Voci da mondi diversi. Francia
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Theresa Révay, “Le
luci bianche di Parigi”
Ed. Beat, trad. R. Boi, pagg. 445, Euro 16,50
E’ molto ambizioso il romanzo “Le luci bianche
di Parigi” di Theresa Révay, pubblicato in Francia nel 2008 e nel 2014 in
Italia. L’ho ‘ripescato’ dai miei scaffali e iniziato subito, dopo aver letto
d’un fiato “L’altra riva del Bosforo”. Non si dovrebbe mai fare una cosa del
genere, perché i paragoni sono inevitabili e sono rimasta un poco delusa- forse
proprio perché mi pare che la storia dei personaggi de “Le luci bianche di
Parigi” si dilati in un tempo troppo lungo, dal 1917 al 1945, un trentennio denso di avvenimenti drammatici e
straordinari nella Storia d’Europa, e si estenda in uno spazio troppo vasto, da
Pietrogrado (futura Leningrado,
futura San Pietroburgo) a Parigi,
passando per Berlino. E tuttavia c’è
un’altra figura femminile affascinante quanto
Leyla al centro del romanzo e c’è un’altra storia d’amore non lineare e felice-
del tipo che piace proprio perché rispecchia il mito dell’amore che vince le
difficoltà.
“Saša aveva guardato i suoi occhi grigi attraversati dalla
tempesta e aveva pensato a una lupa. Una lupa bianca, sovrana, che avrebbe dato
la vita per difendere i suoi. E quella era stata la ragione per la quale aveva
potuto lasciarla partire da sola.” “La louve blanche” è il titolo originale del libro e la
bellissima immagine dell’audace e
indomita lupa del paese dei ghiacci è perfetta per Ksenja Osolin, la contessina che abbandona i fasti di Pietrogrado
nel 1917, dopo che suo padre è stato assassinato da una banda di rossi nella
sua stessa casa, arriva a Parigi dove si adatta a vivere in una soffitta con la
vecchia njanja, la sorellina Maša e
il piccolissimo Kirill, il bambino del miracolo nato mentre i rivoltosi scorazzavano
per la loro casa e sopravvissuto al viaggio in treno fino a Odessa e poi a
quello sulla nave da cui, invece, era stato calato in mare il cadavere della
madre. Quando la conosciamo, Ksenja ha quindici anni, pensa solo alla festa da
ballo che verrà data per il suo
compleanno, pensa all’abito nuovo, pensa all’amore. Eppure deve avere nascosti
dentro di sé quella forza e quel coraggio, quella tempra indomita che la
trasformano, da un attimo all’altro, nel capofamiglia che deve assumersi la
responsabilità di portare i suoi cari in salvo, e poi, una volta a Parigi, di
mettere insieme i soldi per pagare l’alloggio miserando e il cibo, e poi di
affrontare i malumori della sorella e il comportamento scapestrato dello zio Saša. Parigi è piena di rifugiati russi
in cerca di lavoro. A differenza di altri, Ksenja non si perde nella nostalgia, non sogna un impossibile ritorno. Lei guarda avanti, altera, glaciale.
Trova un lavoro come cucitrice- le donne russe si sono fatte una fama come
abili ricamatrici-, viene notata, diventerà indossatrice.
La trama non deve essere raccontata per non sciupare la lettura, sarà
sufficiente introdurre il protagonista maschile, il grande amore di Ksenja che
però lei non sposerà perché incapace di abbandonarsi ad un sentimento che le
ruberebbe la padronanza di se stessa. Max
von Passau appartiene ad una nobile e liberale famiglia tedesca, è un
fotografo e le sue fotografie saranno esposte nelle mostre- è così che incontra
Ksenja. Il loro amore si rincorrerà tra Parigi e Berlino dove le ombre si
stanno addensando. La rivoluzione bolscevica e poi Lenin e poi Stalin
nell’Unione Sovietica, la fine della repubblica, il trionfo del nazismo e la
follia criminale del pifferaio con i ridicoli baffetti in Germania, gli ebrei
perseguitati e in fuga come già in passato i russi bianchi, la guerra e la
Francia spaccata in due. Se il mondo
della moda- le sfilate a cui prende parte Ksenja a Parigi e l’elegante
grande magazzino di proprietà di Sara (l’ebrea che era stata il primo amore di
Max) a Berlino-, se il mondo della
cultura e dell’arte (le fotografie di Max), se tutto quello che rappresenta la bellezza e lo spirito crolla
sotto i totalitarismi, è la fine. La fine di tutto.
Non vi rivelo, però, la fine del libro. Come lettrice curiosa, pur
riconoscendo i difetti del romanzo, mi procurerò il seguito, “Tous les rêves du
monde”, perché ci si affeziona ai personaggi di Theresa Révay e si vuole sapere
che ne è di loro. A costo di essere delusi.
Nessun commento:
Posta un commento