Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora ebraica
il libro ritrovato
David Bezmozgis, “Il mondo libero”
Ed.
Guanda, trad. Corrado Piazzetta, pagg. 351, Euro 18,50
Titolo
originale: The Free World
“Quel che cerchi non esiste, e non lo
troverai.”
Senza offendersi, Lëva replicò: “Può darsi. D’altronde, non sto cercando la perfezione.
Finora sono stato un cittadino di due utopie. Ora ho aspettative modeste.
Fondamentalmente, voglio la nazione con il minor numero di parate.”
Estate
1978. Breznev ha concesso il visto
di emigrazione a 40.000 ebrei russi. L’anno seguente ce ne saranno altri
50.000 che lasceranno la patria sovietica. Verso quale sorte? Qualunque nazione
sembra migliore dell’Unione Sovietica, con qualche riserva,
paradossalmente, per Israele, perché-
come riflette Alec, protagonista ventiseienne del romanzo “Il mondo libero” di
David Bezmozgis- “farsi uccidere o mutilare in Libano, o in Egitto, o ovunque
volassero le pallottole, sembrava svuotare di ogni significato la decisione di
andarsene dall’Unione Sovietica.”
Il New
Yorker ha definito David Bezmozgis uno dei migliori autori sotto i
quarant’anni e ne è una conferma questo romanzo così equamente calibrato, in
equilibrio tra ricordi del passato,
disorientamento del presente, incertezza del futuro, percorso da una vena di ironia che attenua la durezza di
ogni prova.
Ci sono otto componenti della famiglia Krasnanskij sul marciapiede
del treno in partenza da Vienna e diretto a Roma. Padre e madre, il figlio Karl
con la moglie e due bambini, l’altro figlio Alec con la moglie Polina. Sei
adulti e venti colli di bagaglio stracolmi di merci destinate al mercato di
Porta Portese- biancheria e dischi di musica sinfonica, matrioske e
cianfrusaglie, samovar e macchine fotografiche.
I Krasnanskij arrivano da Riga
e la loro destinazione temporanea, in attesa del visto, non sarà Roma, ma Ladispoli.
Ladispoli come avamposto del mondo
libero dove regna il capitalismo. E il libro è la storia di questi otto
ebrei erranti, con le loro valigie e fagotti, con i loro ricordi e aspettative,
sospesi nel limbo dell’attesa in un paese di cui non sanno nulla (e per noi
lettori italiani è un interesse aggiunto, questa angolatura diversa da cui
siamo osservati), in una cittadina di
mare che sembra essere diventata uno shtetl
al sole del Mediterraneo.
La
storia dei Krasnanskij è, in parte, la
storia dell’autore che, quando aveva sei anni, emigrò con la famiglia a
Toronto. Anche i Krasnanskij chiederanno il visto per il Canada, dopo aver
visto sfumare la speranza nella cugina che avrebbe dovuto garantire per loro a
Boston. Il Canada scelto in cinque minuti, perché “più sicuro, più pulito e il
clima non è tanto diverso che in Lettonia”. E poi, come Karl dice alla moglie,
non hanno forse visto in televisione le Olimpiadi a Montréal? Non gli era
piaciuto?
Nel corso della narrazione tre
personaggi acquistano maggior risalto. Primo fra tutti l’anziano Samuil, arroccato nella sua fedeltà all’Unione Sovietica
per cui ha combattuto. Samuil era un bambino quando il padre e il nonno erano
stati uccisi durante un pogrom in Russia, poi si erano trasferiti a Riga da uno
zio e né lui né il fratello avevano mantenuto le tradizioni ebraiche. Samuil è
un sopravvissuto del passato, un
uomo che ha perso tutto, alla frontiera gli hanno persino strappato le
medaglie. Ecco perché conserva gelosamente le lettere del fratello morto in
guerra: per non consegnarle al doganiere, tutti i Karnanskij sono stati
sottoposti ad un’umiliante perquisizione prima di avere il permesso di proseguire
il viaggio. Samuil guarda impotente il comportamento dei figli: Karl che si getta nei traffici loschi
del mercato nero romano e Alec che
proprio non crescerà mai, che non riesce a star lontano da una ragazza
carina- e infatti sarà questa una della cause che porteranno all’infarto del
padre. Oltre al vecchio burbero e al giovane scanzonato, l’altro personaggio
che balza in primo piano è Polina, moglie
di Alec, l’unica non ebrea della
famiglia. La sua è tutta un’altra storia che affiora negli stralci del passato
e nelle lettere alla sorella rimasta a Riga.
Porta Portese |
Il romanzo finisce quando finisce il tempo sospeso a Ladispoli. Il vecchio Samuil non
partirà mai; gli altri, con la loro imbastitura di inglese imparato nei corsi
seguiti in quei mesi, con la spolverata di ebraicità che la moglie di Karl
insiste nel far avere ai suoi figli, con la frattura che si è aperta tra Alec e
Polina, vanno avanti. “Non sappiamo cosa
ci porterà il domani”, scriveva al ‘compagno Krasnanskij’ lo sconosciuto
che comunicava a Samuil la morte del fratello. Neppure i sette Krasnanskij
diretti in Canada sanno che cosa il domani abbia in serbo per loro.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Nessun commento:
Posta un commento