Arthur Phillips,
“L’archeologo”
Ed. Rizzoli, trad. Annalisa Garavaglia, pagg. 510, Euro
17,50
Non c’è niente di paragonabile al
piacere suscitato dalla lettura di un bel libro, di un romanzo che racconta una
storia che ti coinvolge, ti trasporta in un altro mondo e ti fa vivere insieme
ai suoi personaggi. E’ quello che ci succede leggendo “L’archeologo”, secondo
romanzo dello scrittore americano Arthur Phillips, pubblicato lo scorso anno
precedentemente al primo, “Praga”, apparso da poco in libreria.
La vicenda de “L’archeologo” si svolge su
due diversi piani temporali con due narratori, il che offre allo scrittore la
possibilità di una duplice prospettiva e di un doppio punto di vista. Nel 1954
all’australiano Harold Ferrell, investigatore privato in pensione, viene
chiesto di rispolverare i suoi ricordi e le prove raccolte in una vecchia indagine
del 1922 che coinvolgeva una ragazza di nome Margaret, la zia appena defunta del
giovane che interroga Ferrell per sapere di più sul suo passato. Le ricerche di
Ferrell riguardavano un soldato australiano scomparso in Egitto alla fine della
guerra insieme ad un egittologo inglese, Marlowe. E questo Marlowe era amico
del professore Ralph Trilipush, pure lui egittologo e fidanzato di Margaret,
impegnato, nel 1922, in
scavi per riportare alla luce la tomba del faraone Atum-hadu.
Il primo narratore è, dunque, Ferrell ma,
insieme al suo racconto, leggiamo pure il triplice carteggio di Trilipush: il
diario da lui tenuto sulla sua impresa archeologica, le lettere scritte alla
fidanzata Margaret- ed alcune lettere di risposta di Margaret stessa-, e la
stesura abbozzata del libro che Trilipush ha intenzione di scrivere sul
successo della sua ricerca. Non siamo mai certi della verità di quello che
leggiamo, perché Ferrell sospetta che l’australiano Caldwell e l’inglese
Marlowe siano stati assassinati da Trilipush, del quale peraltro non risulta
traccia né a Oxford dove dice di avere studiato né negli archivi dell’esercito
inglese per cui dice di avere combattuto. Ma quanto è affidabile Ferrell che
era innamorato di Margaret e voleva insinuarle il dubbio che il fidanzato
mirasse solo ai soldi del padre? D’altra parte c’è un tono leggermente falso
nelle lettere di Trilipush a Margaret, qualcosa di esagerato nelle sue
proclamazioni d’amore.
Non diciamo altro sui risvolti di una
follia per cui finiamo per provare ammirazione, e neppure sul filone di
indagine poliziesca della trama, tranne che i richiami ad Oscar Wilde sono più
di uno, intriganti come tutti gli elementi che compongono questo romanzo. Che
rivela un’inventiva straordinaria, ad iniziare dal cartiglio di Atum-had in
apertura del libro, per proseguire con documenti apocrifi, con più o meno
sottili ma pur sempre eleganti allusioni sessuali. Ed è pure un romanzo
divertente e che lo scrittore deve essersi divertito a scrivere, stuzzicando la
sua intelligenza e la nostra.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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