Voci da mondi diversi. Asia
seconda guerra mondiale
la Storia nel romanzo
Mary Lynn Bracht, “Figlie del mare”
Ed. Longanesi, trad. K. Bagnoli,
pagg. 370, Euro 15,81
1943. Isola di Jeju, nella Corea occupata
dai giapponesi fin dal 1905.
Hana, sedici anni, è una haenyeo, una figlia del mare, una delle
donne che- da sempre, sull’isola- si sono tuffate per pescare abaloni, ricci,
cozze, alghe da vendere al mercato. E’ una società matriarcale, quella
dell’isola di Jeju, sono le donne che pensano al sostentamento della famiglia
tramandando il loro lavoro di madre in figlia. Hana è in acqua quando vede un
soldato giapponese avvicinarsi al punto, sulla spiaggia, dove la sorellina la
sta aspettando, con i secchi per il pescato. Nuota velocemente a riva. Riesce a
impedire che il soldato veda la bambina accucciata dietro una roccia e si
lascia portare via. Sa che qualcosa di terribile la aspetta. Non sa quanto
terribile. Verrà portata in un bordello- no, peggio di un bordello, perché le
ragazze lì rinchiuse non sono pagate. Sono schiave del sesso per i soldati
giapponesi, finché si ammalano o muoiono. Con un eufemismo tristemente ironico
sono chiamate ‘comfort women’, donne
di conforto.
2011, Seoul. La quasi ottantenne Emiko è
arrivata in aereo dall’isola di Jeju per incontrare i due figli. Lei, alla sua
età, continua a tuffarsi nel mare, sua figlia non ha voluto raccogliere la sua
eredità, ha frequentato l’università, come il fratello. Emiko non ha mai
parlato della scomparsa di Hana con i figli, non ha neppure mai parlato della
sua casa data alle fiamme dai coreani del sud a caccia di ‘rossi’, della morte
del padre, del matrimonio forzato a quattordici anni, dell’arresto di sua
madre, la loro nonna.
A Seoul Emiko prende parte alla manifestazione di
protesta del mercoledì (per le comfort women il mercoledì era il giorno ‘di
riposo’, dedicato alle visite mediche di controllo) davanti all’ambasciata
giapponese. Lì, sulla piazza, il 14 dicembre 2011 la gente si affolla intorno alla
statua di bronzo che rappresenta una ragazzina, seduta, che fissa il palazzo
dell’ambasciata con uno sguardo che lascia indovinare tutto- l’umiliazione, il
dolore, l’annullamento del sé. Uno sguardo che non ammette il perdono.
Passato- il trauma di Hana, il pensiero
che almeno alla sorellina è risparmiato quello che sta accadendo a lei, il
sostegno che riceve dalla geisha non più giovanissima, il sesso imposto da un
uomo dopo l’altro, l’odio verso i giapponesi che ora sono doppiamente nemici. E
poi…la storia di Hana si trasforma in una storia di avventura e di speranza,
ricca di esotismo e di colori.
Presente- Emiko con il suo fardello di
ricordi, con il senso di colpa perché sa che la sorella si è sacrificata per
lei e lei non ne ha mai parlato con nessuno, proprio come sua madre che aveva
gettato un crisantemo bianco in mare, come si fa per i morti (“White chrisanthemum”
è il titolo originale del libro). Ogni volta che Emiko prende parte alla
manifestazione del mercoledì, spia i volti delle donne: sarebbe in grado di
riconoscere quello di Hana?
Mary Lynn Bracht, di madre coreana e padre
americano, non ci risparmia nulla nel raccontarci quello che solo nel 1991 è
stato riconosciuto come crimine di guerra giapponese, a seguito della denuncia
di tre donne coreane. Eppure, nel 2007, il primo ministro giapponese,
contraddicendo un’ammissione precedente del governo, dichiarò che non c’erano
prove che ci fosse stato un reclutamento forzato di schiave sessuali. E, mentre
il governo giapponese esigeva che la statua della ragazza seduta davanti
all’ambasciata venisse rimossa, più di altre cinquanta statue di ‘comfort women’
venivano erette in Corea. L’ultima è seduta sull’autobus della linea 151 a
Seoul, per ricordare la sorte di una ragazza come le tante che salgono sui
mezzi pubblici ogni giorno.
E abbiamo bisogno del finale da romanzo del libro
di Mary Lynn Bracht- il peso di quello che abbiamo letto sarebbe
insopportabile, sappiamo che pochissime sopravvissero delle 200.000 donne
rapite, ma abbiamo ammirato la forza morale di Hana e vogliamo credere che il destino
avesse in serbo una ricompensa per lei.
Affascinanti, in “Figlie del
mare”, le descrizioni delle haenyeo
che si immergono nel mare- ci sembra che lavino tutte le sporcizie facendoci
dimenticare, per un poco, le sozzure degli uomini.
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E' sconcertante il fatto che mentre sappiamo tutto delle atrocità commesse nei campi di sterminio nazisti, non si sa praticamente niente delle identiche, quando non addirittura peggiori, atrocità commesse dai giapponesi in Cina, Malaysia, Corea e ovunque abbiano messo piede.
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