Jonathan Freedland, "L'artista della fuga"
seconda guerra mondiale
Shoah
Jonathan Freedland, “L’artista della fuga”
Ed.
Neri Pozza, trad. L. Clausi, pagg. 409, Euro 20,00
È più
facile macellare degli agnelli che dare la caccia ai cervi.
Sono parole che troviamo sulla copertina de “L’artista della fuga”, sono parole dette da Walter Rosenberg diventato poi Rudolf Vrba ed esprimono quello in cui credeva- se solo si fosse riuscito ad infrangere quella strategia su cui si basavano i rastrellamenti e le deportazioni degli ebrei, tesa a mantenere calme quelle persone che dovevano credere fino alla fine che gli sarebbero stati dati altri alloggi, che dovevano spogliarsi e fare la doccia dopo quel lungo viaggio, che era bene piegassero e riponessero in ordine i loro abiti per ritrovarli più facilmente dopo che si fossero lavati, se si fosse detto chiaramente quello che invece li aspettava, che andavano a morte certa, ecco, avrebbero iniziato a gridare, a scappare, avrebbero creato disordine, non sarebbe stato facile portarli via come pecore al macello. Perché inseguire dei cervi in fuga è più difficile.
Walter Rosenberg |
Nato a Topol’čani, in Slovacchia, Walter aveva diciannove anni quando fu deportato, prima in un campo di transito per arrivare poi ad Auschwitz. E nell’aprile del 1944 riuscì a fuggirne insieme all’amico Alfred Wetzler. Un’impresa che ha dell’incredibile, ma è vera. Dalla parte di Walter c’è la giovinezza, un fisico robusto, una certa dose di fortuna, una capacità innata di saper cogliere dalle situazioni quello che può tornare utile, di ascoltare e imparare dalle esperienze altrui. Un ruolo importante nella programmazione della fuga lo aveva avuto il suggerimento di un prigioniero russo: il tabacco russo, la machorka, impregnato di benzina emanava un odore da cui i cani rifuggivano. Inserendo frammenti di questo tabacco tra le assi di quello che i due amici avevano individuato come nascondiglio ideale, i cani sguinzagliati dalle SS dopo l’allarme per la loro fuga sarebbero stati depistati. Successe proprio così. Walter e Fred riuscirono a resistere immobili nel nascondiglio per i tre giorni e le tre notti delle ricerche e poi…la fuga per la libertà, irta di pericoli e di agguati, ma pur sempre la libertà. Walter e Fred non miravano soltanto a salvare se stessi. Avevano visto i preparativi che si stavano facendo per accogliere gli ebrei ungheresi e credevano, con l’idealismo della giovinezza, che, se avessero svelato al mondo il segreto così ben protetto di quello che accadeva veramente ad Auschwitz, qualcosa si sarebbe messo in moto, il genocidio sarebbe stato fermato. La realtà con cui si scontrarono fu ben diversa.
Rudolf Vrba |
Il libro inizia con la fuga di Walter e di
Fred per poi tornare indietro all’infanzia di Walter, alle prime leggi che
limitavano la vita quotidiana delle comunità ebraiche, un primo tentativo di
fuga oltre confine, il viaggio sul treno merci, le esperienze di Walter nel
campo, la fortuna di guarire dall’epidemia di tifo, di essere assegnato al
Canada dove si smistavano i beni con cui le vittime erano arrivate. Eppure fu
proprio al Canada che l’immane proporzione di quello che stava accadendo gli si
rivelò appieno.
Con
la straordinaria memoria che aveva, Walter elaborò un sistema per fissarsi in
mente il numero dei convogli, dei prigionieri, dei cadaveri portati nel
crematorio. Quando, raggiunta finalmente e in maniera avventurosa la Slovenia,
la testimonianza sua e di Fred Wetzler avrebbe occupato più di trenta pagine.
L’accoglienza che i due fuggitivi e il loro racconto ebbero è un altro capitolo. Ed è doloroso. Incredulità, immobilità, mille pretesti per non diffondere la realtà come Walter e Fred si sarebbero aspettati. E in definitiva solo gli ebrei di Budapest in gran parte furono salvati, gli altri continuarono a salire come agnelli sui treni della morte.
Rudolf Vrba con le figlie |
Il libro di Jonathan Freedland segue anche
il ‘dopo’ della vita di Walter che ormai ha cambiato nome per sempre- sarà
Rudolf Vrba. Si sposerà, avrà due bambine, diventerà professore, si separerà
dalla moglie per risposarsi molti anni più tardi con una donna molto più
giovane, quando già era emigrato negli Stati Uniti. Il suo carattere però era
cambiato, nonostante la sua forza interiore non era solo il numero tatuato
sulla sua pelle il segno lasciato da Auschwitz.
Un libro importante per non dimenticare.
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