenni alla storia del Nepal sono pochi e rari- si accenna al Re Mahendra
e al Re Birendra, Raja prende parte a marce di protesta (una di queste
manifestazioni è causa di una tragedia famigliare)-, ma è tutto superficiale,
come visto dall’esterno. Ho ripercorso, con Raja e Nilu, le strade di Katmandhu,
sono salita al grande tempio Swayambunath per accendere candele con Nilu. Ma
avevo l’impressione di aggirarmi per Katmandhu con l’aiuto di Googlemaps, senza
sentirne gli odori, senza assaggiare i piatti locali.
Sarebbe stata la
stessa cosa se “Buddha’s orphans” fosse stato ambientato in qualunque altra
città orientale.
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