Voci da mondi diversi. Area germanica
biografia romanzata
Katharina Adler, “Ida”
Ed. Sellerio, trad. Matteo Galli,
pagg. 534, Euro 15,00
È il 1941 quando Ida Adler, nata Ida Bauer, sbarca a New York. Ha 58
anni. Arriva da Vienna. Spera che ci sia il figlio Kurt ad attenderla. Resta
delusa. Kurt ha mandato un amico ad accoglierla.
Inizia da qui il romanzo-biografia di Ida scritto dalla nipote Katharina
Adler. Se, invece che chiamarla Ida, la chiamassimo Dora, ci verrebbe subito in
mente di chi si tratta. Dora, il soggetto del “Frammento di un analisi di un
caso di isteria” scritto da Freud nel 1901, la ragazza che decise di iniziare
il nuovo secolo con un atto di ribellione piantando in asso Freud, il medico
psicanalista da cui suo padre aveva insistito perché lei andasse a farsi curare
per malanni ricorrenti, come afonia e tosse nervosa.
Con frequenti spostamenti temporali la nipote Katharina ricostruisce la
vita di Ida e del fratello Otto a cui Ida era molto legata. Non poteva avere
una buona opinione degli uomini, Ida, con un padre che aveva un’amante e con
due episodi di molestie da parte del marito della donna che se la faceva con
suo padre. Fu dapprima diffidente nei confronti di Ernst Adler, un musicista
fallito che, dopo aver sposato Ida, dovette accettare un impiego nella industria
tessile di suo padre. Ernst e Ida ebbero un figlio, Kurt, che diventò famoso
come direttore della San Francisco Opera Company- aveva accettato un contratto
in America giusto in tempo: qualche anno dopo Ida ebbe dei problemi a lasciare
Vienna, ricercata dai nazisti perché il fratello Otto era il leader del partito
socialdemocratico austriaco nonché teorico dell’austromarxismo. Paradossalmente
fu proprio l’ex amante del padre a nasconderla per un certo periodo.
Il personaggio femminile che esce fuori
dal libro di Katharina Adler è affascinante. In un’epoca in cui era
difficile essere donne- e tanto più difficile perché serpeggiavano nuove idee e
non era più così scontato che il ruolo della donna fosse di occupare un posto
di secondo piano accanto all’uomo- Ida lottò per uscire dal bozzolo, per non
essere solo la sorella di suo fratello o, tanto meno, la moglie di un uomo di
cui si sentiva (almeno da un certo punto in poi) superiore. E, se per portare a
casa i soldi che il marito era incapace di guadagnare, lei doveva gestire delle
sale da gioco- be’, il bridge furoreggiava, lei poteva insegnare a chi non
sapeva giocare, dove era il problema? Il momento peggiore fu l’umiliazione nel
rendersi conto di essere stata circuita e ingannata da un bellimbusto che, con
il pretesto del bridge, le aveva spillato dei soldi.
La scrittrice è abile nell’inserire stralci del saggio di Freud su Dora
(ed è un’altra Ida che traspare da quelle righe), nell’alternare i tempi, gli
anni in America dal 1941 al 1945 (quando Ida morì) con quelli a Merano dove il
padre era in cura per tubercolosi e Ida aveva subito le profferte amorose di un
uomo che era sposato e molto più vecchio di lei, e poi con quelli di Vienna, prima
la Vienna dei fasti asburgici e dopo la città in guerra (Otto ed Ernst furono
arruolati) con gli ospedali pieni di feriti e mendicanti che frugavano nelle
immondizie. E dopo ancora la Vienna con i cortei delle camicie brune e le
bandiere con la croce uncinata. Incredibile quanti cambiamenti nell’arco di
meno di mezzo secolo.
Un libro interessante e appassionante.
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