vento del Nord
saga
Kjell Westő, “La
sciagura di chiamarsi Skrake”
Ed.
Iperborea, trad. Laura Cangemi, pagg. 495, Euro 19,00
C'è una parola russa, mečty, che lo scrittore
russo Colliander ha usato per parlare di suo padre ed è di questa parola che si
appropria il protagonista de "La sciagura di chiamarsi Skrake" per
descrivere il suo, di padre. Mečty vuol dire sogno. Ma nel caso di Colliander e di
Werner, il padre del nostro io narrante, mečty indica "il sogno mancato, la capacità di fallire in
qualunque cosa si intraprendesse, capacità che era, né più né meno di un
destino". Si può fare qualcosa per contrastare il destino?
Wiktor aveva capito presto che suo padre
Werner era un uomo dotato della speciale capacità di cacciarsi nei guai, che
suo padre era stato bollato per tutta la vita come Chi Aveva Mandato A Sbattere
Il Camion Della Coca-Cola Contro Un Albero e, in più, Aveva Reso Invalido
Il Vescovo Achrén.
L'episodio di Werner
alla guida del camion della Coca-Cola, che doveva essere una trionfante impresa
commerciale per introdurre la famosa bevanda in Finlandia e che era andato a
schiantarsi contro un albero mandando in frantumi le bottiglie di vetro, è
raccontato quasi all'inizio del libro e segna l'esordio della sfortuna nella
vita di Werner. Il quale ha due grandi passioni: il lancio del martello e la
pesca della trota di mare.
Alla prima si dedica con determinazione e
costanza- la sua ambizione è raggiungere i 60 metri di tiro. Uno
sfortunatissimo e fatale incidente metterà fine ai suoi
allenamenti, proprio quando aveva fatto il suo tiro migliore di sempre.
La pesca alla trota non era solo una passione ma una ossessione. Da bambino,
Wiktor, affascinato dallo scintillio guizzante della trota, aveva iniziato a
chiamarla Pesce d'Argento e il Pesce d'Argento era rimasto tale nei racconti di
pesca che Werner aveva scritto. Racconti che avevano avuto successo. Finché la
sua vena si era inaridita e, però, Werner non sapeva scrivere d'altro che non
fossero i Pesci d'Argento, senza poter neppure immaginare che sarebbe stato
proprio un Pesce d'Argento a suggellare il suo destino in un ultimo colpo di
coda di sfortuna.
Skrake non era il cognome originario. Era stato un antenato a cambiarlo, prendendo il nome di un'isola che aveva fatto in modo di comprare. E la storia che Wiktor Skrake ci racconta, tra passato e presente, è quella di tutta la famiglia, di nonno Bruno (di cui Werner era l'unico figlio) e di zio Leo, il professore intellettuale, del bisnonno e della nonna Maggie di origine russa, di sua madre Vera e dell'amore per la musica che questa condivide con Maggie.
Skrake non era il cognome originario. Era stato un antenato a cambiarlo, prendendo il nome di un'isola che aveva fatto in modo di comprare. E la storia che Wiktor Skrake ci racconta, tra passato e presente, è quella di tutta la famiglia, di nonno Bruno (di cui Werner era l'unico figlio) e di zio Leo, il professore intellettuale, del bisnonno e della nonna Maggie di origine russa, di sua madre Vera e dell'amore per la musica che questa condivide con Maggie.
Ma è Werner Skrake, naturalmente, al centro del racconto.
Le sue due passioni ma anche la sua ombrosità, le sue periodiche assenze quando
da Råberga, dove si trova la
bella casa di famiglia in campagna, scompariva per andare a Helsinki e tornare
con occhi pesti e una puzza dolciastra intorno.
Se Werner era "gigantesco, pesante, vincolato a terra e acqua", suo figlio Wiki era Uno Che Si Librava In Aria, uno che amava correre fin da piccolo, che cronometrava la sua corsa, che aveva letto e riletto "La solitudine del maratoneta" di Alan Sillitoe. La convivenza con sua madre Vera non era facile, non era facile sospettare un'amicizia intima di Vera con un giovane professore carismatico che assomigliava al professor Keating de “L'attimo fuggente”, e Wiktor era andato a vivere da solo a Helsinki quando aveva 17 anni.
Se Werner era "gigantesco, pesante, vincolato a terra e acqua", suo figlio Wiki era Uno Che Si Librava In Aria, uno che amava correre fin da piccolo, che cronometrava la sua corsa, che aveva letto e riletto "La solitudine del maratoneta" di Alan Sillitoe. La convivenza con sua madre Vera non era facile, non era facile sospettare un'amicizia intima di Vera con un giovane professore carismatico che assomigliava al professor Keating de “L'attimo fuggente”, e Wiktor era andato a vivere da solo a Helsinki quando aveva 17 anni.
C'è di tutto in una saga di famiglia. Le storie sono tante quanti i tentativi di capire le persone e quello che è successo. I segreti di famiglia si svelano a poco a poco e i più dolorosi, quelli che hanno ferito di più, sono gli ultimi a venire fuori. Come il ruolo avuto da nonno Bruno durante la Seconda Guerra Mondiale di cui non voleva mai parlare.
I ricordi divertenti si alternano a quelli più tormentati, storie prese a prestito di seconda o terza mano si alternano a quelle vissute in prima persona da Wiktor, delle sue avventure amorose e del suo lavoro come scrittore che sembra raccogliere l'eredità paterna.
É un insieme che si può riassumere con il saggio fatalismo delle parole di un detto finlandese- Tutto è in prestito. Se tutto è in prestito, tutto va restituito, tutto è fuggevole ed è bene non attaccarsi troppo a niente.
Dopo “Miraggio 1938”, un altro grande romanzo con un memorabile personaggio dello scrittore che ha vinto il premio Finlandia 2006 e il premio del Consiglio Nordico 2014.
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