Voci da mondi diversi. Slovenia
saga
Goran Vojnović, “All’ombra del fico”
Ed. Keller, trad. Patrizia Raveggi,
pagg. 463, Euro 20,00
Nel 1955 Aleksandar è arrivato in Istria,
destinazione dove è stato inviato per lavoro. Tra i 250.000 e i 350.000
italiani erano stati costretti ad emigrare dall’Istria, dopo la fine della
guerra. E, quando ad Aleksandar viene detto che una di quelle case vuote,
abbandonate in fretta e furia, può diventare la sua, lui si ritrae inorridito-
gli pare un furto, gli pare una violazione, entrare là dove tutto mantiene il
ricordo di chi ci ha vissuto, dormire nel letto di altri, appendere i suoi
abiti nell’armadio dove i vestiti di altri pendono ancora dalle grucce.
Piuttosto si costruirà una casa a Mamjano, lontano dalla città e affronterà il
disagio di doversi spostare quotidianamente per lavoro.
Ci piace subito, quest’uomo retto e
generoso. Ci piacerà ancora di più da vecchio, quando si prende cura della
moglie malata di Alzheimer, quando cerca di esercitarle la memoria, quando non
cede alla disperazione del nulla in cui lei è precipitata e in cui fa
precipitare lui. Perché che cosa è la vita quando non c’è più niente nel
proprio passato? Eppure quest’uomo, tormentato dall’incertezza sulle sue
origini (perché sua madre aveva cambiato cognome?) aveva abbandonato la moglie
per andare in Egitto per un anno (doveva proprio accettare quel lavoro?) e lei
non glielo aveva mai perdonato, anzi voleva divorziare. Quando lui era tornato,
lei già non era più lei.Lubiana
La narrativa che ci parla di Aleksandar è
in terza persona e si alterna ad un’altra narrativa in prima persona che spesso
sembra quasi un flusso di coscienza. A parlare è Jadran, nipote di Aleksandar,
figlio della figlia che aveva sposato un bosniaco. Bosnia, Serbia, Slovenia, la
Jugoslavia si è frantumata, si avvicinano gli anni ‘90, quelli di un’altra
guerra. E quale è l’identità di chi è nato in una città che si trova in uno
stato che ha cambiato i confini?
Questo è un romanzo di incertezze, di legami e di abbandoni- in ognuna delle coppie delle diverse generazioni c’è qualcuno che si allontana, c’è il trauma dell’abbandono. Aleksandar è andato in Egitto, il marito di sua figlia (padre di Jadran) è tornato in Bosnia e si rifà vivo solo per il funerale del suocero, la moglie di Jadran lo lascia (per poi tornare). Ma di certo l’abbandono più triste è quello della moglie di Aleksandar, un abbandono della mente e dei ricordi con una presenza corporea, seguito da quello dello stesso Aleksandar che (pensa Jadran) forse si è tolto la vita.
C’è anche una casa, come personaggio in
questo grande romanzo, la casa di Mamjano che subisce- anche lei- un duplice
abbandono. Perché viene a trovarsi al di là del confine, perché la morte dei
due nonni la lascia disabitata. Finché ci torna Jadran a cui la madre la cede
e, nella scena finale, Jadran si arrampica sull’albero del giardino per cercare
un fico maturo da portare alla moglie. E’ un simbolo possente, questo fico che
continua a produrre frutti nonostante la guerra, nonostante la morte dei due
nonni, nonostante l’allontanamento delle due figlie. Ci è impossibile non
pensare al fico delle parabole evangeliche, quello che germoglia e dà frutti e
quello sterile. Questo fico ha i rami
carichi di frutti: c’è speranza per il futuro.
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