Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
la Storia nel romanzo
Kiran Millwood Hargrave, “Vardø. Dopo la tempesta”
Ed.
Neri Pozza, trad. Laura Prandino, pagg.342, Euro 18,00
Maren
aveva sognato una balena arenata fra gli scogli sotto casa sua. Aveva sognato
gli uomini che incominciavano a tagliarla prima ancora che fosse morta. Nel
sogno sentiva nel naso il puzzo del grasso di balena che bruciava nelle
lampade. Era il sogno di un cattivo presagio.
La vigilia di Natale del 1617, al largo di Vardø nella Norvegia orientale che si affaccia sul mare di Barents, una burrasca improvvisa aveva affondato le barche che erano uscite a pesca. Quaranta uomini non erano più tornati. Quaranta uomini significava che il villaggio si era svuotato, che restavano vecchi, donne, bambini e il pastore della chiesa. Che, se non volevano morire di fame, le donne dovevano svolgere anche i compiti degli uomini. Uscire fuori in barca ad esempio. E la pesca era necessaria, si doveva far essiccare il pesce per avere delle scorte. Anche se era disdicevole- perfino il pastore chiudeva un occhio, fingendo di non vedere che una delle donne indossava per comodità i pantaloni del marito, pensando che in casi così estremi Dio avrebbe perdonato.
memoriale a Vardo La storia che leggiamo nello splendido
romanzo di Kiran Millwood Hargrave, è tutta vera tranne, naturalmente, quello
che è appannaggio dello scrittore- poter inventare pensieri, rapporti personali,
sentimenti e situazioni. È vera e documentata la burrasca, è vero l’arrivo di
un sovrintendente scozzese inviato da Re Cristiano di Danimarca, un luterano
integralista che vedeva nella legge sulla stregoneria, promulgata nel 1618, il
pretesto e la possibilità di sbarazzarsi della popolazione sami che, abituata
ad interpretare i segni della natura in una sorta di animismo religioso,
rifiutava di obbedire alle riforme imposte dalla Chiesa Luterana.
È un romanzo che ruota soprattutto intorno alle donne, “Vardø. Dopo la tempesta”. E ci addentriamo quasi scivolando su ghiaccio nelle case di queste donne, vibranti di un’atmosfera di pericolo- c’è chi è pronto a mal interpretare le rune di protezione incise su uno stipite o le figurine benaugurali impagliate nell’osso, case cupe perché senza finestre per non disperdere il calore, fredde perché solo le pelli di renna sul pavimento di terra battuta isolano dal gelo. Non ci si spoglia in queste case e neppure ci si lava. Il puzzo di pesce, di renne macellate, di sporco, resta incollato alle vesti e ai capelli. Si parla poco ed è più quello che non si dice che quello che viene detto. Si sparla molto. Soprattutto le donne della kirke, le solite beghine di tutte le comunità religiose, sono le più feroci nel cercare i peccati delle altre. E alcuni bersagli sono facilmente individuabili. La donna che ha la casa più bella e più grande del paese, Kirsten, così fiera, spavalda e indipendente, che non si lascia dettare legge da nessuno. Diinna, cognata di Maren, che ha la colpa più grande- quella di essere una sami. E nessuna donna vuole ricordare di essersi rivolta a lei quando aveva bisogno e non aveva altre speranze- come per riuscire a restare incinta.
Queste donne sono state tutte rese vedove
dalla burrasca, oppure hanno perso il fidanzato come Maren, e finisce che si
formano due gruppi in paese: le donne che hanno conservato una indipendenza di
pensiero e le donne della kirke- sappiamo
che saranno queste la vera minaccia, quando il sovrintendente scozzese arriva a
Vardø con
la giovane moglie Ursa sposata a Bergen.
È una figura emblematica questa Ursa che arriva dalla “civiltà” con le pantofoline di velluto che si inzaccherano subito di fango, con un abito giallo che è come un vessillo colorato che svolazza nel vento che soffia dal mare. Maren le offre il suo puzzolente cappotto di renna per ripararsi e tener ferme le gonne e in questo gesto c’è un’anticipazione dell’amicizia amorosa che le unirà, dell’ala protettrice di Maren quando, per evitare il peggio, questa farà da schermo all’amica, quando indosserà lei stessa l’abito che da raggio di luce era diventato la prova di una colpa.
il fuoco nel memoriale Dei pochi uomini del romanzo si salva solo
il gentile comandante della nave che offre ad Ursa semi di anice da succhiare.
Anche questo piccolo dono di consolazione è simbolico, più tardi Ursa
condividerà i semi di anice con Maren. Il sovrintendente e il Lensmann di Vardø sono
uomini duri e crudeli. Sono dei padroni che dicono di servire Dio contando i
morti, estraendo a forza confessioni assurde di come le donne avessero scatenato
la burrasca con l’aiuto di Satana…
Leggendo il libro di Kiran Millwood Hargrave
il nostro pensiero corre ai processi alle streghe a Salem (“Il crogiuolo” di
Arthur Miller), a quelli in Italia (“La chimera” di Sebastiano Vassalli) nel
1692 e nel 1610- che secolo buio e spaventoso il seicento, con i processi alle
streghe, anche se questi si sono ripetuti in altri tempi seppure sotto altre
forme.
Un monumento a Vardø, eretto
nel 2011, ben quattrocento anni dopo i fatti, ricorda le novantuno vittime
uccise per stregoneria. Di queste settantasette erano donne e quattordici, tutti
sami, erano uomini.
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la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it
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