Voci da mondi diversi
la Storia nel romanzo
fresco di lettura
Eva
Stachniak, “Il Palazzo d’Inverno”
Ed. Beat, trad. Ada Arduini,
pagg. 409, Euro 13,90
Titolo originale: The Winter Palace
Il giorno del matrimonio, venerdì 21
agosto, l’imperatrice in persona contribuì al trucco e alla vestizione della
sposa. Le diede un tocco di belletto alle guance, le mise la corona ducale sui
capelli appena arricciati e la strinse forte prima che la sarta effettuasse gli
ultimi ritocchi.
“Un giorno pieno di gioia” dichiarò Elisabetta. “Un nuovo inizio”.
Fu un giorno di trombe e di timpani, di centoventi carrozze che
lasciarono il Palazzo d’Inverno dirette verso la chiesa.
1744. Si chiama ancora Sofia Anhalt-Zerbst.
Ha quattordici anni. Arriva a San Pietroburgo, magra, con il mento a punta, le
calze rammendate: è stata scelta come fidanzata del granduca Pietro, nipote e
futuro erede della zarina Elisabetta, Imperatrice di Russia.
1765. Da vent’anni ormai il suo nome non è
più Sofia- solo il suo amante polacco, Stanisław Poniatowski, la chiama così
nell’intimità. Convertendosi alla religione ortodossa ha preso il nome di Caterina,
come la moglie di Pietro il Grande, l’Imperatore che aveva realizzato il sogno
della città sulla Neva, la finestra della Russia sull’Occidente.
La storia della ragazzina che
diventa un’imperatrice illuminata e amata viene raccontata da una persona che
le era molto vicino, quasi sua coetanea,
quasi un suo doppio, perché Barbara- o Varvara, la versione russa del suo nome-
è anche lei ‘straniera’ in Russia, figlia di un legatore polacco emigrato in
cerca di migliori guadagni che aveva acquistato rispetto alla corte di
Elisabetta. Tanto che, rimasta orfana, a Varvara viene trovata un’occupazione
al seguito dell’Imperatrice: sarà la ‘lingua’, la spia che ascolta e riferisce
qualunque chiacchiera, pettegolezzo, qualunque occhiata abbia osservato, o
biglietto passato di mano. E noi lettori abbiamo l’impressione di sbirciare
attraverso uno spioncino vent’anni di Storia. Figure grandi rimpicciolite, a
tratti deformate dall’angolazione particolare, figure che rimangono nell’ombra
e poi appaiono nel centro del minuscolo obiettivo, bisbigli e voci che si
alzano di tono.
Succedono tante cose nell’arco di
vent’anni. Cose che cambiano la vita della piccola principessa Sofia- il
matrimonio infelice con il granduca che non riesce a consumare le nozze, un
primo amante, un secondo, un terzo: a Elisabetta non importa chi abbia messo
incinta Caterina. Importa solo che il trono abbia un erede. Cambia Caterina che
diventa donna soffrendo e poi gioendo ma in segreto, e poi straziata dal
vedersi portare via prima il bambino dato alla luce a rischio della vita, e poi
anche la bambina figlia di Stanisław, l’uomo che ha acceso di luce i suoi
giorni: come può una madre accontentarsi di vedere i figli una volta alla
settimana? Meglio allora la vita del suo doppio, di Varvara che, proprio come
Sofia/Caterina, ha sposato l’uomo che l’imperatrice ha scelto per lei, ma ha
potuto almeno godere appieno della maternità e ha visto il marito addolcirsi
accanto alla piccola Darja. Anche Varvara cambia negli anni. Impara ad
apprezzare l’infelice granduchessa, diventa quasi una sorella maggiore per lei,
schermandola e proteggendola, favorendo i suoi incontri clandestini, vivendo un’altra
esistenza attraverso lei. E dopo, quando il gioco politico si fa più sottile- ha
rischiato parecchio, la Russia, con alleanze non gradite ma volute dal
prussiano granduca Pietro (un grosso bambino mai cresciuto che gioca con i
soldatini schierati per la guerra)- Varvara si schiera dalla parte di Caterina
nei giorni convulsi che portano al colpo di stato che la instaura non come
reggente ma come imperatrice di tutte le Russie.
Il passare del tempo non è riflesso soltanto nella crescita e nei
cambiamenti dei personaggi nell’affascinante romanzo di Eva Stachniak. Si
modifica lentamente anche una parte del popolo russo, stanco dell’ostentata
ricchezza e degli sprechi dell’entourage imperiale (quindicimila abiti da sera
nel guardaroba di Elisabetta che non metteva mai due volte lo stesso vestito),
viene splendidamente rifatto il Palazzo d’Inverno dall’italiano Rastrelli- un
altro enorme dispendio di denaro, ma quale meraviglia! E le chiacchiere di
Varvara ci portano da un palazzo all’altro, dal Palazzo d’Inverno al palazzo
provvisorio, da quello di Oranienbaum a Carskoe Tselo e a Peterhof con le sue fontane
zampillanti, tra fruscii di sete e broccati, tende e tappezzerie, nella sala
d’ambra ammiccante di luci dorate, in corse in slitta sulla neve che
scricchiola.
“Il Palazzo d’Inverno” è un romanzo, non è pura Storia, è finzione
narrativa, ma che bel romanzo, che rende viva la Storia, che ci avvicina ai
grandi nomi che hanno fatto quella Storia introducendoci nei saloni dalla porta
di servizio.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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